Balneum regis, letteralmente "bagno del re", compare per la prima volta in una lettera del 599 e non è improbabile una connessione con un complesso termale di cui esistono rare testimonianze, secondo la leggenda, le cui acque salubri del bagno avrebbero guarito le ferite del re longobardo Desiderio. Tuttavia le prime notizie storiche certe su Bagnoregio, o meglio Bagnorea, questo è il suo nome più antico, risalgono al VI secolo d.C. quando viene menzionata tra le sedi episcopali italiane.

È certo comunque che dopo la caduta dell'Impero Romano Bagnoregio cadde sotto il dominio dei goti prima e dei longobardi poi, e infine Carlo Magno la conferì al Papato; in seguito una serie di signorotti feudali si alternarono nell'esercizio del potere sul territorio e sulla città. Nel XII secolo si eresse a libero comune conoscendo un bel periodo di prosperità e vivacità anche in campo artistico, e pur subendo l’influenza e talvolta l’invadenza della vicina Orvieto riuscì a mantenere una relativa autonomia. Ha affrontato la peste, è stata sotto il dominio del Papa e ha combattuto lotte e guerre, fino ad entrare a far parte del regno d’Italia, un borgo resistente e pieno di sorprese, arrivato fino ai nostri giorni con tutto il suo fascino.

Il colle tufaceo su cui sorge Civita di Bagnoregio è minato alla base dalla continua erosione di due torrentelli che scorrono nelle valli sottostanti e dall’azione delle piogge e del vento: si sta dunque sgretolando, lentamente ma inesorabilmente, questo gli è valsa la definizione di "città che muore", infatti anche se vi resistono poche famiglie, nulla si può fare, sta letteralmente franando senza via di scampo e tutto ciò anche nella definizione che gli è stata attribuita serve a rivelare e a sottolineare la fragilità e l’impotenza umana di fronte allo scorrere del tempo, al cambiamento e all’evolversi delle cose. Il destino quasi segnato del luogo, il paesaggio irreale dei calanchi argillosi che assediano il borgo, i loro colori tetri che contrastano con quelli dorati del tufo, fanno di Civita un luogo unico, solare e crepuscolare contemporaneamente, vivo o spettrale, a seconda di come si sente l’osservatore.

Collegata al mondo da un unico e stretto ponte di 300 metri che parte dalla vicina Bagnoregio, Civita è appoggiata dolcemente su un cocuzzolo, col suo gruppetto di case medievali. Addentrandosi tra le antiche abitazioni il primo importante monumento che si incontra è la Porta S. Maria, sormontata da una coppia di leoni con due teste umane, simbolo dei tiranni sconfitti dai bagnoresi. Più avanti la via S. Maria si apre nella piazza principale, dove si può ammirare la romanica Chiesa di S. Donato rimaneggiata nel XVI secolo. In essa sono custoditi uno stupendo Crocefisso ligneo quattrocentesco, della scuola di Donatello, e un affresco della scuola del Perugino. I palazzi rinascimentali dei Colesanti, dei Bocca e degli Alemanni si impongono nelle viuzze con le tipiche case basse con balconcini e scalette esterne dette “profferli”, tipiche dell’architettura viterbese del medioevo.

Tra le curiosità del posto oltre a una Bibbia del XII secolo, probabilmente appartenuta a S. Bonaventura, vi è una grotta scavata nel tufo sul bordo orientale, sempre dedicata a S. Bonaventura, uno dei luoghi più venerati di Bagnoregio; si tratta di un’antica tomba a camera etrusca posta a balcone su Civita e a strapiombo sulla valle, che venne utilizzata durante il periodo medioevale come dormitorio, a questo luogo è legata la leggenda proprio del Santo Bonaventura, che da piccolo fu salvato da una malattia mortale grazie all’intercessione di San Francesco e per questo motivo la madre promise al Santo che avrebbe fatto intraprendere al figlio salvo una vita dedicata a Dio: nelle immediate vicinanze infatti sorgeva un monastero francescano di cui oggi purtroppo rimangono solo pochi resti.

Vi sono anche delle tradizioni di cui non si conosce l’origine, come la corsa degli asini denominata “La tonna” perché è una corsa in batterie da due o tre asini che si svolge intorno su una pista tonda e che rievoca ed esalta le qualità dell’asino che è stato per anni l’unico mezzo di trasporto da e per Civita di Bagnoregio, tanto che il comune oggi per non perdere la tradizione, visto lo scomparire dell’uso degli asini, si è prodigato per allevarli direttamente in sede in una locale azienda agricola.

Visitando il borgo tra gli stretti vicoli, ci si trova di fronte a caratteristici archetti, piazzette e cortili e da case ornate da fiori e piante, all’interno delle quali a volte sono ricavate delle botteghe artigiane in cui si può entrare per assistere ad antichi mestieri oppure dei ristorantini o delle taverne da buongustai dove provare le specialità della zona. E passeggiando in questo tortuoso dedalo, fatto di spazi a volte inconsueti, a volte che sembrano familiari, e di viuzze affacciate sul vuoto della valle, lo sguardo è rapito qua e là da molteplici scorci, offrendo curiosi giochi di luci e ombre soprattutto al tramonto.

Il visitatore sensibile è colpito dal silenzio e dall’incanto del luogo che lo affascinano, ma nello stesso tempo il suo cuore si strugge consapevole che tutto in un prossimo futuro sparirà, queste rupi argillose e instabili, modellate dalle acque circostanti e dalle piogge, prima o poi trascineranno a valle il borgo superstite, già smembrato e dimezzato dagli innumerevoli terremoti e franamenti avvenuti nel corso dei secoli. Eppure fu proprio l’abbondanza di acque a invitare gli uomini fin dagli albori della storia, a vivere in questi luoghi, quindi posso suggerire, a chi vuole passare una esperienza indimenticabile, letteralmente di "correre" a Civita di Bagnoregio, la città che sta morendo, prima che sparisca e che diventi un ricordo stampato su una vecchia cartolina; sicuramente il paesaggio, sicuramente quello che rappresenta, ma anche l’hinterland che la circonda, renderanno l’esperienza degna dell’aspettativa. Buona gita a tutti.