Se è vero, come ci piace credere, che i defunti ci guardano dall'aldilà, ci giudicano e all'occorrenza si fanno beffe di noi viventi, qualche sera fa allora non è stata solo una mia impressione. Quella che ho sentito, fragorosa e incontenibile, è stata veramente una risata di Achille Campanile, lo scrittore che se ne è andato nel 1977, lasciandoci straordinarie e brillantissime opere che ancora stentiamo a riconoscere come grandi capolavori della nostra letteratura. Lui che ci ha fatto tanto sorridere e ridere di noi, delle nostre abitudini, delle nostre avite tradizioni, della nostra retorica e degli aspetti più musoni della nostra erudizione, questa volta, a ridere è stato proprio lui. L'ho quasi visto perdere il controllo e tramutare il consueto sorrisetto bonario e beffardo in una scomposta sghignazzata che gli ha fatto per un attimo cadere il monocolo, dal quale, elegante com'era, non si separava mai.

Una delle sue indimenticabili opere, pubblicata nel 1975, si intitola Vite degli uomini illustri. In questa Campanile si diverte e ci diverte riscrivendo in forma paradossale e irriverente, le vite di poeti, pittori, musicisti, filosofi, spesso giocando molto abilmente e raffinatamente con i più scontati luoghi comuni e con i modi più diffusi di fare informazione. Un esempio. Nella vita di Antonello da Messina prende spunto dai ritratti del pittore per i quali la manualistica corrente ci ha abituato alla didascalia “ritratto di ignoto”. Da questa diffusa dicitura Campanile sviluppa un racconto un po’ surreale, narrando delle difficoltà del pittore col cliente, il quale approfitta di essere “ignoto” per sottrarsi al pagamento di quanto dovuto. Col gioco delle parole, nel quale lo scrittore è davvero un maestro, insiste col paradosso descrivendo il furioso litigio divampato tra il pittore e l'"ignoto" quando questi gli porta il figlio per un ritratto, al quale è coerentemente posto il titolo “ritratto di figlio di ignoto”.

E veniamo a Beethoven. Campanile prende le mosse dalla sordità del musicista, divenuta col tempo totale, per una biografia dissacrante e tale da scandalizzare i benpensanti. Beethoven, esordisce Campanile, era sordo e perciò non poteva sentire le musiche che scriveva. Povero Beethoven! Lui era convinto di comporre bellissimi valzer, ma non sentendo, non si rendeva conto di realizzare invece imponenti sinfonie; perciò quando gli facevano vedere gli applausi e la commozione del pubblico di fronte alle sue musiche, si rattristava assai, confessando che anche quel valzer gli era riuscito male. Certo, ammette Campanile, qualcuno avrebbe pure potuto avvertirlo dell'equivoco, che non si trattava di valzer ma di sinfonie: tentativo inutile, commenta, perché appunto il musicista era sordo e, anche a volerglielo scrivere, nessuno aveva il coraggio di farlo essendo il musicista notoriamente irascibile e scorbutico.

Dissacratore e blasfemo? Forse. Il nostro scrittore, però, a quaranta anni dalla morte, ha avuto la punizione che meritava per la sua elegantissima insolenza. Nel corso di un notissimo quiz televisivo, arriva la domanda difficile: “Chi ha composto il valzer Sul bel Danubio blu?” Dai, pensi tu seduto davanti al video, che razza di domanda! Sono anni che a ogni capodanno ci rifilano la solita trasmissione da Vienna, coi valzer e le polke di Strauss padre e figlio, che termina con due pezzi fissi, dei quali il penultimo è proprio Sul bel Danubio blu. La gentile concorrente ci pensa un attimo e poi spara un clamoroso: “Beethoven!”. Come poteva dall'aldilà Achille Campanile non abbandonarsi a una risata clamorosa? La risata, appunto. “Una risata li seppellirà”, disse Michail Bakunin; “una risata ci seppellirà” hanno corretto I Guignol, gruppo punk/blues; “Una risata ci salverà” ha sentenziato Daniel Pennac.

Ma c'è poi tanto da stare allegri dopo l’istintiva risata per la confusione tra Johann Strauss figlio e Beethoven? In un'altra puntata della stessa trasmissione alla domanda sull'anno in cui Hitler è diventato cancelliere, il concorrente stupito di fronte a questo cognome - come se fosse la prima volta che lo sente - azzarda un anno recentissimo, stando al quale il personaggio potrebbe essere ancora in vita. Altro che giorno della memoria!

Colpa della televisione? Chissà! Forse! Eppure qualcuno ha avvertito, in un talk show, che abbiamo perso il senso critico, il senso della storia, il senso della nostra tradizione culturale. Adesso anche i quotidiani danno notizie allarmanti: i docenti universitari si sono finalmente resi conto di quanto siano ignoranti i loro studenti. Colpa dei telefonini, degli sms, dei whats app, del computer? Può darsi. Può darsi, probabilmente, che ci saranno mutamenti genetici: l'"homo erectus" per l'uso dello smartphone rischia di diventare “homo flectus” - uomo piegato - oppure “homo sedens” alla postazione del computer.

Non ci resta adesso che perder anche l'uso della nostra lingua e il senso della nostra storia per essere pronti a quel devastante futuro che sessantotto anni fa pronosticava George Orwell nel suo tragico romanzo 1984: gli uomini e le loro menti sono controllati dal grande fratello, che nessuno sa chi sia e dove sia; un grande fratello che tutto vede e controlla e che vuole l'anima e il cuore di ogni suddito, anche se già condannato a morte per ribellione.