La Galleria Franco Noero ha il piacere di presentare la terza personale di Robert Mapplethorpe, negli spazi di via Mottalciata e in collaborazione con The Robert Mapplethorpe Foundation. La personale coincide con due straordinarie mostre dedicate all’artista da due Musei italiani, la prima in corso fino all’8 Aprile al MADRE - Museo d’Arte Contemporanea Donnaregina di Napoli e, dal 15 marzo, anche alle Gallerie Nazionali di Arte Antica, nella sede di Galleria Corsini, a Roma.

E’ una magnifica occasione per esplorare la poliedricità di un artista come Mapplethorpe, di immergersi nella sua opera ed esperire le molteplici e inusuali prospettive da lui indicate con le sue fotografie, che continuano a consumare uno scarto al di là dall’esaurirsi, ancora in costante e pertinente dialogo con l’attualità e, allo stesso tempo, in continuità/discontinuità con la storia e con il passato. Se a Napoli affinità tangibili e un rapporto empatico con la città di Napoli si sviluppano all’interno di una mostra che intuisce ed esplora la matrice performativa delle opere di Mapplethorpe e quindi il loro rapporto con la danza e la dimensione del teatro e della messa in scena, in cui il tema del corpo diviene materia di sensibile affinità nel confronto con le sculture e i dipinti in prestito dal Museo e Real Bosco di Capodimonte e dal Museo Archeologico Nazionale di Napoli, a Roma la collocazione delle opere all’interno della quadreria settecentesca dei Corsini contribuisce a mettere sotto una nuova luce i temi del lavoro dell’artista, innescando una relazione inedita tra ambiente, opere e visitatori, nello spazio fisico e concettuale del collezionismo.

La selezione di fotografie in mostra a Torino, in un evocativo equilibrio con la qualità post-industriale degli spazi della Galleria analoga a quelli vissuti come luogo di vita e di lavoro da Mapplethorpe e dai suoi coetanei, si propone invece di guardare a quegli aspetti che incarnano lo zeitgeist di un periodo, il suo svolgersi frenetico e la necessità di attraversare il tempo con una volontà di sperimentazione camaleontica, con una divorante curiosità che si spezza all’improvviso, in maniera del tutto prematura, in coincidenza con la scomparsa di Mapplethorpe nel 1989, e con lui di un’intera generazione. La mostra si apre in maniera inusuale con una foto a colori, su un prato all’aria aperta, con l’Arcivescovo di Canterbury seduto a colloquio su una panchina, un’immagine che potrebbe far affiorare subliminalmente l’educazione religiosa di Mapplethorpe, oltre che suggerire una certa passione per la pittura inglese di paesaggio. La volontà di affermare la propria identità e un carismatico modo di imporsi sono il tema di una serie di ritratti degli anni immediatamente successivi, scattati con cruda immediatezza su pareti bianche non uniformi, senza fondale da studio, senza nessun ritocco o artificio, cogliendo con nettezza la personalità, il modo di apparire, e, a volte, di provocare tramite la loro sola presenza.

Per contrasto a seguire, delle immagini degli anni ’80 completamente costruite in studio, corpi femminili senza testa sospesi su un fondo bianco uniforme, i contorni morbidi e soffusi, nell’esaltazione edonistica della perfezione e della cura del corpo tipica di quegli anni, nel culto della palestra non come luogo in cui si formano gli atleti ma in cui invece si scolpiscono i muscoli. Una lunga sequenza modulata di opere giocate sulla gamma dei grigi, meno contrastata, permette di spaziare in molte delle direzioni di ricerca dell’artista: sensualità, sesso, movimento, torsione, ieraticità nella posa e ricerca di espressività. Ancora un’immagine a colori di una moneta a fare da interpunzione per introdurre una serie di foto di oggetti in argento massiccio che coniugano i bagliori di un risplendente trionfo cerimoniale ad una statica solennità, seguiti letteralmente dall’immagine di un maestro di cerimonie colto nella compunta attesa di esercitare cortesie per gli ospiti, moderno Caronte sulla soglia di una brasserie newyorchese.

Una serie di foto di un gruppo musicale rockabilly coglie in anticipo alcuni tratti distintivi dell’identità sociale attuale come coprirsi il corpo di tatuaggi, all’epoca simbolo evidente di trasgressività e anticonformismo, che tale resta nei ritratti, a dispetto della presente consuetudine con il marchiare il proprio corpo. Una scelta di ritratti di volti con contrasto bianco e nero più accentuato, presi di fronte, gli occhi che guardano direttamente chi scatta la foto e, di conseguenza, lo spettatore, mira a carpire e rivelare la personalità di chi posa e trasmetterne il fascino, che siano personaggi noti o meno. Deliberatamente, nel corso di tutta la mostra, la fama di alcuni dei personaggi, tratto inconfutabile e naturale fonte di attrazione, non è mai enfatizzata, nel tentativo di non rendere prevalente uno solo degli aspetti che Mapplethorpe vuole comunicare rispetto agli altri: in questa maniera, da un punto di vista compositivo, una zucca equivale a un corpo nudo, una serie di argenti a un maître di ristorante, corpi color ebano a quelli di un pallore latteo, nudi sensuali a nature morte, un’artista a un piatto di rane. Robert Mapplethorpe (New York 1946 –Boston, MA 1989), ha studiato disegno, pittura e scultura al Pratt Institute di Brooklyn, per poi iniziare una carriera come artista e fotografo che lo ha portato ad esporre il suo lavoro in una innumerevole serie di mostre personali nelle Istituzioni di tutto il mondo, a partire dalla prima grande retrospettiva dedicatagli dal Whitney Museum of American Art di New York nel 1988, un anno prima della sua morte.

Nello stesso anno Mapplethorpe ha dato vita alla Fondazione che porta il suo nome, dedicata a promuovere la fotografia, dare supporto ai Musei che la espongono, e a raccogliere fondi per la ricerca medica contro l’AIDS e contro le malattie ad esso correlate. Il lavoro dell’artista è presente nelle collezioni dei maggiori Musei internazionali e la sua importanza storica e sociale continua ad essere oggetto di rilevanti mostre personali nel mondo. Oltre alle due mostre correnti in Musei italiani, un’importante retrospettiva, a seguito di quelle recenti sempre negli Stati Uniti presso il LACMA e il Getty Museum di Los Angeles, è attualmente dedicata all’artista dal Solomon R. Guggenheim Museum di New York.