Era il 10 ottobre 1985, e una foto emblematica racconta di quella notte: un Boeing 737 dell'EgiptAir, con intorno 39 fucilieri della Vam, la Vigilanza dell'Aeronautica Militare, a loro volta circondati da 80 marines del corpo speciale della Delta Force arrivati da lì a poco a bordo di due Hercules C130, furono accerchiati da 85 carabinieri arrivati da Ragusa e Siracusa. Sarà ricordata come la "Notte di Sigonella", la notte in cui gli Stati Uniti pretesero la consegna dei terroristi dell'Achille Lauro per trasferirli negli USA, mentre Craxi, proprio perché l'assalto terrorista era avvenuto su una nave italiana in acque internazionali, usò il pugno fermo per far processare i quattro palestinesi in Italia. Reagan, che sulle prime andò su tutte le furie, vista la fermezza di Craxi rinunciò. Per la prima volta l'Italia disse no agli Stati Uniti e per la prima volta dopo la guerra si sfiorò un conflitto a fuoco tra i marines della Delta Force da una parte e i nostri avieri e carabinieri dall'altra.

Una nave e l'Italia. La vicenda dell'Achille Lauro, con tutto ciò che ne è conseguito, può ancora essere ricordata come un passaggio significativo della nostra storia che ha in qualche misura cambiato i partiti, i rapporti tra di loro, i rapporti tra i partiti e l'opinione pubblica, quelli tra i mass media e tra i mass media e i lettori. E al centro della riflessione di politologi e sociologi verranno a trovarsi i quattro discorsi parlamentari di Craxi, che, dal 17 ottobre all'8 novembre 1985, hanno segnato l'apertura e la chiusura della crisi; lo spegnersi, il riaccendersi e ancora lo spegnersi dello scontro politico.

Per la prima volta un Presidente del Consiglio ha visto, dopo le dimissioni, aumentare la sua popolarità, ha stabilito un dialogo diretto con l'opinione pubblica, ha raccolto consensi e applausi nei partiti della maggioranza e anche dell'opposizione, sostenendo che, come nelle democrazie più mature, su delicate e difficili questioni di politica estera può svilupparsi una solidarietà che va al di là dei partiti di governo. Per la prima volta da tempo, il Parlamento tornò davvero, totalmente, nella sua centralità. Lì, sotto le telecamere che hanno portato le immagini alla vista a milioni di spettatori, non nei corridoi e nelle stanze dei gruppi di pressione, tra gli applausi o le contestazioni dei deputati e dei senatori, in modo repentino si sono decise e più volte ribaltate le sorti della maggioranza. Non soltanto. Un Parlamento di nuovo nel pieno del suo prestigio, come osservò un fondo de La Stampa, ha fatto notizia ed è stato sulle prime pagine di tutto il mondo, al centro di consensi e dissensi da parte di tutti i protagonisti della scena internazionale, e di commenti comunque improntati al rispetto e all'attenzione: dal Cairo a Madrid, da Amman a Londra, da Mosca a New York.

Per la prima volta si creò una delicata crisi con gli Stati Uniti, che tuttavia si risolse senza che l'Italia rinunciasse alle sue posizioni e senza che la tradizionale amicizia subisse il benché minimo pregiudizio. I politici e i commentatori "più realisti del Re", o meglio più "reaganiani di Reagan", si trovarono spiazzati e confusi nel constatare che tra Craxi e il capo della Casa Bianca, appena i termini reali delle questioni furono meglio chiariti, si ritrovò una intesa. Perché come scrisse Kissinger, Italia e Stati Uniti erano entrambi obbligati a comportarsi come si comportarono. Perché tra alleati leali il dissenso e la franchezza si rispettano. Perché, pur nella piena coerenza con la NATO, all'Italia - nel mare dove il suo stivale è profondamente immerso - vengono riconosciuti uno straordinario interesse per la pace, un ruolo non necessariamente coincidente con quello degli Stati Uniti e una visione del Medio Oriente inevitabilmente diversa da quella di chi sta in un continente al di là dell'oceano.

Per la prima volta nel Paese si avvertì forte e chiaro un sentimento di dignità nazionale, che ha dato adito a parallelismi storici e approfondimenti, al contempo allarmanti e attraenti.