Jazz, funk, rock e composizione seriale: nel suo tredicesimo lavoro solista, il poliedrico trombettista fiorentino conduce un vulcanico ensemble tra improvvisazione totale e musica colta. Suoni ribollenti, magmatici, vorticosi: un ensemble di sette elementi per sette lunghi pezzi nati in studio tra gesti, occhiate, intuizioni, fughe collettive e meditazioni solistiche. Un sound che rievoca reminiscenze funk alla Miles Davis di metà anni '70 ma anche tante altre componenti, quello di Memories Of Always, il nuovo album di Franco Baggiani: "In questo lavoro, pur avendo mantenuto nell'impianto globale un certo sapore davisiano anni ‘70, ho guardato ad altro, gli anni ‘70 certo, ma non solo di Davis, anche di Ornette e Sun Ra e molto mi ha ispirato l'ascolto di Alfredo Casella, e di alcuni compositori seriali italiani del secolo scorso. Se la partenza può sembrare davisiana, l'arrivo non lo è di certo".

Trombettista tra i più prolifici del jazz italiano, figura unica nel suo genere in Europa viste le numerose attività tra discografia, composizione, insegnamento, direzioni didattiche e artistiche, Franco Baggiani percorre in solitaria la sua via di eclettico uomo di jazz, approdando a un disco diverso dagli altri, soprattutto dal precedente My Way Through The Jungle: "Mentre My Way Through The Jungle è stato un omaggio, personale e non didascalico, al Miles del periodo '69-'74, Memories è una sintesi di tutti i lavori che si frappongono fra questi due lp, lavori più radicali come Think, Florentine Session e The Dead City, nei quali i miei orizzonti si sono confrontati con l'improvvisazione totale, e poi i musicisti, assai diversi e con qualità diverse; quello che non è cambiato mai è che le registrazioni vengono fatte live, vere e proprie session improvvisate in studio".

Le session in studio alla quale si riferisce il musicista fiorentino sono momenti particolarmente significativi per l'atmosfera e la conduzione. L'ensemble da lui guidato – con la peculiarità di due percussionisti accanto alla batteria – sperimenta una singolare congiunzione tra la musica seriale del '900 e la ricerca del groove tipicamente funk, con un'idea di "regia" molto cara a Baggiani: "Ho condotto le session in modo mutuato da un certo tipo di direzione gestuale di derivazione colta europea sviluppatasi negli anni ‘50. Utilizzo 6-7 segnali convenzionali, a ognuno corrisponde una cosa ben precisa che può riguardare la dinamica, l'uscita o l'ingresso di uno strumento, il contrasto dinamico fra strumenti, una precisa figurazione ritmica, l'indirizzo del brano verso un determinato andamento ritmico, una sezione fiati improvvisata. ecc. Spesso accade anche che suggerisco all'orecchio dei musicisti frasi o idee sul momento, che devono poi suonare al mio segnale, ho anche sei segnali con la bocca e con gli occhi e anche questi corrispondono a determinati andamenti della musica.‎..".

Memories Of Always è un lavoro che arricchisce il progetto di Baggiani nella connessione tra diversi linguaggi e rilancia il cammino di un artista produttivo e sempre sorprendente.

Franco Baggiani: trumpet and conduction
Giacomo Downie: baritone sax
Adriano Arena: electric guitar
Lorenzo Forti: bass guitar
Fabio Ferrini: percussion
Alessandro Criscino: percussion
Alberto Rosadini: drums

Intervista a Franco Baggiani

La formazione di Memories è un ampio ensemble elettrico dalla marcata presenza ritmica, batteria e ben due percussionisti: in base a quale criterio hai selezionato i tuoi musicisti?

Ho voluto due percussionisti per avere un sound stile ‘giungla’, senza indicazioni ritmiche precise, liberi di improvvisare, questo pulsare continuo e a volte anche disordinato mi dà una energia immensa, amo il caos organizzato, nel disco precedente i percussionisti erano ben tre. I musicisti li seleziono per capacità di stare dentro la storia che voglio raccontare, devono essere capaci di improvvisare liberamente per dieci minuti seguendomi nella direzione che voglio dare alla musica. Devono essere bravi a mettere in pratica quello che ho nella testa e devono essere persone che stimo.

Memories è stato registrato dal vivo in studio: avevate già in mente qualche canovaccio o è stata improvvisazione allo stato brado?

Le uniche cose scritte sono state le due serie dodecafoniche sulle quali sono stati costruiti The Sieve smells bad today (serie di Arnold Schönberg) e A series of coincidences (serie di Alfredo Casella) che poi, evidentemente, sono stati sviluppati in modo libero su questi due punti di riferimento, e le vamp del basso, il resto incluso il breve brano iniziale Ob-session di chiara matrice jazz-funk, è tutto liberamente improvvisato.

In Memories torna un classico di Miles dei primi anni ’70, ovvero Black Satin, presente anche in My Way Through The Jungle: quali sono i motivi di questa scelta?

È un brano che mi piace molto e che appare in vesti diverse e con letture diverse nella mia scaletta anche dal vivo, è semplice, ossessivo e carico di energia e facilmente plasmabile al mio stato d'animo del momento.

Quando ci si avvicina a certo jazz elettrico imparentato con il funk, spesso si tira in ballo l’aggettivo “psichedelico”: lo senti vicino alla tua visione musicale?

Non molto in verità, la psichedelia mi piace, ma i miei punti di riferimento sono nel jazz, tutto il jazz dal dixieland alle forme più radicali, e nella musica contemporanea di derivazione colta europea, senza tralasciare il lato groovy della musica afro-americana, come il funk, il soul e il rhythm ‘n’ blues.

Non sei nuovo all’ibridazione del jazz con altri generi, dal funk alla world music, addirittura dance e jungle: qual è il segreto per essere sempre se stessi in queste operazioni e non farsi prendere dalla facile contaminazione?

Ti sembrerà una risposta banale ma per essere se stessi occorre essere se stessi, io non mi sono mai legato a uno stile, a un musicista in particolare, non mi sono mai sentito attratto più di tanto da questo o quello, ho sempre ascoltato tutto e tutti con la massima attenzione ma ho sempre avuto una mia precisa idea di musica qualsiasi sia stato il progetto o la band. La contaminazione a mio avviso è vitale per il jazz e per la sua innovazione e trovo avvilenti quei musicisti che suonano mainstream, è un po' come scrivere in stile mozartiano negli anni 2000. Semplicemente inutile, l'ha già fatto magnificamente Mozart, uno spreco di neuroni e di energie, preferirò sempre un disco di Dizzy o di Clifford Brown o se vuoi di Woody Shaw ai nuovi e ripetitivi giovani leoni che suonano hard bop con qualche spruzzata di modernità.

Tu sei un trombettista di grande esperienza e operi tra composizione, concerti e didattica: pensi che il tuo strumento abbia ancora margini di innovazione?

Credo che a livello tecnico non si possano fare passi in avanti fondamentali, a meno che non si tratti di virtuosismi circensi dei quali possiamo fare a meno con piacere, anche se su questo argomento probabilmente non sono certo il trombettista più indicato. L'elettronica può aiutare ma anche su questo John Hassell e Toshinori Kondo hanno fatto passi da gigante e superarli non credo sia facile, Lester Bowie ha dato fondo alla ricerca di suoni anomali con risultati fantastici e in Europa ci sono trombettisti interessanti che sperimentano partendo però dalla musica colta europea e non dal jazz. Il prossimo disco che farò sarà in “solo” cioè solo tromba e sovraincisioni di me stesso su me stesso, senza dubbio rischioso ma senza rischi non c'è possibilità di incidere! Vedremo…

Per saperne di più: www.francobaggiani.it