Se ci si soffermasse al titolo, qualcuno potrebbe ritenere di trovarsi dinanzi a un excursus storico legato alle imprese del secolo scorso e alla scoperta dei poli. Un articolo vintage, per rammentare il cammino compiuto dalla tecnica prima ancora che dalla scienza per aiutare il futuro dell’uomo. Quel che invece, pur tenendo presente questo scenario e questa memoria, ci interessa è lo stato degli atti e le prospettive dell’impatto della tecnologia e dell’alta tecnologia nelle lande estreme del Polo Sud, dove si svolge il Programma Nazionale di ricerca in Antartide del Consiglio Nazionale delle Ricerche e dell’Enea.

Le condizioni al limite sotto molti dei profili antropici e fisici, infatti, hanno un'inevitabile ricaduta sull’utilizzo delle tecnologie avanzate, sull’informatica, sui sistemi complessi che occorrono per far vivere e tenere in funzione strutture preziose e delicatissime dedicate alla conoscenza e in buona condizione di salute il personale umano, scientifico e tecnico che partecipa alle campagne di ricerca. Una ricerca che, nel periodo invernale, subisce ulteriori pressioni dagli elementi meteorologici e atmosferici, anche se a un osservatore distratto la scena apparirebbe molto simile a se stessa: ghiacci, ghiacci e ghiacci ovunque!

Per addentrarci nella materia abbiamo voluto porre – nel quadro del nostro racconto antartico della missione italo-francese di Base Concordia – alcune domande ad Alessandro Fausto, attuale winterover alla base in qualità di referente informatico, e per le radio e telecomunicazioni. Ligure, nato a Savona e residente ad Albisola Superiore sulla Riviera di Ponente è laureato in Ingegneria Informatica all’Università di Genova. Lavora presso il DIBRIS (Dipartimento di Informatica, Bioingegneria, Robotica e Ingegneria dei Sistemi) dell’ateneo del capoluogo ligure, con competenze e conoscenze cha spaziano dalla programmazione avanzata dei sistemi all’elettronica digitale.

Dunque, Alessandro. La prima domanda, che può sembrare elementare ma è propedeutica: in Antartide, si presume, la tecnologia avanzata abbia un ruolo centrale e fondamentale per tutti gli aspetti che riguardano lo svolgersi del PNRA. Un dato oggettivo, potremmo dire. Qual è lo stato degli atti, quanta tecnologia e quanto ancora di intervento umano sono presenti nel tuo lavoro?

Molte operazioni sono ormai automatizzate ma è sempre necessario l’intervento umano nelle operazioni di manutenzione ordinaria e straordinaria. Molto può essere realizzato attraverso collegamenti remoti dall’Italia come avviene durante l’inverno alla stazione Mario Zucchelli ma qui l’intervento umano è fondamentale (imprescindibile). Quasi tutta l’infrastruttura ICT e i collegamenti di rete sono ridondanti ma permangono dei punti critici. Per esempio in pieno inverno abbiamo avuto un malfunzionamento della fibra ottica che collega il laboratorio di astronomia (shelter esterno alla base) ma gli apparati di rete hanno individuato autonomamente un nuovo percorso (doppino VDSL) attraverso il quale veicolare/instradare i dati verso la base e verso gli altri apparati di rete. Al contrario il guasto dello switch di rete nel laboratorio di studi atmosferici (shelter esterno ATMOS) ha richiesto il mio intervento fisico in tre fasi: programmazione dell’apparato sostitutivo; trasporto sul posto dello stesso in zaino appositamente coibentato; sostituzione dell’apparato guasto. In assenza di intervento umano il laboratorio sarebbe rimasto scollegato dalla rete locale e da internet per tutto l’inverno e i ricercatori in Europa non avrebbero avuto accesso al risultato dei test scientifici automatizzati.

In che cosa consiste l’apporto informatico e di alta tecnologia dei sistemi che tu hai come ruolo nella base? Una domanda che può sembrare ovvia ma che al contrario ci aiuta a capire il livello della tua specializzazione e delle necessità alle quali devi far fronte.

La base è dotata di sistemi ICT all’avanguardia. Queste apparecchiature richiedono conoscenze avanzate nell’ambito dell’archiviazione dati, virtualizzazione di ambienti server e desktop, conoscenza approfondita dei sistemi Microsoft Windows e Linux, conoscenza sul funzionamento delle reti locali, programmazione degli apparati di rete cablata e wireless, conoscenza delle problematiche legate all’utilizzo dei collegamenti via satellite. Inoltre il mio ruolo di operatore Radio VHF e HF richiede una buona conoscenza delle lingue, nella fattispecie francese e inglese.

Le condizioni estreme, come per molti altri aspetti della ricerca antartica, complicano, condizionano il lavoro. In che modo influenzano il tuo agire quotidiano? E, paradossalmente, esistono ambiti nei quali l’estrema latitudine porta qualche vantaggio?

Le mie responsabilità mi impediscono di uscire quotidianamente ma solo in caso di problemi nei laboratori esterni della base. Per esempio il trasporto di un apparato di rete o PC all’esterno della base presenta complicazioni legate alle condizioni ambientali esterne (temperature molto basse, atmosfera rarefatta, ecc.), devo imbottire uno zaino con un piumino per proteggere il contenuto dalle temperature esterne. Inoltre il ridotto tasso di ossigeno legato alla altitudine (3233 msl) rende faticoso il trasporto, tenete presente che per recarci in sala mensa dobbiamo salire 42 gradini e questo ci lascia un lieve fiatone. Inoltre la secchezza dell’aria acuisce il problema dell’elettricità statica e ogni pochi passi per abitudine tocchiamo il muro metallico generando forti scariche visibili e udibili. Ogni tavolo è dotato di bande conduttive per scaricare l’energia elettrostatica prima che le nostre dita possano raggiungere parti sensibili di computer o strumentazione elettronica. Per esempio a volte le porte USB vengono temporaneamente disabilitate in quanto il circuito di controllo rileva delle interferenza dovute a scariche elettrostatiche. Il principale vantaggio di essere a queste latitudini è dovuto proprio alle basse temperature esterne che vengono sfruttate per il raffreddamento del rack centrale dei server di Concordia attraverso l’immissione di area dall’esterno.

Quale possiamo considerare il “core” del tuo lavoro, quello senza il quale molto della base potrebbe risentirne e rallentare la sua operatività?

Le operazioni più importanti sono legate alla manutenzione degli archivi dati centrali, del cluster di virtualizzazione, del server di virtualizzazione di emergenza, dei server che erogano i servizi vitali della base (DHCP, EMAIL, VOIP, Dominio Windows, Monitoraggio rete, Invio automatizzato dei dati scientifici), degli apparati di rete cablata/wireless/satellitare. Esiste poi tutto un corollario di sistemi secondari il cui blocco non comporta grossi problemi alla base ma che comunque richiedono manutenzione. Il cluster di Virtualizzazione e gli archivi informatici centrali sono tra di loro interdipendenti, un guasto a uno solo di essi ne compromette il funzionamento. Per evitare il blocco dei servizi ICT vitali per la base gli stessi sono in esecuzione su di un server di Virtualizzazione apposito e indipendente dagli archivi centrali.

Ti sei mai trovato dinanzi a intoppi, difficoltà o serie emergenze dove anche la tecnologia ha dovuto fare i conti con la realtà?

Questo inverno abbiamo avuto dei problemi con l’erogazione della energia elettrica e la base ha subito dei blackout che hanno causato alcuni danni alla infrastruttura ICT e scientifica. I problemi più consistenti si sono avuti con gli archivi informatici centrali della base che hanno subito il guasto di uno o più dischi fissi. Questi archivi adottano la tecnologia RAID per garantire una maggiore resistenza ai guasti dei dischi fissi per cui il ripristino delle piene funzionalità non è stato complesso ma ha solo richiesto molto tempo. Purtroppo nel caso di un archivio il ripristino è stato complicato dal fatto che il numero di dischi guasti era troppo elevato per utilizzare le procedure di ripristino automatiche. Ho lavorato un paio di giorni prima di riuscire ad accedere all’interno del sistema Linux Embedded, verificare i danni ai dischi e avviare manualmente la ricostruzione dei dati.

Ad occhio, la presenza di un esperto come te costituisce anche un salvagente, un’àncora sia reale che psicologica quando la tecnologia fa o rischia di fare tilt. Qualche esperienza già vissuta in proposito?

Come ingegnere ho immagazzinato conoscenze che spaziano su molti aspetti tecnologici non legati solamente all’informatica o elettronica. Qui per risolvere i problemi bisogna dare fondo a tutte le proprie conoscenze in molti ambiti. Spesso ho sfruttato le mie conoscenze di programmazione avanzata per creare nuovi programmi utili alla base o per individuare e correggere problemi ai programmi creati per manipolare i dati scientifici acquisiti in loco. Ritornando alla risposta della domanda precedente avevo avuto esperienze simili in università ma qui le problematiche ambientali rendono tutto più fragile.

È anche capitato che le strumentazioni e le risorse abbiano aiutato l’aspetto sociale della convivenza laggiù: il pensiero va subito ai possibili collegamenti con il mondo ... potremmo dire?

La base è dotata di una connessione satellitare sempre disponibile anche se non velocissima. Questa risorsa è dedicata principalmente allo scambio di dati scientifici con le sedi dei vari progetti in Europa e per la ricerca di informazioni scientifiche in internet. A scopo divulgativo vengono realizzati da uno a due collegamenti settimanali con scuole Italiane, francesi e di altre nazioni. Attraverso appositi regolamenti il collegamento di rete viene reso disponibile per scopi personali. Grazie all’utilizzo dei programmi di videoconferenza, instant messaging, email e navigazione Web siamo riusciti a rimanere in collegamento pressoché perenne con i nostri cari. Tutto questo permette di alleviare il senso di isolamento che l’ambiente può insinuare all’interno delle menti umane. Per contro queste stesse tecnologie possono trasformarsi in un problema nel caso in cui generino in una persona forti sentimenti di nostalgia portandola a rinchiudersi in se stessa, rigettando il contesto sociale della base e la vita di gruppo. Comunque oltre alla tecnologia rimangono molto utili anche i giochi di società, lo sport, la fotografia e il bricolage come spunto per le iterazioni umane.

L’impressione più personale di questa tua esperienza, sia in termini umani che scientifici...

Vivere un anno in pieno plateau Antartico e in una comunità di persone molto ridotta non è semplice ma permette di avere esperienze uniche sia dal punto di vista umano che scientifico. Qui ho affrontato nuove sfide e scoperto problemi particolari che affliggono le apparecchiature elettroniche in questo ambiente estremo. Ho stretto nuove amicizie con persone che come me condividono l’interesse scientifico e avventuroso di cui è permeato il lavoro quaggiù. L’adattabilità della nostra specie ai fattori ambientali ostili è rimarchevole. Molto è dovuto alla nostra forza d’animo che in molte situazioni ci ha permesso, anche se spossati, di uscire nuovamente all’esterno per risolvere problemi o per ammirare uno dei cieli stellati più limpidi del pianeta. I progressi della tecnologia informatica e delle telecomunicazioni mi hanno permesso di mantenere saldi i contatti con Barbara, la mia compagna, e gli altri cari in Italia. La loro “vicinanza” e il loro supporto mi hanno permesso di affrontare tutti i problemi di cui è permeata la permanenza umana nel cuore dei ghiacci Antartici.