Figura chiave dello sviluppo del movimento Arte Povera, Michelangelo Pistoletto ha attraversato l’arte della seconda metà del Novecento, scrivendone una pagina storica e riportando l’Italia creativa al centro della scena internazionale. A testimonianza di questo straordinario percorso la mostra One and One makes Three, organizzata come evento collaterale della Biennale di Venezia e concepita per la Basilica di San Giorgio Maggiore e per gli spazi adiacenti, la sacrestia, il coro maggiore, la Sala del Capitolo e l’Officina dell’Arte Spirituale, è una vera e propria riflessione sul destino dell’uomo e sull’urgenza di un cambiamento sociale. La mostra è una vera e propria sintesi del percorso di Pistoletto dai suoi esordi fino ai giorni nostri.

“(...) Vedendo Bacon ho percepito che il mio problema, il mio dramma erano già lì, dichiarati, di un uomo alla ricerca della propria dimensione e del proprio spazio, una gabbia di vetro impenetrabile, in cui l’uomo viveva in uno stato talmente drammatico da essere soffocato, da non aver voce e spazio. Era un uomo bloccato, braccato, malato, distrutto, angosciato, splendidamente dipinto ma, in questo stato, terribilmente isolato (...). Ho continuato la mia ricerca, condensando proprio il mio lavoro sull’uomo, ma cercando di fare il contrario di Bacon: togliere tutta l’espressione e tutto il movimento dalle figure, così da raffreddare la drammaticità”.

È da qui che inizia il percorso della pratica di Pistoletto e che lo porterà dapprima agli autoritratti e poi alla realizzazione dei quadri specchianti. “Poiché provengo da una cultura artistica totalmente raffigurativa, ho assunto la mia persona come immagine da identificare. Per far questo ho utilizzato il metodo dell’autoritratto, che richiede l’uso dello specchio. L’immagine di me stesso, ritratta a dimensione naturale, è rimasta fissa nel quadro, mentre il fondo che la circonda è diventato specchio. Nello specchio divenuto opera d’arte è entrato il mondo, quindi il mio autoritratto è diventato l’autoritratto del mondo”.

È così che nel 1962 Pistoletto inizia a realizzare i suoi “quadri specchianti”: una lastra di acciaio inox lucidato a specchio sulla quale è applicata un’immagine ottenuta mediante una tecnica di riporto fotografico, consistente nel ricalcare una fotografia ingrandita a dimensioni reali, a punta di pennello su carta velina (sostituita dal 1971 da un processo serigrafico). In mostra accanto alle opere più storicizzate anche quadri specchianti che ritraggono Cuba e il suo popolo: “(...) partire da Cuba per sviluppare una nuova idea di politica. Questo è il mio pensiero. Da Cuba, in un momento di pressione e crisi sociale globale si può avviare un inedito modo di fare politica. Cuba non deve cedere all’unico modello che guida il mondo, visti i risultati attuali. Possiamo trasformare il mondo partendo da Cuba: è un terreno fertile per la sperimentazione, l’innovazione è il cambiamento. Noi siamo qui per questo (...). A Cuba si è consolidata una piattaforma culturale, artistica e scientifica sulla quale si può generare e far crescere una politica che porti al rinnovamento dell’intera società.” (Michelangelo Pistoletto, maggio 2015, La Habana, Cuba).

Molto particolare, considerando anche il contesto nel quale la mostra è stata allestita, la Sala del Capitolo, l’opera Il tempo del Giudizio che si configura come un tempio che riprende il concetto politeistico riunendo all’interno di uno stesso spazio l’Ebraismo, il Cattolicesimo, l’Islamismo, il Buddismo. Le quattro religioni più diffuse nel mondo sono così indotte a riflettere ciascuna su se stessa, come momento di radicale auto-confessione. Ciascuna religione è rappresentata da un elemento simbolico posto davanti a uno specchio: una statua di Buddha, un tappeto per la preghiera rivolto verso la Mecca, un inginocchiatoio. Fa eccezione l’Ebraismo che si presenta come specchi a forma di tavole della legge. Elemento unificante è lo specchio che riflette tra loro le religioni. Con quest’opera l’Arte diviene il catalizzatore dei significati relativi ai simboli delle religioni, poste in uno spazio comune, in grado di stimolare un equilibrio fra le conflittualità politiche e religiose che funestamente ricadono sul mondo intero. “L’Arte assume la Religione vuol dire che l’Arte fa dichiaratamente propria quella parte rappresentata dalle strutture che amministrano il pensiero, come la religione. Questo non per sostituirsi a esse, ma per sostituire a esse un diverso sistema di interpretazione destinato a estendere nella gente la capacità di esercitare autonomamente le funzioni del pensiero”.

Infine, ma è l’inizio di tutto il percorso espositivo, al centro della Basilica di San Giorgio Maggiore Pistoletto presenta Suspended Perimeter – Love Difference, un’installazione costituita da una serie di specchi “sospesi” che formano uno spazio circolare. L’opera si colloca come una sorta di controaltare, dove gli specchi fanno da tramite tra il visibile e il non visibile estendendo la vista oltre le sue normali facoltà, espandendo le caratteristiche dell’occhio e la capacità della mente, fino a offrirci la visione della totalità. Realizzata in uno spazio consacrato, dedito al raccoglimento e alla preghiera, assume una forza rinnovata aprendo a riflessioni sulle questioni più delicate che l’uomo contemporaneo sta affrontando quali il conflitto tra le religioni, l’accettazione delle differenze, la multiculturalità ma anche sul ruolo che l’arte può ancora sostenere per creare un territorio comune su cui confrontarsi.