Gli oceani e i mari del globo sono da sempre interessati da forti correnti che ne determinano le caratteristiche chimiche, fisiche e biologiche degli stessi.

Da un punto di vista oceanografico, le correnti si distinguono in superficiali e profonde, benché esistano anche le cosiddette correnti intermedie, a seconda della profondità alla quale hanno origine. Le correnti superficiali, che insieme ai venti determinano il clima globale, sono molte, ma le più importanti da un punto di vista produttivo sono quelle che lambiscono le coste e che causano i cosiddetti fenomeni di upwelling, risalita di acque profonde ricche di nutrienti, che stanno alla base delle reti trofiche (catene alimentari) marine. Al mondo, uno dei fenomeni di upwelling più importante è dato dalla corrente del Perù, che si forma quando la Corrente Circumpolare Antartica, la quale circonda l’intero continente antartico, devia verso nord lungo le coste occidentali dell’America meridionale. Durante l’upwelling, le correnti profonde ricche di phytoplancton raggiungono la superficie richiamando tutta una serie di organismi: zooplancton, pesci, mammiferi marini, uccelli e favorendo dunque un’attività di pesca molto intensa.

Il Perù risulta infatti una delle zone più produttive al mondo. In condizione normali, i venti Alisei, a livello dei tropici, generano delle correnti a nord e a sud dell’equatore, dirette verso occidente; la corrente del Perù, dunque, e quella sud equatoriale, fluendo verso ovest, generano un vortice, e lo stesso si verifica in prossimità degli altri continenti e negli altri oceani. Tuttavia, variazioni meteorologiche quali instabilità stagionale, variabilità termica, forza del vento, variazioni di pressione, possono interferire con la circolazione oceaniche andando in qualche modo a “sballare” le direzioni delle correnti, con conseguenze notevoli sulla produttività e sul clima globale.

È il caso di El Niño, fenomeno conosciuto in particolar modo in America latina, dove, periodicamente, la corrente del Perù risulta meno intensa a causa di un innalzamento della temperatura delle acque superficiali oceaniche che impedisce la risalita di acque profonde ricche di nutrienti, e così una drastica riduzione della produttività. Il meccanismo oceanografico di El Niño è dovuto a una variazione della pressione atmosferica fra un centro di alta pressione (nel Pacifico sud-orientale) e uno di alta pressione (in Indonesia e Australia).

In condizioni normali, la differenza fra alta e bassa pressione spinge gli Alisei verso ovest sino a provocare l’innalzamento delle acque profonde, ma, quando prevale El Niño, la differenza di pressione è talmente esigua tale da provocare un’inversione degli Alisei e l’impedimento dell’upwelling. Da un punto di vista climatologico si hanno di conseguenza un abbassamento delle temperature e forti piogge in Sudamerica, mentre Indonesia e Australia vengono colpite da siccità e innalzamento delle temperature. Tra gli eventi di El Niño più forti registrati si ricordano quelli del 1982/83, 1997/98, 2014/16. Il fenomeno opposto a El Niño è chiamato La Niña e consiste in un’intensificazione delle condizioni climatiche e oceanografiche normali con temperatura delle acque superficiali del Pacifico orientale centrale più basse di 3-5 °C e piogge intense in Indonesia e Australia.

Una delle correnti più importanti a livello oceanografico è senza dubbio la corrente Circumpolare Antartica, sicuramente la più rilevante fra le correnti occidentali, che, tra i 55° e i 65° di latitudine sud, circonda l’intero globo e il continente antartico senza incontrare ostacoli nel suo percorso, attraversando le parti più meridionali dei tre oceani.

Osservata per la prima volta dall’astronomo Edmond Halley nel 1700 e successivamente descritta dai navigatori ed esploratori James Cook e James Ross, è una corrente che scorre tra i 2000 e i 4000 metri di profondità, che separa in qualche modo il continente di ghiaccio dal resto del mondo. Infatti, in questa zona definita di “convergenza antartica” si verifica un netto confine tra le acque del continente e quelle più a nord dei restanti oceani, dove un salto termico di circa 3 °C crea una sorta di barriera fisica ma anche biologica. Qui, le acque superficiali antartiche più fredde incontrano quelle relativamente più calde delle parti meridionali degli oceani senza mescolarsi fra loro. Tale barriera ha fatto si che la maggior parte delle specie antartiche risultino endemiche, quindi presenti esclusivamente in questo continente.

Spostandoci nell’Oceano Atlantico troviamo la forse meglio conosciuta “corrente del Golfo”, una corrente “calda” che si forma in prossimità del golfo del Messico dalla corrente nord equatoriale che piega a nord est dal continente americano a una profondità compresa tra i 500 e i 2000 metri. Questa corrente cosiddetta calda, poiché si forma in zone tropicali calde, partendo dal Messico si sposta lungo il continente nord americano incontrando dapprima il Mar dei Sargassi, poi, superato Capo Hatteras a latitudini più alte, devia verso il nord Europa dove trasporta calore mitigando il clima di alcune nazioni quali Irlanda e Gran Bretagna, e impedendo che le stesse congelino durante la stagione invernale. Alcuni studi recenti suppongono che la corrente del Golfo stia rallentando il suo percorso a causa dei cambiamenti climatici e dello scioglimento dei ghiacci, il quale causerebbe il riversamento in mare di acqua fredda e dolce che a sua volta farebbe affondare l’acqua salata e calda del Golfo del Messico. Questo fenomeno porterebbe a un riscaldamento globale e a un raffreddamento più costante dell’Europa.

Il Mar Mediterraneo è anch’esso, al pari degli oceani, interessato da una circolazione sia superficiale che profonda, la quale coinvolge l’intero bacino, determinandone il clima. In linea di massima, il Mediterraneo “vive” grazie al costante afflusso di acqua dall’oceano Atlantico che, quest’ultimo, se non ci fosse, porterebbe il Mare Nostrum alla sua totale evaporazione, fenomeno che accadde già in periodi geologici antichi (5 milioni di anni fa) durante la “crisi del Messiniano”.

Le acque atlantiche superficiali varcano, infatti, lo Stretto di Gibilterra, che raggiunge profondità massima di ̴ 300 metri, procedendo verso est tramite la corrente Algerina, quando lambiscono le coste dell’Algeria, poi attraversano il canale di Sicilia dirigendosi verso la Grecia ed entrando nel Mar di Levante. Qui, a sud dell’isola di Rodi, il progressivo aumento di salinità e calore ne favorisce l’affondamento creando, a profondità intermedie, le acque levantine che ripercorrono a ritroso, verso ovest, il cammino delle acque atlantiche da Gibilterra. La corrente levantina, a profondità di 200-500 metri, raggiunge Gibilterra richiamando altra acqua dall’Atlantico e ricominciando il ciclo. Se non ci fosse questa corrente, non ci sarebbe il ricambio di acqua con l’Atlantico.

Per quanto riguarda le correnti profonde, le regioni dove si formano sono principalmente il Golfo del Leone (profondità massima 1200 metri) e il bacino Adriatico (profondità massima 1233 metri). In entrambe le zone, la diminuzione di temperatura in inverno e i forti venti che interessano l’area, favoriscono un aumento del peso specifico delle acque superficiali e il conseguente affondamento. Le acque nord adriatiche del Golfo di Trieste, raffreddandosi, creano una corrente verso sud che sprofonda al di sotto del Canale di Otranto mescolandosi più a sud con la corrente levantina.

A livello oceanico, invece, le acque profonde si formano da una ramificazione della corrente del Golfo che, raggiunto il Mar di Groenlandia, si inabissano a causa della bassa temperatura e dell’elevata salinità in quanto provenienti dal Golfo del Messico. Una volta raggiunte profondità superiori ai 1000 metri si dirigono verso sud parallelamente alla dorsale atlantica, a una temperatura inferiore ai 3,5 °C, dirigendosi verso il Capo di Buona Speranza, gli oceani Indiano e Pacifico, circolando attorno all’Australia e alla Nuova Zelanda e ritornando verso occidente tramite la cosiddetta via calda (temperatura superiore ai 3,5°C). Queste acque riattraversano l’Oceano Indiano, il Capo di Buona Speranza e tornano in Atlantico confluendo nella corrente del Golfo, il tutto dopo circa 1000 anni di viaggio. Questo rappresenta il nastro trasportatore globale, ciò che a tutti gli effetti determina il clima globale e che ci ha permesso di conoscere le stagioni e il clima così come oggi li conosciamo.