La 40esima edizione di Arte Fiera Bologna ha chiuso quest’anno con ben 58.000 visitatori. Le gallerie in mostra sono state 190, di cui il 16% straniere. Molto successo ha avuto la sezione Nuove Proposte. Per chi fa, cura, ama o colleziona arte, l’ultimo week end di gennaio è ogni anno dedicato al capoluogo emiliano. E anch’io, come di consueto, mi sono fiondata a Bologna per visitare sia la Fiera d’Arte per eccellenza che l’altra, quella alternativa, quella giovane, frizzante e “donna”: SetUp Art Fair. Una creatura generata dall’entusiasmo e dalla pertinacia di due effervescenti curatrici: Simona Gavioli (presidente) e Alice Zannoni (direttore). Per non smentirmi, la passeggiata tra i padiglioni e gli spazi dell’autostazione è stata finalizzata alla “cattura” di opere realizzate da donne. Ne consegue il taglio di questo articolo, squisitamente e orgogliosamente femminile.

Tra le prime donne che ho scovato ad Arte Fiera, l’inconfondibile Carla Bedini, anche quest’anno presentata dalla galleria milanese Ca’ di Fra. La sua inquietante e tenera creatura dagli occhi immensi era dipinta su garze di grandi dimensioni. La Galleria Maurizio Corraini di Mantova, invece, proponeva il lavoro grafico di Sissi, artista maggiormente nota per le sue performance. Titolato Lezioni di Anatomia, questo nuovo progetto constava di una serie di stampe fotografiche ritraenti parti anatomiche umane e animali, arricchite da interventi a china. La composizione era inoltre corredata da un catalogo illustrato e sfogliabile.

Prometeo Gallery, nota galleria d’arte milanese che da sempre segue e presenta il lavoro di artiste affermate, esponeva nel suo stand alcune grandi foto della performer guatemalteca Regina Josè Galindo, tra cui una tratta dalla performance Hilo de Tiempo, realizzata in Messico nel 2012 e l’altra ricavata da Tierra, azione del 2013 durante la quale l’artista si era posta immobile e nuda in mezzo alla natura, lasciando che una ruspa le scavasse il vuoto intorno. Sempre da Prometeo ho apprezzato le carte di Sandra Vàsquez De La Horra, artista cilena nata nel 1967. Realizzate a grafite ed esposte nude, queste carte presentavano soggetti onirici mescolati a costumi o elementi rituali appartenenti alla cultura latino-americana, e si distinguevano per la grande carica erotica. La curiosità tecnica stava, invece, nel fatto che questi lavori, in fase finale, sono stati immersi in una cera che ha funto da fissativo per la grafite. Gabriella Ciancimino è invece una giovane artista palermitana che realizza opere dalle cornici sagomate e irregolari in cui una trama a più livelli rivela geografie intagliate con un cutter. I lavori presenti in fiera erano mappe in cui pareva avvenire un augurabile superamento dei confini imposti. Il senso di tutto il suo lavoro sta nell’indagine stessa del concetto di emigrazione. Ancora, da Prometeo Gallery, ho apprezzato le fotografie estremamente contrastate di Maria José Arjona, artista bogotava che lavora sulla figura del volatile.

C+N Canepeneri Gallery (Milano-Genova) ha presentato, alle soglie del suo stand, un’affascinante installazione di Mona Artoum, datata 2004. Un numero imprecisato di bottiglie verdi rotte e tese in differenti inclinazioni, sbucava dal pavimento. La Galleria Colossi di Brescia, invece, ha optato per qualcosa di più acceso e illusionistico: Red Straws di Franscesca Pasquali era infatti un’interessante installazione optical costituita unicamente da cannucce dalle calde cromie, poste a diverse altezze, che ricordano il dinamismo ottico di Riley o Vasarely. Un altro stand che ha presentato diversi nomi femminili di livello, è stato quello della Nuova Galleria Morone, di Milano. Tra questi è spiccato quello di Mariella Bettineschi, nelle cui fotografie alcune delle protagoniste femminili di grandi opere della storia dell’arte italiana – la Fornarina di Raffaello o la Giuditta di Caravaggio – si mostravano sdoppiate sul plexiglass. Derive e approdi era invece un’istallazione composta di valige e parole, firmata Ines Fontenla, artista argentina che vive e lavora tra Roma e Buenos Aires.

La galleria romana z2o SaraZanin ha esposto un lavoro dal nostalgico e delicato lirismo. Si tratta dell’installazione Le Materie Plastiche di Ekaterina Panikanova: incollati su di un grande pannello ligneo, una serie di vecchi libri ingialliti restano aperti su pagine dipinte. L’immagine totale, dipinta a frammenti sui vari testi, è quella di una nonna che si china verso il suo nipotino. E anche l’immagine dipinta aveva il sapore di una foto in bianco e nero anni Cinquanta. Il colpo di fulmine mi ha sorpresa invece nell’area Nuove Proposte, dove mi sono imbattuta in una giovanissima galleria di Amsterdam, The Public House of Art, che esponeva lo straordinario e spiazzante lavoro fotografico di Jenny Boot, fotografa olandese la cui ricerca è un viaggio attraverso percorsi accidentati. In opere dalle buie cornici barocche, come The little Joker o The Betrayal, inquietanti figure si stagliano su un fondo nero, in una rivisitazione noir e beffarda della storia di Batman.

Anche l’altra fiera, SetUp, quella tutta dedicata agli artisti emergenti, ha avuto anche quest’anno un grande successo. Il tema era l’Orientamento, inteso non soltanto da un punto di vista geografico e territoriale, quanto anche intimo e identitario. Orientarsi nella vita e dentro se stessi, cercare una bussola che guidi nei maremoti interiori, nel tumulto di desideri inaccolti, sulla mappa di un volto che fatichiamo a decriptare. In primissima linea tra le artiste che già amavo, ma che in questa occasione mi ha decisamente sedotta, la performer Tiziana Cerca Rosco che all’interno del progetto di Vita Privata Home Gallery ha realizzato una magnifica e disarmante installazione sul Labirinto, ricostruendo una sorta di “stanza del Minotauro”. La voce dell’artista, nel delicato loop di una narrazione registrata in cui viene letto il racconto di Borges La casa di Asterione, accompagna il fruitore in un percorso ristretto e cingente, tra calchi in gesso feriti e strepitosi autoscatti eseguiti in sette secondi. Il corpo di Tiziana – l’essenza di Tiziana – diventa non solo quello del Minotauro, bensì di tutti i personaggi del mito. In questa stanza lo sforzo di orientarsi tra la terra del legame e quella della solitudine, crea senz’altro impeti e vertigini.

BI-Box Art Space, giovane e frizzante galleria di Biella fondata e diretta da Irene Finiguerra, ha presentato due interessanti artiste: Alessandra Maio e Micaela Lattanzio. La Maio svolge da sempre una ricerca molto intima mediante l’uso della scrittura, precisamente attraverso l’estetica della grafia e la ripetizione compulsiva di una sola frase. Come un mantra, il concetto ripetuto crea immagini e produce una catarsi. Il titolo dell’opera presentata a SetUp era semplicemente Nuvola. L’essenzialità sognante sempre presente, a mio avviso, nel lavoro della Maio, ha qui lo stesso peso di una parola inconfessata, mai detta, ma pronunciata milioni di volte dall’inchiostro del silenzio. Nuvola è una stampa fotografica, un frammento di cielo catturato dall’artista dopo essere stato lungamente osservato in un momento di forte disorientamento. Perché quando il miracolo sopraggiunge non sai mai dove ti trovi, dentro di te. La nuvola è passeggera. Passeggera come un pensiero negativo che prima o poi andrà in un’altra direzione. Sulla nuvola, con la consueta elegante grafia, Alessandra ha scritto e riscritto questa frase: “non devo pensarci più”. L’altro suo lavoro esposto si intitolava Prove di colore. Sulla carta, prove ad acquerello, alla ricerca dell’esatto celeste del cielo, erano interrotte da una prova di grafia, in cui la frase ribadita era: “non riesco ad essere come vorrei”.

Sempre da BI-Box, l’altra faccia della frammentazione dell’io è esistita nei minuziosi mosaici fotografici di Micaela Lattanzio, artista romana specializzata in decorazione musiva ma che nel suo percorso ha tradotto il virtuosismo della poetica del frammento in una indagine di scomposizione e ricomposizione del ritratto fotografico. Il trittico Costellazioni presentato a SetUp, ha visto la ricomposizione in chiave neodivisionista di tre ritratti femminili, racchiusi in essenziali e sofisticate cornici esagonali. L’artista ha stampato il ritratto e poi lo ha ridotto in piccolissimi tasselli. Ciascun frammento è stato poi fissato alla superficie con uno spillo, mantenendo alcuni millimetri di distanza dal piano, di modo da creare, nella riorganizzazione dell’immagine, un effetto di lievità e rarefazione. La Galleria VV8 di Reggio Emilia, ha esposto, invece, il lavoro fotografico di Oriella Montin in due progetti datati 2005 e mai portati fuori dal suo studio prima d’ora. Il primo,Paradise Hard, constava di scatti rubati a frame di film erotici della prima metà del Novecento su cui l’artista è intervenuta con pennellate di colore acrilico dalle tonalità calde, per isolare ed evidenziare un erotismo muto e a tratti autistico. La seconda serie era invece titolata Marlene Dietrich e anche in questo caso si è trattato di scatti colti da frame, che ritraggono la celebre attrice nel film Blond Venus.

Infine, una nuova realtà espositiva che mi ha particolarmente colpita è stata il MMAC – Marta Massaioli Arte Contemporanea, di Fabriano (AN) che a SetUp ha presentato l’installazione di una giovanissima artista romana: Sveva Angeletti. A casa ovunque era una composizione di foto, autoscatti, oggetti e frammenti testuali, interamente disposta e fruibile sul pavimento. Gli elementi, di piccolo formato, posizionati casualmente, non erano altro che un momento del viaggio, in noi stessi e nel mondo. E tutti insieme andavano a costruire un invisibile bagaglio, quello della memoria, col quale ciascuno di noi si muove e orienta nell’esistenza.