Ricordo ancora quell'incontro. Era una calda sera di inizio giugno di un paio d'anni fa. La cornice, il suggestivo cortile del Caffè Letterario che da qualche anno è stato aperto internamente al complesso della Biblioteca cittadina. La compagnia, quella piacevolissima di una cara amica che aveva avuto il merito di segnalarmi l'evento. L'occasione, un incontro organizzato da La Tela del Ragno (un'associazione locale il cui progetto educativo mira a promuovere, specie per i bimbi più piccoli, attività all'aria aperta alla (ri-)scoperta della natura). L'ospite, un moderno pellegrino invitato a presentare le sue affascinanti guide per aspiranti (o già consapevoli) “camminatori”.

Emiliano d'origine, il liceo classico prima e una laurea in biologia poi, un breve soggiorno in Spagna e ripetuti viaggi di lavoro tra Medio Oriente e America Latina, fino alla folgorazione e alla trasformazione di quella che era sempre stata una sua passione in un vero e proprio mestiere. Amante appassionato dell'Appennino, curioso esploratore dei suoi boschi e delle sue cittadine fin da piccolissimo, Simone Frignani - questo il nome del relatore - a chi lo intervista racconta di essere tornato profondamente trasformato da un pellegrinaggio (il primo di una lunga serie) compiuto nel 2008 lungo i suggestivi sentieri bizantini che collegano i venti eremi ortodossi della repubblica monastica di Monte Athos (all'interno della penisola calcidica), al punto da essersi in seguito convinto a intraprendere gli studi di Teologia, ad abbracciare la professione di insegnante e, soprattutto, a farsi attivissimo promotore di quel “turismo lento” che negli ultimi anni anche in Italia sta vivendo una fortunatissima stagione.

Un'autentica missione che l'ha portato nel tempo non solo a riscoprire gli storici percorsi calcati da viandanti e fedeli fin dai tempi più remoti, ma anche a individuare e a mappare una serie di itinerari ancora poco conosciuti che attraversano in lungo e in largo il nostro bel Paese (dal Cammino di S. Benedetto alla Via Romea, dalla Via degli Dei alla fitta trama di strade che collegano la costa adriatica a quella tirrenica). Una filosofia di vita la sua, abbracciata e condivisa da tutti quelli che - oggi come ieri - sanno apprezzare la fatica e la meraviglia dello spostarsi a piedi, carichi dei propri zaini e dei propri interrogativi; che attraversano pianure e guadano ruscelli, si addentrano in incantevoli borghi e s'inerpicano su per i pendii, nel desiderio di ristabilire un contatto nuovo con l'ambiente non meno che con se stessi; che imparano ad adeguare il proprio passo ai ritmi rallentati della terra, ai suoi respiri profondi, alla ricerca di una comunione speciale con un paesaggio pienamente gustato, intimamente vissuto; che - ai giorni nostri non diversamente da quanto accadeva in passato - al loro passaggio continuano a smuovere curiosità e interesse, a suscitare ammirazione e stupore, a far sì che intorno a loro s'intrecci una straordinaria (e altrettanto indispensabile!) rete ospitale.

Lunghissima è la tradizione del pellegrinaggio, di questa modalità del viaggiare che nei lontani secoli medievali, cui se ne riporta la nascita, si era fatta portatrice di istanze prettamente religiose e che poteva di volta in volta assumere i caratteri di un'ammenda necessaria all'espiazione di una colpa (ex poenitentia), di una dimostrazione della fervida devozione nei confronti di un santo (devotionis causa), di un omaggio offerto nell'intento di facilitare la concessione di una grazia (pro voto) o dovuto in seguito al suo ottenimento (ex voto), addirittura di un'impresa sostenuta per conto di qualcuno che fosse impossibilitato a compierla di persona (ex mandatu); Peregrini o Jacopei erano, pertanto, detti coloro che si recavano a Santiago di Compostela, Romei quanti avevano la città di Roma quale meta del loro andare, infine Palmieri i credenti che approdavano alla Terra Santa, diretti a Gerusalemme. E altrettanto lunga è la tradizione di quel solidissimo apparato di accoglienza che tra il X e il XIV secolo, inizialmente per opera esclusiva delle istituzioni ecclesiastiche, in seguito anche grazie allo specializzarsi di figure sempre più competenti e professionali, si costituì per sovvenire alla esigenza di un numero sempre crescente di questi forestieri, di questi individui letteralmente “venuti da fuori”.

Per molto tempo è stato al mero ambito di una “esternità” a un determinato gruppo sociale, a una determinata collettività, che la parola e la figura del pellegrino venivano di prassi associate. Come ben spiegato da Maurizio Bettini, il termine peregrinus rimandava etimologicamente a colui che peragrat, ossia che “percorre i campi”, che si sposta e si muove lontano dalla propria casa; una parola speculare rispetto alla voce advena che ha le sue radici nel verbo advenire, “giungere a”, “arrivare da altrove in un certo luogo”. Nel tempo in cui gli uomini si spostavano continuamente per questioni politiche e missioni diplomatiche, per la consultazione degli oracoli, per sbrigare affari e intrattenere scambi commerciali, era a dir poco abituale la presenza nelle comunità di tutto il mondo antico di peregrini che non ne facevano giuridicamente parte; uno status, nondimeno, che nulla aveva a che vedere con l'idea di un'alterità etnica o linguistica, una condizione che si limitava a sovrapporre al concetto di “straniero” quello di “viaggiatore”, di soggetto in movimento al quale garantire un temporaneo alloggio e il vitto necessario (valenza che si era del resto tranquillamente conservata anche durante il Medioevo).

Un retaggio a dir poco ancestrale quello dell'ospitalità al forestiero, un'inclinazione che di fatto appartiene all'uomo da sempre, che è da sempre impastata con i suoi geni, che una volta era parsa talmente fondamentale e identificativa dell'essere umano da essere stata posta addirittura sotto la protezione degli dei, e che ora purtroppo pare diventata estremamente difficile da comprendere, quasi insensata da mettere in atto.