Secondo Wim Wenders “La fotografia dà modo di cogliere l’essenza di un luogo, è una parte vitale del viaggio. Come fotografo arrivo senza storie, ascolto e lascio che siano i luoghi a raccontare”. Ed è proprio attraverso una narrazione per immagini che le 34 fotografie del regista e fotografo tedesco conducono lo spettatore oltre Oceano, accompagnandolo alla scoperta di un’America periferica e affascinante.

Si tratta di un lungo reportage realizzato tra la fine degli anni Settanta e il 2003 che ha inizio con i paesaggi rurali del West - future scenografie di Paris, Texas (1984) - per poi giungere alle più recenti ferite di questo Paese come nell’opera in cinque “atti” New York, November 8, 2001 dedicata a Ground Zero, un commovente polittico in grado di stimolare una riflessione sulla violenza e sul dramma collettivo.

Gli scatti presentati alla Villa e Collezione Panza, splendida dimora del FAI nel cuore di Varese, catturano l'essenza di un momento, di uno spazio, sono come il “fermo immagine” di un ipotetico lungometraggio muto a colori. E’ lo sguardo di un europeo che attraversa gli Stati Uniti e ne restituisce l’aspetto più intimo. L’America di Wenders è melanconica e silenziosa, gli spazi sono reali eppure metafisici, come accadeva già nelle tele di Edward Hopper, suo dichiarato ed esplicito riferimento artistico.

La composizione bilanciata e geometrizzante delle architetture diviene cornice per scene deserte immerse nel silenzio, le fotografie del cineasta di Dusseldorf - premiato con l’ Orso d’oro alla carriera nell’ambito dell’appena trascorsa Berlinale 2015 - catturano dettagli minimi e gli oggetti finiscono per acquisire una sfumatura lirica come le insegne degli store o i cartelli abbandonati nel deserto, che rimandano alle icastiche composizioni di lemmi dell’artista statunitense Ed Ruscha.

"I paesaggi danno forma alle nostre vite, formano il nostro carattere, definiscono la nostra condizione umana e se sei attento acuisci la tua sensibilità nei loro confronti, scopri che sono molto più che semplici luoghi". Con queste parole Wenders definisce il suo approccio nei confronti della realtà che ritrae con la sua Makina-Plaubel con pellicola negativa Eastman per “guardare le cose e conservarle”.

La riflessione sottesa a tutte le immagini è quella di una continua ricerca di “preservazione dalla scomparsa”, un’esplicita volontà di eternare istanti perché tutto quello che si trova al di là del perimetro dell’obiettivo è irrimediabilmente perduto. In questo modo il regista de Il cielo sopra Berlino (1987) abbraccia il circostante, dipingendo con la luce un’America da contemplare.