Artista e regista di origine iraniana ma di base a New York, Shirin Neshat raggiunge la ribalta mondiale con il progetto fotografico Women of Allah series (1993-1997) che riflette sul tema del genere rispetto al fondamentalismo e attivismo islamico ma anche sull’incommensurabilità tra culture diverse. Immagini diventate icone del mondo dell’arte e della cultura internazionale nelle quali l’artista è ritratta con il capo coperto dallo chador e con le mani, piedi e volto coperti da una elaborata grafia Farsi riportante i versi di poetesse iraniane contemporanee come per esempio F. Farokhzad. Nelle opere successive quell’aspetto palesemente politico e critico, pur non scomparendo mai del tutto, cede il posto a un’arte maggiormente poetica e simbolica. Pensiamo per esempio ai cortometraggi Passage (2001 e 2002), The Last World (2003), Mahdokht (2004), Zarin (2005) fino ad arrivare al suo primo film Women Without Men (2009) che le è valso un Leone d’Argento per la miglior regia al Festival del Cinema di Venezia.

Ricordate il libro Morte e pianto rituale. Dal lamento funebre antico al pianto di Maria dell'etnologo italiano Ernesto De Martino? In quel libro, parlando del lutto, De Martino afferma che per scongiurare il crollo esistenziale di una persona di fronte al lutto, l'uomo ha la necessità di elaborare culturalmente il lutto nella forma codificata del rito che da un lato consente di ritrovarsi uguali agli altri nel dolore, dall'altro invece diventa promessa di risurrezione. Il lutto è un rito sociale di trasformazione della morte in vita, della disperazione in speranza, della solitudine in comunità. Il lutto in altri termini è un ponte tra opposti, tra elementi contrastanti. Elementi importanti per comprendere il potere della performance Passage through the world creata dagli artisti Shirin Neshat e Shoja Azari, commissionata da TPP Teatro Pubblico Pugliese, creata da Franco Laera e prodotta da Change Performing Arts.

Ho già avuto modo di parlare di questa performance in occasione della sua prima presentazione a Bari a settembre 2015 presso il Teatro Margherita. Una performance nella quale la musica dall'Asia e attraverso il Medio Oriente e i Balcani arriva fino in Italia. Particolarissima la canzone Inno alla Desolata (The Stabat Mater) poiché a Canosa di Puglia il Sabato santo è tradizione che centinaia di donne velate vestite di nero la cantino durante una processione di grande impatto emotivo esprimendo un comune senso di condivisione del dolore della Vergine Maria per la perdita del Cristo. Un'immagine che richiama molte performance della Neshat dove sono presenti donne musulmane velate. Durante questi mesi ho seguito l'allestimento della performance a Napoli a giugno 2016 e a Reggio Emilia a novembre 2016. Pertanto posso dire con cognizione di causa che Passage through the world con la sua struttura composita e l'incorporazione di caratteristiche locali provenienti dai luoghi nei quali è stata allestita è una performance che nutre e stimola emozioni profonde toccando i più importanti “passaggi” della condizione umana.

La performance realizzata nel giugno 2016 presso il Museo Diocesano di Donnaregina Vecchia di Napoli è stata per me indimenticabile. Il contesto napoletano ha dato un fascino e una connotazione che sicuramente mancava al Teatro Margherita di Bari. Si trattava infatti dell’ex chiesa S. Maria Donnaregina Vecchia, una chiesa, ospitante uno dei più importanti affreschi della città di Napoli, edificata nel XIV secolo per le monache clarisse del convento omonimo. A differenza di Bari qui la scena viene allestita nella zona absidale, di fronte alla platea mentre ai lati di quest’ultima come due braccia che avvolgono la platea ci sono le “Giullari di Dio” della Parrocchia di Santa Chiara di Napoli che come le lamentatrici di Bari Vecchia, recitano preghiere cristiane. Il luogo era perfetto per la performance. L’allestimento semplice ma allo stesso tempo scenografico.

L’intesa tra Namjoo e le Faraualla massima, al limite della perfezione. Rispetto alla versione “barese” in questa occasione viene introdotta una novità: un assolo di Antonella Morea seduta tra le “Giullari di Dio”. Il canto solitario della Morea era una struggente Fenesta ca lucive, canzone napoletana ottocentesca la cui musica è attribuita alla scuola di Antonio Zingarelli, quasi certamente al Bellini. Il tema della canzone è la morte di una ragazza mentre il suo promesso sposo è lontano da molto tempo. La mancanza di notizie dello sposo lo fanno ritenere morto e la morte della promessa sposa è attribuibile al dolore per la sua presunta morte.

Nella canzone sono presenti alcuni elementi simbolici riconducibili in un qualche modo alla performance della Neshat: la finestra (simbolo di comunicazione) che nella canzone è chiusa proprio per indicare l’assenza di comunicazione che caratterizza la morte oppure la lampada come simbolo dell’anima che vive oltre la morte, della vita che continua in un’altra dimensione. Il terzo adattamento della performance che ho visto era al Teatro Cavallerizza di Reggio Emilia nel novembre 2016. L'allestimento ricordava la prima versione di Bari, con l'impianto centrale ma in questo caso non c'erano le donne lamentatrici. Il contributo locale è stato dato dal Duo D'Esperanto (Paolo Simonazzi ed Emanuele Reverberi) che hanno suonato la versione strumentale (con gli strumenti medievali ghironda e cornamusa) del Dies Irae secondo la tradizione di Monchio delle Corti e Crétiens reveillez-vous secondo la tradizione francese.

Una performance “immediata” che agisce per immagini e suoni eppure “complicata” per la stratificazione di significati e per le diverse letture cui ogni volta si presta. Una performance che nutre e stimola emozioni profonde toccando i “passaggi” più importanti della condizione umana. Un crogiolo di emozioni istintive universali. Una promessa di rinascita.

Immagini, video e concezione spaziale di Shoja Azari e Shirin Neshat.
Musica, voci e live performance di Mohsen Namjoo con la partecipazione di Faraualla Vocal Ensemble e delle Giullari di Dio” della Parrocchia di Santa Chiara di Napoli.
Progetto commissionato da TPP Teatro Pubblico Pugliese, curato da Franco Laera e prodotto da Change Performing Arts.