L'Italia, si sa, è paese con una grande storia dietro le spalle, ma al contempo assai giovane (come stato unitario). Siamo pur sempre il paese dei Comuni. Delle repubblichette e dei ducati. Ciascun per sé. E in epoca moderna, sono stati davvero pochi i momenti in cui un sentimento veramente nazionale (non banalmente nazionalistico...) ha prevalso.

Negli ultimi 20, 25 anni poi, è stata una progressiva deriva verso la dissoluzione d'ogni residuo sentire comune, mentre al contrario si affermava l'ideologia della supremazia individualista. L'io che prevale sempre e comunque sul noi. Questo sentire singolare non ha, ovviamente, realizzato una felicità diffusa, ma soltanto per pochi. Ha divaricato la forbice, sino al punto che adesso rischia di spezzarsi.

L'Italia è un paese di appassionati del calcio, una volta passione declinata prevalentemente al maschile, ma ormai da tempo del tutto trasversale. Anche al di là dalle connotazioni para-criminali che talvolta caratterizzano la tifoseria militante, siamo comunque un paese di mister da bar. L'avvento dell'era dei social network (anzi, a ben vedere del social network, perché è uno solo quello veramente popolare), ha solo amplificato questa attitudine alla divisione passionale, l'ha resa ancor più evidente - e per ciò stesso, l'ha legittimata.

Ma questo approccio è tracimato ad ogni cosa, e ogni cosa diventa oggetto di scontro (mai di confronto), di separazione: stiamo continuamente a tracciare idealmente linee rosse che ci separano gli uni dagli altri, secondo innumerevoli linee di frattura. Siamo entrati trionfalmente nell'era post-conflittuale, che non è il regno della pace, ma quello della guerra senza fine. Nel duplice senso: senza termine e senza scopo.

Il conflitto, che è sempre stato motore della Storia, è ciò in cui si produce il cambiamento, ma attraverso il meccanismo tesi >antitesi > sintesi, perché il conflitto è comunque una forma, radicale, di confronto. E nessuna delle parti esce dal conflitto senza essere in qualche misura mutata; e questa mutazione nasce proprio dal confrontarsi con l'altro da sé. Lo stato di belligeranza permanente del singolo contro tutti - quale è la condizione reale di ciascuno, di là dalle occasionali appartenenze a uno schieramento - non produce invece alcunché.

Ci si può appassionare per la propria squadra, senza per questo perdere di vista i legami superiori, che travalicano lo spirito del derby. Essere cittadini è una condizione comune, non occasionale né marginale. Ed è una condizione importante; per affermarla, per sancire il diritto di tutti noi di essere considerati tali, si sono dovute tagliare teste, si è dovuto far strame della pretesa discendenza divina dei regnanti. Quel che distingue una comunità, è il riconoscimento di legami comuni, che vanno al di là dei legittimi conflitti che la attraversano. Al di fuori di ciò, c'è solo un orizzonte da romanzo post-atomico, con una serie di clan in guerra tra di loro. L'atomizzazione assoluta, il tutti contro tutti. Per questo, quando si affrontano le questioni che attengono - appunto - ai legami comuni, bisognerebbe farlo sempre con cautela, tenendo presente che non si tratta di faccende d'ordinaria importanza, ma di questioni fondative della convivenza. E che perciò debbano essere massimamente inclusive. Non si dà un patto, senza l'accordo dei contraenti. Perché pacta sunt servanda, devono essere rispettati. Ancora una volta, in duplice senso: se ne devono osservare i termini, e se ne deve avere rispetto. Affinché ciò accada, non possono essere stipulati attraverso la supremazia dell'uno sull'altro.

Proseguendo nella deriva di cui si diceva all'inizio, è con spirito da tifoseria che abbiamo affrontato negli ultimi mesi la questione massima, il patto fondativo. Ne abbiamo fatto un derby tra due squadre. Invece che ricercare la soluzione più inclusiva, abbiamo giocato a chi vince e chi perde. Ma quale che sia la squadra che ha prevalso nel derby di domenica, non ha alcuna importanza. Abbiamo perso tutti. Perché abbiamo sancito che quel patto non è più il frutto di un accordo vasto, ma l'esito del prevalere di una parte sull'altra. E per ciò stesso, che quel patto sarà nuovamente - e sempre più - soggetto di nuovi cambiamenti, sempre determinati dal momentaneo prevalere dell'uno o dell'altro. Ed in cui gli esclusi non si riconosceranno, aspettando il momento in cui potranno ribaltarlo a propria misura.

Ci affacciamo al nuovo anno, già così gravido di problemi, avendone aggiunto un'altro, e bello grosso. Auguri a noi tutti, dunque. Perché comunque sia andata, siamo un paese peggiore.