La fitoterapia (dal greco phyton, pianta e therapeia, cura), le cui radici affondano nell’antica tradizione popolare e monastica, rappresenta la forma di medicina più diffusa nel mondo. Le certezze e le evidenze scientifiche che nel corso del tempo si sono accumulate a suo favore, hanno contribuito a trasformarla da semplice cura alternativa a vera e propria terapia (complementare alla medicina convenzionale), in grado di offrire degli strumenti utili per il trattamento e la prevenzione di numerose malattie.

Oggi, la fitoterapia opera nel settore della grande distribuzione organizzata e assorbe un settore economico in continua espansione, capace di offrire concrete opportunità di lavoro. Esistono però nuovi settori di ricerca interessati ai rischi del consumo incontrollato di rimedi a base di erbe medicinali. Tutti conoscono gli effetti negativi connessi all’impiego delle piante velenose (Belladonna, Datura, Cicuta, Aconito, Tasso, Giusquiamo, Digitale, Tamaro, Brionia, Gitaione, Ricino, Lauroceraso, Gigaro, ecc.), ma non tutti sanno che dietro alla moda, largamente condivisa, del “naturale a tutti costi” si possono nascondere delle insidie pericolose.

Innanzitutto è opportuno smentire un luogo comune, profondamente radicato anche tra gli addetti ai lavori, secondo il quale i rimedi naturali sarebbero privo di effetti collaterali. A volte alcune sostanze vegetali possono provocare intolleranze e allergie di vario tipo, soprattutto in soggetti particolarmente sensibili o vulnerabili (bambini, anziani, donne in gravidanza o in fase di allattamento, soggetti gravemente malati, ecc.). Si tratta di reazioni associate a diverse sintomatologie (prurito, orticaria, dermatite, rinite, asma, shock anafilattico, nausea, vomito, diarrea, ecc.) che generalmente si attenuano, fino a scomparire del tutto, quando vengono individuate ed eliminate le sostanze coinvolte in tali fenomeni.

Più preoccupanti sono gli effetti collaterali frutto di automedicazioni improvvisate e inopportune, praticate nella più assoluta ignoranza delle potenzialità farmacologiche dei vari principi attivi, del loro campo di applicazione e delle eventuali interazioni con altre medicine (soprattutto farmaci di sintesi). Ad esempio, erbe ad azione diuretica (generalmente utilizzate come coadiuvanti delle diete), se somministrate per lungo tempo, possono provocare in alcuni soggetti alterazioni elettrolitiche e renali. Un abuso di piante contenenti composti antrachinonici ad azione lassativa (Senna, Ricino, Frangola, Aloe, Rabarbaro, ecc.) possono provocare irritazione e dilatazione del colon, alterazioni a carico della flora batterica intestinale, dell’equilibrio acido-basico, e l’insorgenza di un’anomala pigmentazione della mucosa intestinale (melanosi del colon) che, secondo alcuni autori, può costituire un terreno favorevole per lo sviluppo di cellule cancerose.

Principi attivi vegetali ad azione sedativa possono interagire con farmaci ansiolitici e antidepressivi, potenziandone l’azione e determinando pericolosi stati di sonnolenza e di riduzione della percezione sensoriale. Lo stesso discorso vale per le piante con effetti estrogenici (Liquirizia, Salvia, Finocchio, Galega, Luppolo, Fieno Greco, Agnocasto, Medicago, ecc.), la cui somministrazione a medio e lungo termine può causare fastidiosi effetti collaterali, soprattutto nei soggetti femminili.

Anche nell’ambito dell’aromaterapia, l’impiego di sostanze aromatiche naturali (oli essenziali), richiede particolari accortezze, utili a evitare sgradite sorprese. Infatti, gli oli essenziali, essendo delle sostanze particolarmente attive, dal punto di vista farmacologico, se impiegate in maniera impropria, possono scatenare dei fenomeni di tossicità acuta o cronica (progressivo accumulo nell’organismo di una specifica sostanza) a carico di organi vitali come lo stomaco, l’intestino, il fegato e il cervello. Molte essenze impiegate sia per uso topico che sistemico possono avere un alto potere allergizzante e irritante per pelle e mucose (Tuja, Peperoncino, Chiodi di garofano, Timo, Origano, Cannella, ecc.) oppure fotosensibilizzante (Bergamotto, Angelica e Iperico).

In ogni caso la somministrazione degli oli essenziali non deve mai avvenire allo stato puro ma in forma diluita: è sufficiente miscelarli in un olio vegetale di alta qualità (mandorle dolci, oliva, girasole, sesamo, cocco, ecc.). Però se da un lato la prudenza rimane “ la retta norma di ogni azione” dall’altro, quando è eccessiva, può rendere poco chiara la comprensione della realtà. A volte, alcuni studi farmacologi vengono pubblicizzati con eccessiva enfasi, dimenticando che il quadro biochimico generale di un organismo vivente è molto più complesso rispetto al semplice isolamento di un singolo principio attivo, sottoposto a sperimentazione animale. Significative, a questo proposito, sono le ricerche condotte su alcuni composti come l’estragolo, il safrolo e il cineolo, presenti in molte spezie e piante aromatiche (Basilico, Finocchio, Dragoncello, Alloro, ecc.), che una volta assimilati dall’organismo subiscono delle trasformazioni metaboliche che li rendono altamente mutageni; altri studi incentrati sugli alcaloidi pirrolizidinici, contenuti in elevate quantità in numerose erbe spontanee (tra cui Borragine, Senecio, Tussilago, Farfaraccio e Sinfito) mettono in guardia sui loro potenziali effetti epatotossici.

Però spesso le sostanze che partecipano alla composizione di una pianta (fitocomplesso) sono soggette a complessi meccanismi di interazione reciproca, che ne possono inibire o potenziare l’azione biologica; senza dimenticare il ruolo svolto dai meccanismi digestivi e metabolici che intervengono a seguito della somministrazione di un composto. Con l’alimentazione, ad esempio, introduciamo quotidianamente numerose sostanze naturali potenzialmente cancerogene, che sono prontamente disattivate dal sistema immunitario oppure da composti antiossidanti di natura endogena (prodotte dall’organismo) o esogena (assorbiti attraverso il cibo). Le piante officinali devono essere somministrate in modo corretto e nella giusta dose; per questa ragione è importante avvalersi di un medico, un farmacista o un esperto erborista.

Senza lasciarsi andare a eccessivi allarmismi è saggio attenersi alle seguenti regole di comportamento che permettono di trarre da una pianta il massimo beneficio, riducendo al minimo il rischio di effetti collaterali:
• attenersi alla giusta posologia, rispettando scrupolosamente le dosi, le modalità e i tempi di somministrazione (in particolare quando si tratta di oli essenziali ed estratti vari), valutando la possibilità di eventuali effetti collaterali dovuti a fenomeni allergici o a forme di tossicità acuta o cronica;
• evitare ogni forma di automedicazione, soprattutto quando è necessario affrontare patologie di una certa gravità;
• valutare la possibilità di eventuali interazioni di natura biochimica tra prodotti erboristici e farmaci di sintesi;
• somministrare piante medicinali ai bambini al di sotto dei 5 anni, alle persone anziane, ai soggetti in precarie condizioni di salute o ammalate gravemente, alle donne in gravidanza o in fase di allattamento, solo in caso di reale necessità e sotto il diretto controllo di un medico, esperto in fitoterapia.

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