27 dicembre 1977: promulgazione della legge n. 968 che indica i “principi generali e disposizioni per la protezione e la tutela della fauna e la disciplina della caccia” in virtù della quale il lupo, ridotto in Italia a poche decine di esemplari, viene inserito tra le specie particolarmente protette bloccandone di fatto l’attività venatoria e ponendo così le basi per la progressiva ripresa della popolazione.

20 luglio 2015: a Bettola, provincia di Parma, una ragazza di 17 anni viene azzannata a una caviglia mentre sta portando a spasso i suoi due cani i quali reagiscono e mettono in fuga l’aggressore sul quale il servizio veterinario della ASL di Piacenza si pronuncia così: “dai primi accertamenti possiamo dire che la bestia che ha morsicato la studentessa è quasi certamente un lupo”.

Verso la fine degli anni Settanta del secolo scorso, quando ho iniziato ad andare per boschi, rinvenire nel fango o nella neve la traccia di un ungulato o sentire il bercio di un capriolo era un evento eccezionale. Il territorio appenninico, dopo l’abbandono per spopolamento verificatosi alla fine del secondo conflitto mondiale, dopo secoli di sfruttamento agricolo forestale, di pascolo e di caccia spietata, veniva riconsegnato alla natura.

Lentamente i fianchi delle colline e gli antichi borghi deserti si andavano ricoprendo di boscaglie che col passare del tempo hanno ripreso, cinquanta anni dopo, la dignità di bosco. Successivamente, l’introduzione a scopo venatorio di massicce quantità di selvaggina in particolare di ungulati, portò, complice la quasi totale assenza di predatori naturali, a una sovrappopolazione faunistica con gravi ripercussioni sull’assetto agricolo forestale del territorio. Si aggiunga che la caccia, per incentivare la quale si sono riempiti i boschi di cinghiali e caprioli, si è notevolmente ridimensionata sia per motivi economici che culturali, facendo mancare anche quella parte di predazione non naturale che almeno inizialmente controbilanciava l’espansione forzata della selvaggina.

Intanto il lupo dagli anni Settanta, grazie alla protezione della legge e a programmi di tutela come l'Operazione San Francesco, dagli estremi rifugi della Marsica e delle montagne del Pollino e della Sila, iniziava la riconquista del suo territorio spingendosi sempre più a nord e, unendosi alle popolazioni provenienti dai Balcani e dalle Alpi, si è infine riappropriato del suo originario areale di distribuzione.

Ora questo affascinante, versatile e intelligente predatore è presente su tutto il territorio italiano e domina incontrastato trovandosi in condizioni a lui così favorevoli come mai in passato: totale protezione e sovrabbondanza di prede con comprensibile soddisfazione delle associazioni naturalistiche ed entusiasmo dell’opinione pubblica. Indubbiamente, da ecologista quale mi ritengo, non posso che essere contento del successo di un operazione a cui, giovane appassionato, avevo aderito con trasporto. Io c’ero a Pescasseroli, nel cuore del Parco Nazionale d’Abruzzo, quando il WWF nei primi anni Ottanta varava programmi di protezione del lupo e l’incontro col fantastico animale era la segreta, insperata meta di escursioni e appostamenti. Chi riusciva a vederlo o addirittura a fotografarlo, con mimetizzazioni imbarazzanti e teleobiettivi mostruosi, veniva guardato con ammirazione e quasi venerato nell’ambiente dei naturalisti. Ora però da qualche anno le fototrappole scattano foto inquietanti con piccoli branchi che trotterellano nei parchi appena fuori le periferie delle grandi città, e a me personalmente è capitato di incontrarne un paio in occasioni diverse e, sinceramente, mi è parso che non fossero particolarmente spaventati dalla mia presenza.

Ultimamente poi, si moltiplicano articoli e segnalazioni come quella che ho citato in apertura riguardante la ragazza attaccata da un probabile lupo, sulla cui attendibilità a me pare non si possa dubitare ad oltranza. Eppure ogni pubblicazione mediatica ufficiale che riguarda il nostro amico a quattro zampe lo dipinge come un innocuo cucciolone che si aggira sempre più numeroso nelle nostre vallate tra la gioia di tutti e le timide segnalazioni controcorrente, come l’ultima risalente a qualche settimana fa, riguardante una turista tedesca sbranata, sì, proprio mangiata viva, in una spiaggia nel nord della Grecia viene bisbigliata sottotraccia in trafiletti a fondo pagina finché non viene dichiarato solennemente che si è trattato di cani randagi con buona pace di tutti.

Mi sembra che questa faccenda sia entrata a viva forza nell’ambito di quelle questioni che anziché venire affrontate in modo oggettivo e razionale, vengono gestite in base a umori e pregiudizi di massa ipocriti e assolutamente acritici da parte di persone che poi, alla fine, raramente si trovano”sul campo” ad affrontare il problema nella sua... mordente attualità.

Nell’agosto 2011 a Praslin, arcipelago delle Seychelles, un paradiso verde smeraldo incastonato nel turchese dell’Oceano Indiano, sulla celebre spiaggia di Anse Lazio, dove io stesso con un collega avevamo fatto un censimento della popolazione locale di tartarughe marine in una baia con meno di due metri di fondale, due turisti che nuotavano tranquillamente sono stati uccisi a pochi giorni di distanza da uno o più squali. Che problema c’è: tutti sanno che gli squali, anche se non abitualmente, possono essere antropofagi e, anche se ogni tanto “ci scappa il morto”, con le opportune cautele con bay watcher dislocati nelle aree a rischio o reti protettive tutti continuano a nuotare e addirittura a immergersi con quegli splendidi animali.

In nord America chiunque può andare a zonzo in aree popolate da enormi grizzly, ma mi risulta che venga reso edotto del rischio e fornito dai ranger di istruzioni comportamentali, ecc. ecc.; solo da noi i cercatori di funghi vengono attaccati dagli orsi come recentemente è avvenuto in Trentino e si cade tutti dal pero come se i nostri orsetti, o i nostri lupetti non fossero predatori come tutti gli altri loro fratelli del nuovo e del vecchio mondo, ma innocui pet toy per il nostro diletto. Forse perché si può prendere in considerazione l’idea di essere attaccati da un lupo in Wyoming o in Kamchatka o attaccati da un orso nella British Columbia, ma a Monzuno no? A Fai della Paganella? A Cles? Siamo seri!

Eppure soffermiamoci un attimo a riflettere: se storicamente il lupo si è guadagnato una fama così sinistra da venire considerato il simbolo stesso della malvagità in tutte le favole e i miti: dal medioevo ai fratelli Grimm, una ragione ci sarà pure!

In realtà come per il leone, l'orso o lo squalo, il lupo non preda l’uomo ABITUALMENTE, ma se messo alle strette o in particolari circostanze OCCASIONALMENTE lo ha fatto e molto probabilmente lo rifarà. Uno degli argomenti che vengono più frequentemente sollevati dai negazionisti è che il lupo avrebbe paura dell’uomo. Forse questo era vero fino al secolo scorso quando veniva perseguitato senza pietà, ma i mammiferi apprendono attraverso meccanismi di imprinting, cioè per esperienze acquisite dai genitori o dal branco non per acquisizioni innate. E non avendo ovviamente testi scritti o memoria storica, la pericolosità dell’uomo nei suoi confronti il lupo italico non la esperisce da almeno 4 sue generazioni. Anzi si accorge che avviene l’esatto contrario: dove c’è uomo c’è cibo, bestiame, residui di pic nic, discariche, e questo strano, alto bipede non ci fa assolutamente nulla, sembra felice quando ci incontra e ci guarda di nascosto mostrando i suoi ridicoli dentini ma non in modo aggressivo... questo esperisce il lupo oggi in Italia.

Intendiamoci bene: io sono davvero felice che lui torni a predare su montagne nuovamente ricche di caprioli, daini, cervi e cinghiali limitandone opportunamente la popolazione e ristabilendo così quella selezione naturale indispensabile per un ambiente sano ed equilibrato. Solo che se io umano decido di avventurarmi in un simile scenario con spirito di rispetto e di tutela, devo accettare anche l’idea che di tale selezione e di tale equilibrio faccio parte integrante e devo anche accettare che questa volta non ci sono io all’apice della piramide alimentare, questa volta è lui il predatore alfa: sua maestà il lupo.

Sarò sciocco, ma ora mi aggiro per i boschi e i monti dell’Appennino con una nuova antica paura: la paura di poter essere preda.