Michele Pellegrino espone dal 19 luglio al 30 settembre nel Complesso Monumentale di San Francesco, l’ex chiesa di San Francesco di Cuneo un’antologica che ripercorre 50 anni della sua produzione fotografica e attesta la donazione del suo intero archivio fotografico alla Fondazione CRC (Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo).

Una parabola fotografica è il titolo della mostra a cura di Enzo Biffi Gentile dove scorrono 75 fotografie presentate in 19 sezioni monotematiche, divise tra la navata e le cappelle, una selezione ampia ed esaustiva della storia fotografica di Michele Pellegrino, classe 1934, autodidatta che diventa fotografo di professione a 33 anni, pubblica nel 1972 il suo primo libro e in breve si fa conoscere in Italia e all’estero.

“Tutto è davvero nato per caso, anzi per un incidente che mi è capitato a 33 anni quando sono caduto sugli sci al Plateau Rosa e mi sono rotto una gamba e sono rimasto ingessato per cento giorni. Mio fratello mi aveva portato un libro di cinema con bellissime foto e proprio quelle immagini mi hanno aperto un mondo e da lì ho acquistato una macchina fotografica. Ho continuato per conto mio con pazienza e ho individuato subito temi interessanti. Avevo capito che l’importante per me era raccontare delle storie” spiega l’autore ottantaquatreenne che è passato con naturalezza dall’analogico al digitale e ora ha in cantiere due nuovi progetti.

La prima sezione della mostra di Cuneo riunisce i ritratti dei contadini negli anni ’70, dai mezzadri della pianura ai montanari delle alture delle Langhe. “Era un argomento che conoscevo bene perché l’ho vissuto in prima persona quando, da piccolo, dopo la scuola andavo al pascolo. Così ho voluto partire da lì con la mia fotografia, da un mondo che mi apparteneva. Ho lavorato parecchi anni con loro e avevo il vantaggio di farmi capire perché parlavo lo stesso linguaggio e non era una cosa semplice a quei tempi ottenere l’attenzione dei montanari, tanto più con una macchina fotografica. Per riuscire ad avere bei ritratti, preferisco che la persona che ho davanti si atteggi per quello che vorrebbe essere, si deve aspettare con pazienza e poi al momento giusto scattare. Ho girato tutte le vallate e ho lavorato su questa tema per sette-otto anni. Credo che sia l’unica provincia che abbia un repertorio fotografico così ricco e capillare su questo tema”.

La sezione Padri e sorelle è invece dedicata ai frati e alle suore di clausura. Personaggi fuori dal tempo e dalla società che Pellegrino ha ritratto dal 1972 al 1980 offrendo una testimonianza unica e sorprendente. “Sono orgoglioso perché è l’unico lavoro esistente sulla clausura degli anni ‘70. Più di recente le porte dei monasteri si sono aperte a molti fotografi. Mi ero innamorato del radio-documentario di Sergio Zavoli sulla clausura. E sono partito con questa idea folle superando tanti ostacoli e armato ancora una volta di tanta pazienza. Con le suore era più facile ma con i frati era più difficile. Quando entravo nei monasteri non sapevo cosa mi sarei trovato davanti e avevo sempre badesse e priori alle calcagna e poco tempo a disposizione. È stata una bella avventura. Non si deve credere che suore e frati non avessero conoscenza del mondo esterno. Erano aggiornati. Parlavo con loro di tante cose. Certo ci sono immagini particolari e sguardi sorprendenti. Queste foto sono state esposte anche all’Accademia di Belle arti di Urbino. E stata un’esperienza straordinaria. Al monastero certosino della Grande Chartreuse nelle Alpi francesi, l’abate mi disse che ero il sesto laico in sei secoli, entrato nella Chartreuse”. Si può dire che una missione fotografica guida l’obiettivo di Michele Pellegrino.

“Ho fotografato sposi e matrimoni, il libro che ha avuto più successo dei 20 che ho fatto e con questo progetto ho fatto una mostra a Venezia con Mario Giacomelli. Tutti i miei libri hanno un denominatore comune, l’uomo e il suo porsi davanti alla vita”. Ma, a un certo punto, Pellegrino decide di cambiare e volgere il suo sguardo altrove. “Mi ero stufato ed ero deluso dalle persone. E quindi ho orientato il mio occhio verso le montagne, intese come l’origine del mondo. Io volevo fare qualcosa di primigenio, poi ho fotografato il mare, poi ancora delle figure. Adesso sto sviluppando un lavoro sugli alberi e ho in mente di fare qualcosa sul senso del sacro” spiega. La fotografia di Pellegrino segue il suo pensiero libero. “Ho vissuto bene perché non ho dovuto render conto a nessuno, facevo le foto per lavoro e poi nel tempo libero facevo la mia ricerca personale”. La mostra sarà accompagnata da Storie, una speciale monografia sull'intera opera di Pellegrino edita da Skira con testi critici redatti da Enzo Biffi Gentili e Walter Guadagnini.