Eliminando gradualmente tutto ciò che è superfluo, scopriamo che il teatro può esistere senza trucco, costumi e scenografie appositi, senza uno spazio scenico separato (il palcoscenico), senza gli effetti di luce, suono, etc. Non può esistere senza la relazione con lo spettatore in una comunione percettiva, diretta. Questa è un’antica verità teoretica, ovviamente. Mette alla prova la nozione di teatro come sintesi di disparate discipline creative: la letteratura, la scultura, la pittura, l’architettura, l’illuminazione, la recitazione…

(Jerzy Grotowski, Per un teatro povero)

Per caso, per caso e ancora per caso. Carla Pollastrelli, vicentina di nascita, toscana di adozione e polacca honoris causa, racconta che tutto è successo per caso. Deve essere vero, se lo dice, ma certo non è per caso una protagonista del teatro italiano: lo è per la sua acutezza di mente. E per l’audacia della ragazza che nel ’70-’71 voleva fare la rivoluzione. Un’audacia piena di auto-ironia.

Jerzy Grotowski (1933-1999) è stato uno dei maestri dell’avanguardia teatrale del Novecento e la Pollastrelli la sua agente all’Avana, dove l’Avana è Pontedera, luogo di arte e morte del regista di Rzeszòw e sede del suo Workcenter, fondato nel 1986 su invito del Centro per la sperimentazione e la ricerca teatrale di Pontedera diretto da Roberto Bacci e Carla Pollastrelli, appunto.

Per tredici anni, Grotowski ha sviluppato nella città toscana una linea di ricerca sulle arti performative, l’Arte come veicolo, lavorando a stretto contatto con Thomas Richards da lui chiamato il “collaboratore essenziale” al quale ha trasmesso “l’aspetto interiore del lavoro”. Grotoswski designò Richards e Mario Biagini, reclutato a vent’anni alla prima selezione, attualmente direttore associato del Workcenter, come i soli legatari dei suoi beni, incluso l’intero corpus degli scritti, specificando che questa designazione era una conferma della propria “famiglia di lavoro”. La Pollastrelli è stata la persona di fiducia di Grotowski e del suo gruppo, l’organizzatrice per eccellenza, ed era autorizzata a tradurre in italiano i testi del genio. Adesso che è in pensione si definisce “la vecchia zia”. Non una di quelle che infornano torte di mele, s’intuisce. Magari fa una telefonata risolutiva.

Un premio Ubu per l’edizione italiana delle opere di Grotowski, la sorprese nel 2015, un Asino di Goffredo Fofi l’ha vinto l’estate scorsa in compagnia, fra gli altri, di Banca Etica, Lea Melandri, Claudia Palmarucci ed Elena Ferrante, quest’ultima ovviamente ‘in contumacia’. In ritiro o no, la Pollastrelli è sempre di scena. La sua domestica marocchina, analfabeta ma sveglia ha capito l’antifona: “Un altro premio di carta. I soldi mai?”

Chi era Grotowski?

Un uomo di intelligenza spaventosa. Presente al cento per cento. Se gli facevi una domanda, per te banale, stava in silenzio per tre, cinque, dieci minuti, poi cominciava a rispondere con tutte le articolazioni che quella domanda poteva generare. Era molto esigente, credo sia il più grande regalo che possa capitare a un giovanotto doversi impegnare allo spasimo. Io ero una stupidotta, ma lui mi stava a sentire e questo mobilita l’intelligenza. Era anche amorevole, sennò sarebbe stato insopportabile.

Torniamo al principio, perché parla il polacco?

Per caso. Studiavo Lingue a Venezia, Ca’ Foscari. Alla fine del primo anno un collega mi fa: perché non metti polacco, così chiediamo una borsa di studio e andiamo in Polonia. Sai che soddisfazione andare in Polonia! Non sapevo niente, neanche Chopin. Alla prima lezione eravamo quattro studenti, un professore e due lettori. Un salotto. Scoprire un mondo sconosciuto. Nel ’71 il primo viaggio in Polonia. Parlavo molto bene, con grande disinvoltura e un linguaggio ricercato, ora sono un po’ arrugginita.

E il teatro come c’entra?

Per caso. Non posso dire che il teatro fosse la mia passione, però molti amici se ne occupavano. Il clima artistico era vivace. Non avevo niente da fare e molto tempo per farlo. Alla Biennale del ’75 avevo conosciuto Grotowski e i suoi attori, in Polonia avevo già visto i suoi spettacoli. In quei tempi avevo incontrato anche i giovani teatranti pontederesi appassionati di Grotowski. Quando feci domanda per una borsa di studio semestrale per la Polonia, non la prima, un’altra, bisognava presentare un progetto e siccome c’erano pochi autori polacchi tradotti in italiano proposi la traduzione di Witkiewicz, drammaturgo dalla personalità rinascimentale.

A un certo punto, in seguito a una richiesta fatta stancamente, arrivò l’incarico all’Università di Cracovia e lo rifiutò…

Fra Pontedera e Cracovia scelsi Pontedera. Alla fine del ’77 l’avventura era lì, molto vitale, un sacco di progetti magnifici. Io portavo in dote la mia conoscenza del teatro polacco, la Polonia era la Mecca europea del teatro di ricerca e Grotowski il nume tutelare. Molti artisti polacchi li abbiamo portati a Pontedera e anche a Sant’Arcangelo. Nel ’79 abbiamo invitato a Pontedera Apocalypsis cum figuris di Grotowski. Poi il tutto si intrecciò con le vicende storiche dell’80-’81, Solidarność, il colpo di stato di Jaruzelski. Noi eravamo stati in Polonia: negozi vuoti, commessi senza merce, in fila per recuperare la benzina un giorno e due notti, al teatro di Cracovia i colleghi avevano bisogno dello shampoo, del sapone. Una compagnia tedesca si era portata dietro il frigo. In Polonia vivevano la storia, noi la leggiamo. La storia, in Polonia, fa parte della biografia delle persone. Avevamo invitato il teatro laboratorio di Grotowski per la primavera successiva al colpo di stato e io avevo appena ricevuto un’onorificenza polacca, dal ministero della cultura. Un amico mi aveva detto: “Perché accetti la medaglia?”. Quando Grotowski mi disse: portali fuori, i sei o sette attori storici e i quattro più giovani, feci valere quella medaglia con i burocrati polacchi. Telefonate interrotte, telegrammi, telex nella ditta di Dario Marconcini (attore e regista che con la moglie Giovanna Daddi ha animato per anni il Teatro Francesco di Bartolo a Buti n.d.r), la censura.

Un drammatico girotondo da film fra ambasciate e ministeri. Benedetta la decorazione della Pollastrelli!

Anche la logistica era difficilissima: comprare i biglietti, farli avere agli attori. Li mandavamo a Varsavia tramite un caposcalo della Lot. Dovevo avvisare che i biglietti sarebbero arrivati, mandarli a prendere all’aeroporto. Andavo alle sette alla stazione per vedere se ce l’avevano fatta, se arrivavano. Grotowski ebbe il visto e venne a Pontedera: voleva che i suoi fossero fuori dalla Polonia, voleva stare fuori dalla Polonia. In quel periodo è nata fra noi l’amicizia vera. Alla fine dell’82 andò negli Stati Uniti e chiese asilo politico perché l’Italia non ha tradizione di asilo politico. Per due anni è stato senza documento, senza viaggiare. Nell’84 poté muoversi e fu invitato a Volterra dove si erano installati alcuni suoi collaboratori. A Pontedera gli proponemmo un laboratorio lungo due mesi: lo desideravamo per ragioni storiche. Fu un prologo del Workcenter che sarebbe nato nel 1986. Passammo i giorni di Natale a rompere le scatole alla gente per vedere gli spazi possibili. Poi Franco Camarlinghi della Giunta regionale fece saltare fuori uno spazio dei Frescobaldi a Montelupo Fiorentino. Me ne sono occupata parecchio, del Workcenter: gestione logistica, permessi di soggiorno. Sono un’esperta di permessi di soggiorno.

Ogni anno, da gennaio a giugno, al Workcenter arrivano spettatori da tutto il mondo.

Sì, perché evidentemente trovano un esempio di impegno totale che è rarissimo, un lavoro rigoroso. Al giorno d’oggi, col bordello che c’è, una persona che si confronta con un lavoro impeccabile prova sempre un piccolo choc. Il Workcenter è di una inattualità totale.

Nel 2003 il Ministero della Cultura di Polonia ha conferito una seconda onorificenza a Carla Pollastrelli.