Il mondo marino è rappresentato da innumerevoli specie animali, dai microscopici crostacei che compongono il plancton alle immense balenottere azzurre che solcano gli oceani, dalle forme più semplici come i platelminti o vermi piatti, attaccati alle rocce o ai coralli, a quelle più evolute come l’intelligente octopus in grado di svolgere azioni piuttosto complesse o il simpatico tursiope, amico dell’uomo e presente negli acquari.

Essendo l’habitat più esteso del nostro pianeta, occupando più del 70% della superficie terrestre, è naturale pensare che sia anche quello più ricco in termini di biodiversità, ambienti, nicchie ecologiche. Molte sono le specie che possiamo ritenere pericolose, o perché dotate di potenti veleni in grado di uccidere un essere umano o di strutture complesse e create appositamente per la propria difesa. Non ci sono dubbi che tutto ciò che sia stato creato dalla Natura abbia uno scopo ben preciso e un’utilità necessaria per la sopravvivenza. Come sosteneva Charles Darwin, il più forte sopravvive e il più debole perisce, grazie a quel meccanismo evolutivo complesso chiamato dallo stesso scienziato selezione naturale.

Sebbene l’uomo abbia da sempre cercato di raggiungere la perfezione, forse più che da un punto di vista fisico, da quello intellettuale, non ci è ancora riuscito e, a detta tutta, è molto probabile che non ci riuscirà mai. Gli animali sono perfettamente adattati all’ambiente in cui vivono e spesso l’uomo, con la sua testardaggine o brama di dominare, non si rende conto di dover semplicemente restare al suo posto e lasciare che sia la Natura a decidere quando è essa stessa la creatrice di tutto. Molti animali marini possono infliggere seri danni all’essere umano, generalmente tramite il tatto o il contatto diretto, e tra questi spiccano sicuramente gli Cnidari.

Più noti alla gente comune come meduse e coralli, gli cnidari sono organismi invertebrati piuttosto antichi: tracce di antiche formazioni madreporiche, dunque di reef corallini, risalgono a 500 milioni di anni fa e tra 560 e 360 milioni di anni fa vi furono degli aumenti dei coralli in concomitanza con un riscaldamento delle acque che portarono a un’estensione delle zone solitamente occupate dagli stessi. A differenza dei coralli che hanno uno scheletro duro costituito da carbonato di calcio quindi facilmente conservabile sotto forma di fossile, le meduse sono prive di struttura scheletrica, risultando pertanto molto difficili da conservare. Tuttavia, in un giacimento del Wisconsin, all’incirca una decina di anni fa, sono stati ritrovati dei fossili di meduse in rocce di arenaria, sotto forma di impronte circolari grandi anche più di un metro.

Secondo James Hagadorn, del California Institute of Technology, coautore dell’articolo che descrisse la scoperta sulla rivista Geology, i resti degli animali potrebbero essersi mantenuti grazie al fatto che nella regione era presente un piccolo mare interno caratterizzato da un clima tropicale e da acque poco profonde, limitando dunque l’erosione delle acque marine e del vento.

Tornando ai nostri animali pericolosi, gli cnidari possiedono cellule urticanti, le nematocisti, in grado di rilasciare un veleno, più o meno potente a seconda della specie, in un organismo che viene a contatto con essi. Tutti sappiamo che le meduse non vanno toccate, in particolar modo nei tentacoli, proprio perché le cellule in questione sono inserite sugli stessi. In Mediterraneo non vi sono specie particolarmente tossiche, anche se il contatto con una Pelagia noctiluca, piccola medusa di circa dieci centimetri di diametro, di colore violaceo e diffusa nel nostro mare ma anche in Oceano Atlantico e Mare del Nord, può risultare particolarmente irritante.

Una specie che invece è meglio evitare è la Physalia physalis, nota come caravella portoghese. Abitante dell’Oceano Atlantico ma segnalata ormai da anni in Mediterraneo, talora in Spagna, talora in Corsica e a Malta, in realtà non si tratta di una classica medusa (scifozoo), dotata cioè di una serie di tentacoli e di una cupola contenente al suo interno una cavita gastrovascolare adibita a svolgere le funzioni vitali dell’organismo, la caravella portoghese appartiene a un’altra categoria di cnidari, gli idrozoi sifonofori. Essi non sono altro che colonie di polipi galleggianti, in cui una struttura predominante, la pneumatofora, ricca di gas, è in grado di galleggiare lasciandosi trasportare dall’aria grazie alla metà esposta, mentre la parte sottostante e sommersa è costituita da numerosi polipi tra i quali si distinguono coloro addetti alla riproduzione, altri adibiti all’alimentazione e altri ancora al movimento.

I tentacoli della Physalia physalis possono raggiungere i 20 metri di lunghezza; è chiaro dunque come possa essere relativamente semplice scontrarsi con essi e rimanere intrappolati in una morsa letale. Essendo molto ricchi di nematocisti, possono bloccare e paralizzare le prede in un batter di ciglia e nell’uomo sono in grado di causare forte dolore, lesioni bianche e rosse, bruciore, brividi, sudorazione, spasmi, difficoltà respiratorie, nausea, vomito e confusione mentale. Nel caso in cui si venisse per sbaglio a contatto con questo organismo dei mari è necessario uscire dall’acqua, lavare la parte colpita con acqua di mare e dirigersi all’ospedale al più presto.

Generalmente si tratta di organismi che si avvicinano alle coste solo in caso di forti venti, arrivando spesso a spiaggiarsi in gran numero; sono infatti animali gregari ed è alquanto difficile trovare individui solitari. Anche da spiaggiati risultano essere urticanti pertanto non bisogna mai toccarli (questo vale per tutte le meduse a noi note). Nell’estate 2009 sono stati rinvenuti una cinquantina di esemplari lungo le coste spagnole e pare che anche nello Stretto di Messina si siano registrati degli avvistamenti. A differenza dell’essere umano che sembra proprio non avere le capacità di difendersi da molti animali che abitano il nostro mondo, altri organismi, come le tartarughe, ad esempio, risultano immuni al veleno delle meduse, caravella portoghese compresa, apprezzandole addirittura da un punto di vista alimentare. Come pure i molluschi Glaucus atlanticus e Janthina janthina, organismi pelagici che vivono sulla superficie oceanica, si cibano della caravella. I polpi del genere Tremoctopus, invece, sono addirittura in grado di spezzare i tentacoli del sifonoforo e utilizzarli come arma di difesa.

Gli attacchi all’uomo da parte della Physalia physalis non sono frequenti, anche perché non è l’animale che attacca ma al massimo è l’essere umano che urta per sbaglio l’organismo o che lo tocca una volta spiaggiato. Risultano quindi organismi pericolosi ma non aggressivi, nonostante ogni anno in Australia si registrino oltre 10.000 casi di punture. Come tutti gli organismi marini non vanno disturbati o istigati, ma lasciati vivere indisturbati nel meraviglioso mondo che li ha creati.