Il linguaggio è territorio.
La moda in quanto linguaggio accampa il suo governo sul territorio.
Il territorio dell’oggi ha l’indefinibile planimetria offerta dalla tecnologia.
La tecnologia ha casa nell’ovunque e così, domestica, connette pensieri, idee e categorie.
L’elettronica ha il ruolo che il cavallo ha avuto all’origine della comunicazione tra uomini, ossia accorciare le distanze.
L’accesso alla rete ha creato autonomia totale nel comunicare opinione e nel trovare slogan e codifiche sociali d’interconnessione, al punto che i tradizionali mezzi di comunicazione quali carta stampata, radio e televisione si sono adeguati ad un concetto di “ologrammabilità” sociale.
Per “ologrammabilità” s’intende la possibilità di una terza dimensione data dall’essere ovunque in ogni istante fruibili attraverso internet e comunicarsi in tempo reale e in totale autonomia accanto a ciascuno di noi.
Le fasce di pubblico giovane sono in tale contesto favorite dall’essere naturalmente connesse ad un mondo che gli appartiene per nascita.
La moda è figlia di un tempo ciclico di continui ritorni, ma ad ogni ritorno si aggiunge il tassello dettato dalla contingenza storica. Dal minimalismo all’imperialismo dei loghi tutto è presente e tutto si mescola.
La moda d’oggi ha grafiche non legate ad un agire politico ed emotivo ma ad un esercizio orgiastico di segni e simboli che si traducono in grafiche per segnaletiche da contenitore e la sintesi del segno è valore.
Il corpo umano è la scatola di un elettro-domestico dove l’elettronica ha sostituito il corpo fisico e raggiunge le posizioni più lontane del riconoscimento sociale attraverso la targa di una griffe della moda o ipotetici quantitativi di seguaci di una pagina social.
La sintesi è la linfa di questo sistema.
La spiegazione di un concetto, la conoscenza delle ragioni che lo esprimono, la sua storia, la sua sostanza ed essenza, assumono altre proporzioni narrative e muta la fruizione della qualità percepita.
Ecco perché assistiamo alla diffusa manifestazione del corpo tatuato, dove è il corpo che si sostituisce alla mente nell’affrontare l’altro in un monologo senza ritorno e sul fronte abbigliamento, al ritorno prepotente della logomania, in un tempo in cui si è bruciato il valore d’origine dei marchi in favore dei numeri, per vestirci di targhe che sono il valore che in sé riconosciamo.
Nelle ultime stagioni l’integrazione dell’abbigliamento da lavoro sulle passerelle del prêt-à-porter internazionale, portato da una corrente creativa dell’Europa dell’Est, con cromie e grafiche prese a prestito da ambiti professionali appartenenti ai ceti meno abbienti, ha posto in luce lo stridente rapporto tra qualità reale e qualità percepita tra ruolo sociale e gioco al contagio.
Tutto è governato dal surrogato del contenuto.
Non è una linea di condotta che si cerca ma la totalità della condotta a pretesto di un segno distintivo fatto dalla sua assenza.
Il linguaggio dell’elettronica ha addizionato la moda dei suoi meccanismi, mutando la direzione ascensionale dell’atto creativo in favore di quella orizzontale dove si predilige esprimere una battuta più che l’intera opera in favore di un pluralismo di voci che segna un indirizzo sempre più casalingo dello stile dove la targa da il valore all’artefatto di una moda sempre più “elettro-logo-domestica”.