Se Ravenna, oggi, è stata classificata, assieme alla sua provincia, come città italiana con la migliore qualità della vita, questo si deve in buona parte al suo impegno culturale e alla difesa del patrimonio storico-artistico che le deriva dalla millenaria storia e che la portò ad essere capitale di imperi e regni. Tra gli studiosi che hanno contribuito e contribuiscono a mantenere vivi e aggiornati gli studi sulla storia, l’arte, la religiosità ravennati, una considerazione particolare merita mons. Giovanni Montanari, per l’interdisciplinarietà delle sue ricerche e per il loro orizzonte internazionale. Filosofia, teologia, storia e archeologia si alternano e si fondono nei suoi studi ed esegesi; però, come vedremo, non si tratta di alta cultura fine a se stessa, ma della base per la difesa e la salvaguardia di un altro bene supremo: la pace.

Studioso e docente di arte paleocristiana, con lunghi anni di insegnamento nelle università del Canada e degli Stati Uniti, la sua indagine sui monumenti ravennati si è arricchita di un loro vaglio alla luce dell'estetica cristiana, fondendo proprio storia, estetica e teologia: lo stesso approccio e lo stesso percorso che lo hanno avvicinato agli studi danteschi, che tuttora coltiva; in particolare sta analizzando il rapporto tra S. Tommaso e Dante in quelle che considera le opere più significative del poeta fiorentino: il Paradiso e la Monarchia. La sua formazione e la sua apertura verso una dimensione globale della cultura lo hanno dunque portato a inserire anche la storia di Ravenna in un contesto più latamente europeo: “Ravenna ha fondamenti europei nella poesia e nella musica. Gli studi danteschi e la tradizione ravennate di Ravenna Festival sono ben noti in tutta Europa e nel mondo: c'è una Ravenna medievale, moderna e contemporanea che arricchisce enormemente l'intramontabile supremazia di Ravenna antica, romana e paleocristiana. Una città che nella musica e nella poesia ha già espresso esegesi, ermeneutiche, interpretazioni di personaggi internazionali famosi quali i maestri Angelo Mariani e Riccardo Muti nella musica; Corrado Ricci, Santi Muratori, Francesco Mazzoni, Allen Mandelbaum, Charles Singleton, Gianfranco Contini nella poesia di Dante”.

Ravenna ha subito gravi devastazioni dalle due ultime guerre mondiali e la difesa del suo patrimonio artistico e dei suoi tesori indica chiaramente che: “I beni culturali dell'umanità sono l'arma più potente di cui la civiltà disponga per fare la guerra contro la guerra, cioè per usare la sola arma vincente nell'imprescindibile lotta umana per affermare e realizzare nelle opere, oltre che nelle parole, la pace globale. Gli scritti sulla guerra globale sono numerosi ed importanti, ma gli scritti sulla pace globale non esistono. Si ha l'impressione che l'argomento della pace globale spaventi tutti. Pare che imponga silenzio perché è utopia, e l'utopia va evitata. Finora le teorie della pace sono risultate essere utopia. Ma i beni culturali studiati nelle università in cento discipline scientifiche non sono utopia: sono la realtà più tangibile prodotta dall'uomo, dall'Homo sapiens e faber”.

Ma non si pensi che mons. Montanari sia rivolto solo a un passato classico e medioevale, perché, come sottolinea lui stesso, la lunga permanenza negli Stati Uniti l'ha appassionato alla storia americana e ora sta scrivendo un saggio sulla filosofia della Costituzione degli Usa. Questa sua acuta visione che spazia nei secoli mi spinge a porgli un quesito che collega, appunto, un episodio remoto della storia della Chiesa ravennate, l'“autocefalia”, cioè l’indipendenza della Chiesa ravennate da quella romana, e uno molto più recente, l'arcivescovato di mons. Baldassarri, il prelato che fece tremare il Vaticano per il suo spirito innovativo: “Baldassarri si era fatto forte dell'ecclesiologia di Dossetti e Lercaro che, in un sinodo tenuto a Bologna, affermarono che la sinodalità diocesana era tanto importante da rendere la diocesi stessa indipendente dalla Curia Romana, ora, evidentemente non era la stessa cosa dell'autocefalia proclamata dai vescovi ravennati nel medioevo, ma nella personalità di mons. Baldassarri c'erano senz'altro dei fermenti autonomistici o che, comunque, volevano portare alle estreme conseguenze i dettami del Vaticano II. D'altra parte, dopo Baldassarri, la Chiesa ravennate subì un'involuzione, soprattutto dal punto di vista di un mancato rinnovamento ecclesiologico”.

Anche oggi, riflette Montanari, l'organizzazione ecclesiastica è carente, soprattutto dal punto di vista culturale, molti sacerdoti vengono da altri paesi e non sono preparati a riconoscere e divulgare il nostro patrimonio, che, ovviamente, passa anche per le mani del clero, ma se alle mani non corrispondono testa e cervello, ecco che non se ne capisce l'immenso valore e gli stessi arcivescovi, non sempre e non tutti si sono resi conto del tesoro che possedevano. Ma allo studioso piace, alla fine, sottolineare ancora il messaggio di pace che i beni culturali ravennati, con i loro monumenti “patrimonio dell’umanità”, possono indirizzare a tutto il mondo: “Le parole patrimonio dell’umanità” vengono dall’Unesco. Ma le parole per la pace , nel contesto che si espone, sono nuove. E’ nuovo, infatti, aggiungere l’argomentazione dei beni culturali alle argomentazioni religiose e filosofico-politiche per la pace. Le argomentazioni religiose o filosofico-politiche procedono in modo deduttivo da principi universali, i beni culturali, invece, procedono per induzione. L’argomentazione dei principi universali è di natura teoretica; il metodo dei beni culturali, invece, è di natura empirica. I principi universali sono ideali; i principi dei beni culturali reali.

A questo punto è necessario scrivere che, non contro i principi universali promotori della pace globale contro la guerra globale, ma in diversità di metodo argomentativo, si asserisce che fondamento della costruzione mondiale della pace è il patrimonio universale dei beni culturali dell’umanità. Oggi si sfruttano i giacimenti di diamanti, petrolio, uranio; si impegnano eserciti costosissimi per una impresa tecnologica che degradandosi continuamente, per terribile entropia, nell’accumulo di armamenti e arsenali nucleari, porta l’umanità verso il baratro dell’estinzione, ma si lascia da parte la filosofia dei beni culturali, cioè quella realtà del potenziale collettivo dell’intelletto umano universale che solo potrebbe arrestare la guerra, e portare alla pace. Il patrimonio dell’umanità, in cui Ravenna è intrinsecamente radicata, è Res Publica, è la vera ricchezza delle nazioni. Solo attraverso un’azione pubblica di comunicazione e partecipazione le coscienze degli uomini e delle donne entrano in possesso di questo patrimonio. Contro questa libertà-liberazione stanno le strumentazioni del degrado critico, della massificazione e della comunicazione sostanziate dai soli criteri del consumo e dell’accumulo capitalistico alienante e oppressivo. In una globalizzazione, in cui l’immagine tende a degenerare e la manualità tende a scomparire, la terapia dei beni culturali non parrà solo una immunizzazione, un preservativo di conservazione e tutela, dovrà essere piuttosto la sinergia creativa che realizza il futuro del passato nell’evoluzione della civiltà umana.

C’è da augurarsi che le Accademie mondiali, le Istituzioni planetarie, le Religioni universali escano dall’autoghettizzazione e, affacciandosi agli orizzonti della Terra, insegnino a trasformare il passato dei giacimenti culturali in beni garanti del futuro”.