Aperto finalmente al pubblico il 6 dicembre 2010, dopo soli tre anni di lavori, il Museo del Novecento in Piazza Duomo è una sorpresa tanto per gli italiani quanto per il pubblico internazionale.

Il Palazzo dell'Arengario è tornato a respirare grazie alle novità apportate dall'architetto Italo Rota: i restauri hanno coinvolto sia la facciata esteriore, che riacquista così il suo splendore originale, ma soprattutto l'interno, che è stato sapientemente aperto e rimodellato in modo tale da poter essere fruito dinamicamente e creando un fluido percorso di visita.

Cuore di questa trasformazione è proprio la parte di edificio che si affaccia su Piazza Duomo, dalla quale si può notare una delle centinaia di opere lì esposte: la Struttura al neon per la IX Triennale di Milano di Lucio Fontana, realizzata nel 1951. Questo arabesco, che quasi sembra tracciato con la luce sul soffitto interno dell'ampia sala all'ultimo piano, unisce i due spazi esterno e interno grazie al travalicamento prospettico dovuto alle grandi finestre, che aprono visivamente lo spazio delle sale espositive.

Altra grande innovazione è la scala elicoidale che accoglie lo spettatore all'inizio del suo percorso, in un movimento di ascesa che arriva a poco a poco ad una stanza contenente il primo dipinto della collezione: Il Quarto Stato, di Giuseppe Pellizza da Volpedo.

Realizzato all'inizio del XX secolo (1901), questo quadro, colmo di simbologie politiche e sociali, apre nel contesto museale un'avanzata dell'Italia artistica e culturale, che porterà lo spettatore a ripercorrere tutti i maggiori movimenti artistici del Novecento, proprio a partire dal divisionismo.

Da esso prenderanno spunto le prime avanguardie, che si vanno a intrecciare con i vari movimenti europei di inizio secolo, quali il cubismo e l'astrattismo (vi sono infatti, nella sala iniziale, dipinti di Picasso, Bracque, Mondrian e Kandinsky). Segue Boccioni e il futurismo, Morandi, De Chirico e Arturo Martini. Cronologicamente s'inserisce nel percorso museale il "ritorno all'ordine" di epoca fascista, assieme alle sculture pubbliche monumentali e alle tematiche epico-popolari.

Ci sarà poi l'arte di dopoguerra, che si situa tra postimpressionismi, arcaismi e realismi (esempi tra i tanti sono De Pisis, Campigli, Renato Guttuso). S'incontrano successivamente l'astrattismo storico italiano, individuato nel Movimento per l'arte concreta (nato nel '48) e lo spazialismo di Fontana, il matericismo di Burri e l'informale italiano (Capogrossi, Giuseppe Uncini, Jannis Kounellis), nonché la corrente gestuale influenzata dall'action painting americano (Emilio Vedova, Giulio Turcato).

Alla sorprendente svolta concettuale di Piero Manzoni negli anni '50 è dedicata un'intera sala, con opere quali il duchampiano Corpo d'aria n.23 o la celeberrima Merda d'artista n.80. A collegarci all'altra sezione, situata nel secondo piano del vicino Palazzo Reale (sede anche dell'Archivio del Novecento), è stato costruito un ponte sospeso che apre le sue vetrate sulla piazza sottostante. Assai rara è la collezione di arte cinetica, e lo è in particolar modo la riproduzione in scala reale di alcune installazioni percorribili dai visitatori (come Ambiente Stroboscopico n.4 di Davide Boriani o Ambiente a shock luminosi di Giovanni Anceschi).

Le sale del Museo Marino Marini affiancano le sezioni di arte legata ai realismi di fine anni '50 e inizi '60, che traevano ispirazione dall'arte pop (Schifano, Mimmo Rotella) come anche da un linguaggio più surreale (Alik Cavaliere) o grottesco (Enrico Baj). Un'opera-ambiente percorribile di Luciano Fabro ci porta alle ultime stanze dedicate all'arte povera, che può essere considerata a ragione l'ultima avanguardia italiana, nata nella seconda metà degli anni '60. Nel clima rivoluzionario di quell'epoca, che sarebbe sfociato nei moti del '68 e nei radicali anni '70, si incontrano figure come Mario Merz, Michelangelo Pistoletto, Alighiero Boetti, Giuseppe Penone e Gilberto Zorio.

Ciò che seguirà spetta all'Italia scoprirlo e allo spettatore interessato che continuerà la sua ricerca al di fuori dell'istituzione museale. Per i suoi 150 anni dall'unità, l'Italia non poteva farsi regalo migliore.

Testo di Giulia Casalini