Qual è il significato dell’attività del curatore oggi? Mero organizzatore? Scopritore di talenti? Punto di riferimento per artisti o galleristi? Ne abbiamo parlato con Camilla Boemio, scrittrice d’arte, teorica e curatrice d’arte (ricordiamo la co-curatela di Portable Nation – Padiglione delle Maldive, 55° Esposizione Internazionale d’Arte La Biennale di Venezia nel 2013; la curatela di Diminished Capacity – Padiglione della Nigeria, XV Mostra Internazionale di Architettura nel 2016; la curatela di Delivering Obsolescence: Art Bank, Data Bank, Food Bank, Progetto Speciale della 5th Odessa Biennale of Contemporary Art nel 2017.

Quale significato attribuisci alla parola "curare"?

Il valore più alto della accezione della parola: la dedizione nel divulgare, presentare, spiegare e offrire una proposta culturale d’arte visiva che crei attenzione, scuota e innesti un dibattito con i visitatori della mostra e i lettori di una pubblicazione. La curatela per me è una sorta di coltivazione delle piante, alle varie fasi bisogna dedicare una vigile assistenza fatta di premure, di pazienza e forgiata dall’attesa nel vedere maturare le teorie, l’applicazione dei concetti e la pratica artistica. Una pianta ha bisogno del sole e dell'aria; così una mostra ha bisogno delle condizioni ideali per potere creare un flusso, cambiare attivamente il linguaggio d’arte proponendo nuove chiavi di lettura, sperimentare, stabilire un ordine filologico e un metodo curatoriale e innalzare il dibattito critico. Arrivando talvolta a non accontentarsi della conoscenza del mondo, ma intervenendo nel dirigere i movimenti, citando Marx “I filosofi hanno solo interpretato differentemente il mondo, l’importante è invece cambiarlo”. Quando l’arte può attivare e innescare nuove modalità sociali ed estetiche? Il curatore entra in gioco per garantire un humus fertile attuando le condizioni vigili e aprendo nuove strade al pensiero, intercettando le modalità per rappresentare l’avvio di un movimento o di una ricerca, di un processo estetico o di una funzione innovativa.

Nella tua attività di curatore internazionale hai avuto modo di conoscere altre realtà oltre a quella italiana. Quali sono, se ci sono, le principali differenze tra il contesto internazionale e quello italiano?

Ci sono alcune lacune tipiche dell’Italia, riscontrate nella diffusa mentalità comune e nel sistema lavorativo. Come mi ha fatto presente un noto filosofo Inglese durante un simposio a Rochester, dovrei appartenere a quella specie di Italiani che hanno un senso di spiccata critica verso la struttura ierocratica tradizionale del potere. Le aperture devono sempre essere praticate e non rimanere statiche promozioni adottate al momento. Bisognerebbe realmente creare e sostenere un sistema modulato nello scambio, nel quale ci siano i presupposti per vedere crescere le strutture culturali. Nei sistemi internazionali sono presenti forti competizioni, ma la necessità nel garantire sempre proposte di qualità porta a una modalità continuativa nel determinare i ruoli e l’entrate di nuovi attori. La meritocrazia data da una maggiore trasparenza nelle scelte delle direzioni museali o nelle nomine tout court all’interno di parametri più definiti crea le condizioni per avviare una reale crescita del capitale cultuale. I luoghi d’arte sono vissuti, frequentati dagli operatori del settore ma anche da un numero significativo di persone che decidono di trascorrere il loro tempo libero in contesti dove si produce e propone l’arte. Un altro punto inesistente è lo stallo tutto Italiano dettato dalla competizione tra arte antica e arte contemporanea, che rivela solo mediocrità e una coatta affabulazione nel cercare di modulare a proprio piacimento i budget ministeriali. Per essere uomini consapevoli del proprio periodo storico dobbiamo essere in grado di rapportarci con l’ingegno del nostro periodo, o comunque con le proposte attuali. Il nostro cervello non dovrebbe essere più come quello di un individuo dell’ottocento, o sbaglio?

Molti artisti oggi vivono la loro carriera in modo meno dipendente dall'azione del critico/curatore. Secondo te qual è il futuro di questa figura?

Siamo in una periodo di forti conflittualità e di estese incertezze; anche l’ambiente della cultura si permea di fasi di crisi nelle quali assimila i contraccolpi dati dagli squilibri sociali. L’individualità prende sempre di più piede, nello stesso tempo vengono proposte forme di gestione museali atipiche quasi a ribadire i bisogni indotti dal populismo dilagante e dalla radicale intolleranza nei confronti di chi si occupa di cultura. Ritengo indispensabile fare squadra, è uno dei primi insegnamenti che all’estero vengono impressi alle giovani generazioni. L’arte contemporanea è composta da tante figure professionali l’una indispensabile all’altra, se si alterano i passaggi delle catena non otteniamo nessun giovamento se non un ulteriore isolamento. Il futuro di questa figura sarà sempre più professionale e articolata nel tessuto stesso delle comunità cittadine, avremo sempre di più figure specializzate in grado di dialogare con gli artisti esplorando nuove collisioni con altre discipline, come la scienza (ad esempio, le tecnologie avanzate), l'architettura o gli interventi sociali e politici.

Dei progetti che hai curato fino ad oggi a quale ti senti particolarmente legata e perché?

Il progetto ISWA è stato uno dei bandi Europei più interessanti nel quale sono stata consulente della sezione dedicata all'arte. La missione era di eliminare il gap tra scienza e società, avvicinando le giovani generazioni alla scienza, proponendo l’arte come una migliore comprensione e attuando un’esplorazione inedita attraverso le arti. Nel suo topic e nella missione stessa del progetto c’erano tutti gli elementi indispensabili per potere creare in un curatore un enorme entusiasmo nel potere strutturare delle mostre, delle pubblicazioni e dei workshop articolati in tutta Europa potendo spaziare le varie tematiche di analisi: dai legami tra politica e scienza, alle neuroscienze, alla bio tech art, alla genetica, alla fisica, alle nano tecnologie, i cambiamenti climatici, il rinnovamento cellulare, la cultura della scienza, la medicina, le collezioni scientifiche, fino alla biodiversità e alla conservazione. Una delle mostre curate è stata After the Crash all’Orto Botanico, in uno dei musei più venusti di Roma. Tra i progetti della mostra ho presentato The Other Night Sky di Trevor Paglen, che ha tracciato e fotografato i satelliti americani, classificati i detriti spaziali e altri oggetti oscuri presenti nell'orbita terrestre. Il progetto ha utilizzato i dati osservati e prodotti da una rete internazionale di osservatori satellitari amatoriali che hanno calcolato la posizione e la tempistica dei transiti sopraelevati fotografati con dei telescopi e delle fotocamere di grande formato. Oltre ad avere realizzato dei lavori di land art site-specific come quello commissionato all’artista Steven Siegel che ha visto il riuso di materiale di scarto. La tecnologia e la scienza sono discipline centrali nelle società che vogliono basare lo sviluppo nella crescita della conoscenza, la diffusione di queste ultime diventa perno fondamentale per uno sviluppo adeguato e democratico.

Quali sono i tuoi progetti futuri?

Parteciperò alla conferenza biennale internazionale TransCultural Exchange. Questo anno per la prima volta si svolgerà a Québec City (nel 2016 la città della cultura), in Canada. Verranno trattati i temi portanti relativi all'arte contemporanea con oltre cento relatori provenienti da quasi quaranta paesi: dal Giappone, l'Australia il Camerun e l'Europa, gli Stati Uniti e il Sud America. La conferenza sarà un modus operandi per analizzare lo stato dell'arte di oggi, la sua saturazione, i potenziali nuovi orizzonti e le pratiche artistiche nei diversi continenti. Tra le mie prossime curatele segnalo un mio “ritorno” in California. Sono stata invitata a curare una mostra in un noto spazio no-profit di Los Angeles, nel quale ho pensato di strutturare un progetto di analisi della scena artistica Italiana. La mostra vuole fornire un contesto di confronto, dialogo e una riflessione sui dibattiti teorici sull'arte italiana di una generazione in relazione all'identità culturale: le migrazioni, il lavoro, la crisi, la spiritualità, la città, la geopolitica, i vari temi creeranno una sorta di atlante nel quale le pratiche artistiche tracceranno dinamiche poliedriche. In questo stato di cambiamento i "frammenti" fanno parte di questa realtà sedimentata dai collegamenti con il passato e i segni in corso. Se la mostra vuole fare conoscere artisti molto validi, ma non conosciuti all’estero quanto Maurizio Cattelan, la pubblicazione realizzata con i miei testi dall’editore e artista Giulio Lacchini (tra gli artisti in mostra) vuole estendere il focus a un numero maggiore di progetti creando un doppio dialogo con la scena artistica di Los Angeles. Quante affinità e differenze? Il tutto magari si fonderà creando dei confini più eterei che portano verso Mulholland Drive. Una sorta di sospensione temporale. Come è stato scritto “Mulholland Drive rappresenta una specie di rivoluzione copernicana: rende l’intuizione, e non solo la deduzione, il suo più grande mezzo di coinvolgimento”. La complessità rende ogni progetto denso di magia.