Il Kalimantan meridionale, chiamato Kalsel, abbreviazione di Kalimantan Selatan, è la più piccola e pittoresca provincia del Borneo indonesiano, che vanta paesaggi da riviste patinate in cui affiorano città sull’acqua che ricordano Venezia, giacimenti di diamanti e tratti di giungla selvaggia dove è possibile praticare trekking o scivolare sui fiumi a bordo di zattere silenziose. Il suo folklore è ricco di danze (Baksa Keimbang, Tirik Talan, Madihin e la Mamanda), di musica, cerimonie e frequenti gare di canoa all’ultimo respiro, ma più di ogni altra cosa, nel Kalimantan del sud colpisce l’atmosfera sviluppatasi dal sovrapporsi nei secoli di culture diverse. L’influenza araba e persiana compare nei tanti riti, nei costumi e nell’arte, quella Indù nelle testimonianze degli antichi templi ormai scomparsi, mentre quelle giavanesi, malesi e Dayak sono rintracciabili nelle abilità ed estro artigianale dei nativi. L’intero territorio è attraversato da numerosi fiumi e affluenti minori che formano una fitta rete di comunicazione, i più importanti dei quali sono: il Barito, il Martapura, il Negara, il Cengal, il Riam Kiwa, il Tabalong, il Balangan. La rete stradale è abbastanza estesa, ma la vita quotidiana di gran parte della popolazione rimane in perenne simbiosi con il fiume lungo le cui rive si costruiscono case in bambù erette su chiatte galleggianti (lanting), ci si lava e si fa il bucato o si va per acquisti, al pari di vie cittadine.

Banjarmasin, considerata a ragione la perla del Kalimantan, è una delle Venezie d’Oriente sorta 450 anni fa, situata appena sotto il livello del mare e costruita con case in legno o bambù chiamate lanting che galleggiano sull’acqua, fiumi che s’intrecciano creando un carosello continuo di imbarcazioni grandi e piccole. Sorta in un’area palustre a una ventina di chilometri dal delta del Barito, nel punto in cui le sue acque si mescolano a quelle del Martapura, questa città-isola (Palau Tatas), coi suoi sobborghi attraversati da una miriade di affluenti e canali navigabili (Kuin, Pekapuran, Belitung, Kelayan, Miai, Mulawarman, Bagau, Pangeran, Andai, Alalak, etc.), è tra le più estese del Kalimantan e la maggior parte dei suoi 600mila abitanti vive sul fiume. Qui le donne lavano la biancheria su piattaforme di legno, mentre venditori di frutta, verdura o pesce scivolano lungo le sponde a bordo di canoe, bambini chiassosi si tuffano, in uno scenario in cui le albe e i tramonti riflettono sull’acqua i colori dei tropici. Ma Banjarmasin, denominata pure ‘water city’, è anche un grande porto, un centro economico e amministrativo, una città ricca di storia e di cultura con una dotta università. Fu la residenza prediletta di sovrani e pirati, Indù e giavanesi; gli arabi vi eressero i loro templi sfarzosi e gli europei la scelsero per farne una nuova madrepatria. Abitata prevalentemente da devotissimi e benestanti musulmani ortodossi, molti dei quali si possono fregiare del titolo di Hahis (sant’uomo) per avere compiuto almeno una volta il pellegrinaggio alla Mecca, oggigiorno è una città dinamica, indaffarata nei commerci, che convive tranquillamente con le minoranze cristiane (15%), buddiste e induiste (5%), mantenendo inalterato nel tempo il carattere della sua popolazione notoriamente gentile e piena di ‘humor’.

Banjarmasin basa la sua economia soprattutto sull’esportazione del legname, le miniere di diamanti e pietre dure, la lavorazione del rattan e di altri prodotti naturali, ma sta avviandosi verso un significativo sviluppo nel settore turistico, prevalentemente asiatico, per la sua fama di città unica e affascinante, nota anche per l’architettura tradizionale delle sue case, dette bubungan, col tetto spiovente e ornate da legni intagliati. Fondata nel 1526, divenne capitale per la prima volta nel 1595, quando il Principe Samudera, grazie all’esercito del Sultano Demak di Giava accorso in suo aiuto, vinse una storica battaglia contro lo zio usurpatore Tumenggung, si convertì subito al Corano e fu nominato sovrano col titolo di Suriansyah o ‘Panembahan Batu Habang’ (Principe dagli Abissi). In seguito, la religione islamica si diffuse rapidamente nella regione. Regno incontrastato dei sultani, Banjarmasin vide arrivare i primi colonizzatori europei pochi anni dopo, attratti dalla possibilità di ricavare buoni guadagni sfruttando le piantagioni di pepe. Proprio a cavallo del secolo, cominciò un’ondata migratoria di gruppi olandesi e inglesi e già nel 1607 la cronaca racconta di ribellioni cruente degli indigeni, che rifiutavano di sottomettersi ai nuovi padroni, con violenti attacchi alle loro navi mercantili. Nel 1635 gli olandesi videro premiata la loro perseveranza ottenendo dal sovrano di Banjarmasin la garanzia del monopolio sul pepe ma la popolazione locale, in un fremito più acceso di rivolta, uccise i 64 rappresentanti insediati in altrettante stazioni commerciali. Accordi e problemi continuarono a rendere difficile la vita del popolo colonizzatore fino al 1773, anno in cui venne fondato Fort Tatas, a Tabanio, che segnò l’inizio di una lunga parentesi di relativa tranquillità.

La popolazione Banjar, Bugis e Dayak che nel 1707 aveva cacciato definitivamente gli inglesi dopo sei anni di pesanti scontri, tornò all’insurrezione armata nel 1859, quando il malcontento generale, organizzato da Pangeran Antasari (oggi eroe nazionale), sfociò nella storica ‘Guerra di Banjarmasin’. Gli olandesi rischiarono di perdere il sultanato ma nel 1863, dopo la morte di Antasari, riuscirono a riportare faticosamente l’ordine nella regione. Nel frattempo, inglesi e portoghesi tentavano con insistenza di ricavare uno spazio proprio nelle ricche terre del Sud Kalimantan.

La fondazione della città si celebra il 24 Settembre di ogni anno e il suo nome deriva da un mixer di due parole: Bandar, che significa porto, e Masih, dal nome del Vizir Patih Masih, quindi, Bandarmasih diventata nel tempo Banjarmasin.

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Mappa di Giò Barbieri

La cultura e il tempo libero si sviluppano nella vita quotidiana: dalle trafficate e suggestive strade acquatiche, ai vivaci mercati con negozi galleggianti e ai moli affollati da antiche golette Bugis. La capitale è anche una città di terra con il centro tagliato da un’ampia strada a sei corsie, Jl. L. Mangkurat, e con gli svaghi tipici dei grossi agglomerati indonesiani. A Banjarmasin le distrazioni non mancano, ci sono almeno due dozzine di sale cinematografiche o bioskop, un paio di teatri, un piccolo museo, templi e monumenti storici, e inoltre ristoranti con cucina internazionale, discoteche, piste per ‘roller skate disco’ (pattini a rotelle e musica), sale da thè e karaoke, centri commerciali, due stadi per incontri di calcio, piscine, campi da tennis, mercati diurni e notturni e per chi ama muoversi c’è la possibilità di interessanti escursioni alle vicine isole di Kembang e Kaget, entrambe abitate dalle scimmie bekantan (nasalis larvatus).

Un tour dei canali è quasi d’obbligo nella città sull’acqua per avere una visione più realistica dello stile di vita locale. Alla sera, un luogo alla moda indicato per ascoltare buona musica e svagarsi ballando, è la piccola Maramin Discoteque, al sesto piano dell’hotel omonimo, dove nei fine settimana si svolgono concerti dal vivo, con band locali niente male. Altri locali di intrattenimento musicale si trovano all’interno del Mitra Plaza.

L’attrazione principale a Banjarmasin sono le escursioni lungo i corsi d’acqua. Un klotok taksi (barca armata con un motore di pochi cavalli) per un’escursione lungo i canali cittadini e nei dintorni lo si può noleggiare dovunque, ma i luoghi di raduno specifici per questo tipo di servizio pubblico si trovano vicino al ponte di ferro di Jl. Ujung Merung, nei pressi della grande moschea Sabilal Muhtadin, e anche nella parte nord, sotto il ponte principale del fiume Kuin.

Per visitare i mercati nel momento di maggiore interesse è importante partire alle prime luci dell’alba. Dal centro, in mezz’ora si risale un tratto del Martapura e si segue il Sungai Kuin, un fiume costellato da vecchi villaggi Banjar, fino alla foce col Barito, dove si svolge il Pasar Terapung, altrimenti noto come ‘Kuin Floating Market’, il più celebre e fotografato mercato galleggiante del Borneo. Tra le 5 e le 8:30 di ogni giorno si assiste a un viavai continuo di minuscole imbarcazioni a remi ricolme dei prodotti della terra. Centinaia di jukung (canoe), condotte perlopiù da donne in abiti dai colori vivaci, protette da enormi tanggui (i tradizionali cappelli a cupola), rimpiazzano le bancarelle dei nostri mercati. Ci si accosta alla barca per parlare, trattare, comprare e vendere, principalmente frutta, verdura, cesti intrecciati e i tipici copricapo utili a proteggersi dal sole e dalla pioggia.

Una colazione sull’acqua è di certo un’esperienza divertente, molti ristorantini su piroghe servono spuntini, dolciumi, caffè o thè e volendo, si può far scorta di mango, durian, banane o altra frutta esotica di stagione a prezzi irrisori. Il mercato di Kuin è antichissimo, conta ormai 400 anni e un tempo, quando il baratto delle merci sostituiva la moneta, era il luogo d’incontro e di scambio preferito dai Dayak dell’entroterra. Le alternative al klotok sono il minibus o il moto-taxi, seguendo Jl. Kuin Utara, magari scendendo alla tomba del Principe Sunansyah (Samudera), 300 metri prima del mercato. Verso le 8:30 il mercato si spopola, in via di chiusura, resta quindi il tempo di visitare i dintorni seguendo il fiume.

In ogni caso, al sabato e alla domenica nel centro di Banjarmasin ha luogo il bazaar sull’acqua al quale partecipano gran parte delle canoe presenti sia al Kuin market che all’altrettanto spettacolare Lok Baintan market.

Da Kuin, discendendo per pochi minuti le acque rossastre del Barito sorge Pulau Kembang, definita anche l’isola dei fiori, con un’estensione di 60 ettari e una larghezza che supera il chilometro. Questa riserva naturale in cui crescono grandi alberi di mangrovie è popolata da dispettosi macachi dalla coda lunga che amano radunarsi al molo d’attracco e presso un piccolo santuario cinese, sicuri di abbuffarsi di banane e noccioline. A chi arriva a mai nude provvederanno le scimmie a indicare le bancarelle fornite esclusivamente dei loro alimenti prediletti e non va dimenticato di proteggere le proprie cose perché i vivaci animaletti amano rubare tutto a tutti. L’isola è meta delle gite domenicali dei nativi e, vista la credenza che nutrire questi animali porti gloria e fortuna, i visitatori non si risparmiano sulle offerte di cibo, anche se i macachi sono spesso ingrati e diventano sempre più esigenti e aggressivi. Alla pietra dell’antico tempio sono attribuiti poteri sovrannaturali e i credenti, soprattutto cinesi ma anche Banjar musulmani, giungono numerosi per pregare, offrire fiori e ottenerne in cambio un futuro pieno di salute e prosperità.

Volgendo a sud si incontra presto il grosso porto fluviale di Trisakti, dove il legname grezzo destinato all’esportazione viene metodicamente caricato sulle numerose navi mercantili attraccate ai moli, mentre golette, piroghe, klotok e grandi traghetti fluviali si mescolano nel loro andirivieni quotidiano. La riva occidentale è invece occupata dagli stabilimenti della Barito Pacific Timber, allineati per chilometri.

Più a valle, nei pressi del delta, si trova Pulau Kaget (‘isola degli stornelli’), 85 ettari di riserva naturale abitati da numerose specie d’uccelli, da gibboni, da lutung (prebitis orisate) e da colonie di bekantan, le riservate scimmie dal naso lungo; per riuscire a fotografarle, l’orario migliore è subito dopo l’alba e poco prima del tramonto, quando scendono dagli alberi ed escono dalla foresta in cerca di cibo. L’isola, distante una dozzina di chilometri da Banjarmasin, si raggiunge in un’ora e mezzo di klotok e coloro che intendono vivere quest’esperienza devono necessariamente partire alle 4.30 del mattino, oppure attendere il tardo pomeriggio e fare poi ritorno in città col buio. Inoltre, è indispensabile un potente zoom e tanta pazienza. Kaget, ritenuta in passato ‘la casa degli spiriti’, è quasi attaccata a un’altra isola più piccola chiamata Palau Tempurung e l’area preferita dalle bekantan sembra essere proprio lo stretto che le separa. Purtroppo, negli ultimi anni la vegetazione dell’isola è stata in parte abbattuta per creare coltivazioni di riso, ciò ha un po’ stravolto l’habitat, ma le guide locali indicano ai visitatori i punti più idonei per un probabile avvistamento. Le agenzie di viaggio includono spesso questo tour nei loro programmi, ma è possibile noleggiare in autonomia un klotok per l’andata, il ritorno e la sosta di due-tre ore. Il costo raddoppia se si usa una lancia. Occorre inoltre scegliere il momento opportuno per la partenza che di solito avviene all’alba o nel primo pomeriggio, quando la marea è favorevole alla navigazione.

Nel tratto del Sungai Martapura che collega la città all’isola di Kaget, sorgono numerosi cantieri navali per la costruzione di imbarcazioni Bugis, segherie, villaggi di case lanting dall’atmosfera meno indaffarata del centro città, un grosso Pasar Ikan (mercato del pesce) e poco oltre s’incontra il Basirih Floating Shops, una lunga serie di negozi (ricolmi di oggetti in plastica, manufatti in rattan e alimenti) ai quali si accede solo in barca e dove di primo mattino si radunano i nativi coi loro prodotti dell’entroterra per dar vita a un altro animoso mercato sul fiume. Alla confluenza col Barito sorge Muara Mantuil, un incantevole villaggio adagiato interamente sull’acqua.

Risalendo, invece, il Martapura, in meno di un’ora dal centro si incontrano altri due importanti agglomerati con i relativi mercati acquatici: Pengambangan e subito dopo Lokbaintan. È piacevole vedere barche motorizzate che trascinano, con l’ausilio di cime, una dozzina di canoe ricolme di frutta e verdura per evitare alle anziane signore dirette ai mercati la fatica del remare. Sulla via, alla confluenza con il Sungai Andai c’è il Kenangan Museum e nei pressi si trovano pure il Sei Jingah e il Sei Andai, due grossi ‘floating shops’. Volendo si possono raggiungere i mercati in barca e fare ritorno col minibus o viceversa.

Un’altra zona ricca di insediamenti fluttuanti, anch’essa raggiungibile in klotok o via terra, si trova lungo il Sungai Pekapuran, il corso d’acqua che inizia di fronte a Jl. Ujung Merung e dopo un ampio giro a serpentina durante il quale prende il nome di Sungai Kelayan, ritorna nuovamente in centro all’altezza di Jl. Pasar Baru. Nell’area metropolitana di Banjarmasin si trovano comunque ‘borgate’, insediamenti o aree occupate da abitazioni galleggianti un po’ su tutti i canali.