Svegliarsi al mattino è sempre stato difficile per me, fin dai tempi della scuola. La Roby, che mi conosce bene, mi ha detto che è una questione di bioritmo. Ci sono tante persone che all’inizio del giorno fanno veramente fatica a carburare ma poi dispongono di grande energia alla sera. Insomma, il contrario di ciò che normalmente succede. Non so cosa sia 'sto bioritmo, quello che so è che negli ultimi quindici anni non sono mai riuscito una volta a fare colazione a casa e questo perché tra il momento della sveglia e l’attimo in cui esco di casa passano pochi minuti.

Sì, sono uno di quelli che parcheggia in doppia fila per andare al bar dell’angolo e una volta dentro beve frettolosamente il suo caffè. È un bar come tanti altri, piccolo, affollato, con la televisione accesa che trasmette notiziari ad alto volume e accanto una mensola piena di coppe impolverate. E poi c’è il gabbiotto dei gratta e vinci e delle ricariche e sul bancone l’immancabile vetrinetta piena di cornetti prelavorati, congelati e riesumati nel microonde.

Manca qualcosa? Ah, il barista, certo. Pallido e stanco. A volte simpatico ma di quelle simpatie un po' paracule che alla lunga stancano. Quello del bar che frequento è sempre molto agitato e parla in continuazione ma anche così, sembra che alla gente piaccia scambiare due parole al mattino, un po' come dal barbiere.

I bar nel mio quartiere sono tutti così, almeno questo era quello che pensavo fino alla primavera scorsa, quando dopo le vacanze pasquali, mi sono ripresentato al “mio” bar per il primo caffè della settimana e ho scoperto che era cambiata gestione. Il cambiamento l’ho colto appena entrato: la musica. E che musica. Invece del solito rap ripetitivo e molesto c’era una raffinata ballata country. Atmosfera soft molto rilassante. La televisione? Eliminata. Il gabbiotto delle ricariche? Scomparso. Cosa stava succedendo?

Il bancone occupava ancora il lato destro del locale ma sembrava più lungo. Dietro, in bella vista, una grande macchina da caffè, nuova, lucidissima. “Caffè?” una voce lontana mi giunge ma sono troppo impegnato a osservare la gente, tutte persone che conosco, o meglio, che ho già visto. Frequentatori abituali. C’è il nonno,un signore anziano che entra tutte le mattine con il cappello in testa e un cane al guinzaglio e poi, senza togliersi il cappello si sorseggia il suo caffè mentre la bestiola aspira tutte le briciole di cornetto cadute a terra. Rivedo la coppia di amiche, due donne sulla trentina, molto eleganti, che se ne stanno sempre in disparte, prendono le loro tazze dal banco e poi si trasferiscono in fondo e stanno lì, in piedi. Ah, ecco altri habituée, quattro amici o forse colleghi tutti vestiti da ufficio, come me. Tutte le mattine li sento parlare di calcio. Li guardo e mi accorgo in quell’istante di aver dimenticato la cravatta e questa cosa è grave perché c’è in programma una riunione con il capo e io non ho più il tempo di fare un salto a casa.

“Il caffè oggi lo offro io a tutti” insiste la voce, decido allora di voltarmi e vedo per la prima volta Eugenio, il nuovo gestore del bar. Un bel tipo, penso tra me e me: alto, portamento elegante, non avrà più di 25 anni. Con un modo di guardare molto vivace e particolare. “Si festeggia il primo giorno del mio bar e sono molto felice. Come lo desidera il suo caffè?” mi chiede con gentilezza. “Doppio e bello forte” rispondo prontamente.

Ora il tempo è scaduto, guardo l’orologio, punto la porta d’uscita, poi ripenso alla cravatta, mi fermo, non so che fare. In quell’istante, una voce si alza dal quartetto e mi chiede: “Come mai senza cravatta?”. Mi giro e ancora prima di mettere a fuoco il mio interlocutore rispondo “L’ho dimenticata!”. Dal gruppo si stacca un giovane uomo che mi viene incontro con fare amichevole: “Sono Carlo”. Tiene in mano una bella cravatta rosso rubino. “Ti vedo tutte le mattine, tienila, è quella di scorta, poi quando non ti serve più me la rendi”. Lo ringrazio con calore ed esco di slancio.

Alle 8 precise sono in sala riunioni e mi gusto il sottile piacere di non essere l’ultimo. Mirella, la storica segretaria del direttore mi osserva incuriosita e poi mi fa: “Bella cravatta, nella vita ci vuole colore, bravo”. Il tempo scorre, la giornata si conclude senza intoppi in modo armonioso e fluido. Arrivato a casa mi ritrovo a pensare al “mio” bar e continuo a pensarci anche dopo, sdraiato sul divano. Nell’atto di coricarmi vengo attraversato da un fremito. Capisco allora che il pensiero di tornare lì, domattina, mi mette di buon umore. Quando suona la sveglia, fuori è ancora buio ma io mi alzo di scatto.

Mi preparo ma con la forza dell’abitudine accelero ogni gesto. Guardo l’orologio e mi accorgo che il tempo procede in modo curioso, come se fosse rallentato. Mi ritrovo a osservare due uccellini che si inseguono sulla ringhiera del balcone illuminati dal primo chiarore del giorno. Avverto lo stress di sempre ma c’è qualcosa di diverso, resta sullo sfondo, non graffia, non mi soffoca come solito. Prima di uscire bevo un bicchiere di succo d’ananas. Mi sento attraversato da una energia sconosciuta.

Raggiungo il bar dopo aver atteso pazientemente di trovare un buco per parcheggiare. Eugenio mi saluta calorosamente. Indossa una bella camicia bianca ben stirata. Come farà a non sporcarsi? C’è già parecchia gente e un profumo di caffè straordinariamente intenso. I quattro amici mi salutano, così il nonno con il cane. Le due amiche interrompono addirittura la loro conversazione - ma cosa avranno poi così tanto da dirsi? - alzano lo sguardo verso di me e mi sorridono.

Oggi ci sono anche altri habituée che ieri non avevo visto: il metronotte con la sua grande pistola da cowboy, Franco per gli amici e la “fatalona” - così l’ho sempre segretamente chiamata dentro di me - una donna non più giovane ma di particolare fascino con movenze da diva e vestiti molto appariscenti. “Ciao a tutti, sono Wanda e questo bellissimo ragazzo è Yuri, il mio amore” dice con sorprendente disinvoltura. "Non lo trovate meraviglioso?" insiste indicando un giovane smilzo dall’incarnato spento accanto a lei.

Misteri della vita, penso io, perplesso, poi vengo distratto dal nonno che vedo impegnato in una concitata conversazione con Carlo. “Non trovo più la mia Kira” si lamenta “Era con me come ogni mattina, mi sono distratto lungo la strada e non l’ho più vista”. “Stia sereno” replica Carlo prendendolo sottobraccio. “Vedrà che è rimasta nei paraggi. Le offro un caffè corretto grappa e poi l’accompagno a cercarla”. “Ce l’ha una foto della bestiola?” chiede Wanda con sincera partecipazione. Anche le due amiche si fanno vicine e quasi coralmente aggiungono: “Creiamo una pagina su Facebook e vedrà che la troveremo in breve tempo, abbiamo una grande rete di amici in zona”.

In quel preciso istante entra un folto gruppo di nuovi clienti e con loro, alla chetichella, si infila la cagnolina smarrita provocando un'esclamazione di gioia collettiva. C’è qualcuno che si china ad accarezzarla, qualcun altro fa cenno al barista Eugenio di voler offrire il caffè a tutti i presenti. Alessio e Gigi, due componenti del quartetto di colleghi, si piegano in basso offrendo qualcosa all’animale tutto scodinzolante. “Cosa le state dando?” interviene scherzoso il nonnetto. “Il resto di un cornetto salato con prosciutto...” risponde Alessio sorridendo. “Cornetti salati?” intervengo io “Cos’è questa novità?” “Una delle tante diavolerie di quel demonio di Eugenio. Ogni giorno ne inventa una nuova. I cornetti sono lì a destra sul bancone, però ti devi sbrigare perché sono buonissimi...” esclama Gigi con la bocca piena. “Li produce un laboratorio di periferia” aggiunge Eugenio, che ha seguito divertito la scena con la coda dell’occhio. “È un po' fuori mano ma fanno le cose così bene che vale la pena allungare la strada per averle. E poi un bar senza cornetti freschissimi non si può definire tale, o sbaglio?”.

Gli credo. Afferro l’ultimo cornetto rimasto e nel morderlo chiudo gli occhi. Impossibile descrivere sensazioni mai provate prima. Il nonno mi tira per la manica, chiedendomi l'ora. Mi sveglio dal torpore e guardo l'orologio: sono in ritardo. Ma che importa. Ciò che conta è aver saputo che qui al bar a partire da domani non ci saranno solo colazioni ma anche aperitivi. Insomma, domani, ci si rivede ancora tutti, due volte. Che felicità.

Tutto questo è durato un anno. Il bar di Eugenio oggi è diventato famoso nella zona e anche oltre. Alla sera spesso passano celebrità del mondo della musica e dello spettacolo ma l’atmosfera non è cambiata, è rimasta famigliare e semplice. Il nostro gruppo di amici non ha mai smesso di avere un trattamento di favore perché, come dice Eugenio “I primi clienti non si scordano mai”. Mi sono chiesto spesso cosa rendesse così speciale quel posto. Era come se lì le energie migliori delle persone venissero catalizzate, potenziate. Tutte le volte che a uno di noi capitava una disavventura – è successo al nostro Carlo quando è stato licenziato, credetemi, l’ho visto che stava per crollare - tutti gli altri si attivavano, inventando cose incredibili per sostenerlo. La Wanda un giorno l’abbiamo trovata che piangeva inconsolabile la fuga del suo Yuri con un ballerino afro-americano: ci siamo messi tutti insieme e siamo riusciti a farla ridere tutta la sera. La Franci, che ha avuto un brutto incidente, per due mesi l’abbiamo assistita portandola a turno in ufficio e a casa. Bella questa solidarietà umana, questa delicata condivisione di destini. Non l’avrei mai immaginata possibile. Che magia! Una magia, oggi lo so, riconducibile essenzialmente ad Eugenio, alla sua presenza.

La Roby, che l’ha conosciuto e osservato in varie occasioni ha detto che potrebbe trattarsi di un angelo perché “loro molto spesso stanno tra noi con fattezze umane e questo per non spaventarci, per aiutarci meglio". Me ne sono accorto pochi giorni fa facendo ritorno al “mio” bar dopo la pausa estiva. Ed è stato un duro colpo. Sulla vetrina c’era un grande cartello con la scritta “nuova gestione”. Già entrando, la musica era cambiata, una musica assurda, un volume impossibile. Istintivamente mi sono voltato verso destra, ma al posto del sorriso di Eugenio ho trovato un volto sconosciuto. Vestito da barman c'era un uomo dal viso abbronzato e dai capelli brillantinati. Ho pensato a un errore eppure il posto era quello, riconoscevo il bancone. Qualcuno però aveva riposizionato la vetrinetta con i cornetti scongelati e il gabbiotto con i gratta e vinci era ricomparso.

Mentre cercavo di raccapezzarmi ho visto in fondo al locale la Wanda e gli altri. Ho fatto un cenno con la mano prima a uno poi a un altro e loro si sono voltati, ignorandomi. Ma cosa diavolo stava succedendo? Fortunatamente accanto a me ho visto la Franci che sorseggiava il caffè e per un attimo mi sono rincuorato. “Ciao bella” le ho detto, facendomi vicino. “Ci conosciamo?” mi ha risposto lei, glaciale. L’ho guardata, smarrito, senza sapere cosa dire.

Lei in compenso mi ha apostrofato con un “Inizia presto lei a tampinare le donne, eh?!” E se ne è andata infastidita. Alle mie spalle il nonno mi ha lanciato un’occhiata divertita. Io l’ho salutato e subito mi sono accovacciato per accarezzare il suo cane fedele. “Stia attento perché con gli sconosciuti a volte è aggressivo”. Quello è stato il segnale. Lì, ho capito che ero precipitato in un’altra dimensione e la magia era svanita. Stordito, mi sono fatto largo tra la gente e sono uscito in strada senza neppure prendere un caffè. Accanto alla mia auto in doppia fila, una solerte vigilessa stava compilando la sua prima multa della giornata.