Parallelamente al percorso che vede la città impegnata verso la decisiva tappa della sua candidatura a capitale europea della cultura, la programmazione dell’Opera e della Danza si orienta al ‘900 e al contemporaneo a partire dal grande patrimonio della tradizione ottocentesca.

Nei cinque appuntamenti con l’Opera, il Teatro Alighieri presenterà quest’anno sei titoli - La voix humaine, The Telephone, Il viaggio di Roberto, La rondine, L’elisir d’amore, La sonnambula - i primi due dei quali saranno rappresentati assieme nell’evento inaugurale che anticipa a novembre l’apertura della stagione. Il percorso che, partendo dal 1831-1832 - anni rispettivamente delle prime rappresentazioni a Milano della Sonnambula di Bellini e dell’Elisir d’amore di Donizetti - fino alla Rondine di Puccini - prima rappresentazione al Grand Théâtre de Monte Carlo il 27 marzo 1917 - ci introduce al ‘900 con la leggerezza dei 3 suddetti titoli, nel breve volgere di un secolo vedrà profondamente mutate le forme e le tematiche del teatro musicale.

Se ad essere rappresentate sul palcoscenico sono sempre le passioni che agitano il cuore umano - in primo luogo quelle d’amore -, se la donna rimane ancora al centro della scena come protagonista assoluta, essa non appare più come l’eroina di vicende solo rappresentate, ma l’eroica interprete di drammi e vicende di ordinaria esistenza in cui la realtà stessa diviene soggetto dell’azione teatrale che si dipana sulla scena, con tutta l’intensità emozionale di dinamiche psicologiche e moti interiori che coinvolgono direttamente il pubblico, chiamato sempre più a un ruolo attivo e partecipe, e non di semplice spettatore. Tale percorso si chiude con la rappresentazione de Il viaggio di Roberto, nuova opera commissionata dal Teatro di Ravenna al compositore Paolo Marzocchi, che racconta la vicenda del piccolo ebreo ravennate Roberto Bachi, morto ad Auschwitz nel 1944.

Sul fronte danza, dopo la trilogia del Teatro Mariinskij che ha portato a Ravenna la leggendaria compagnia di Balletto di San Pietroburgo, il Teatro Alighieri presenta la nuova Stagione di Danza incentrata su compagnie e proposte della danza contemporanea di grande richiamo. Dopo le intramontabili favole del Lago dei Cigni e Giselle, il palcoscenico dell’Alighieri ospiterà quattro titoli che fotografano la danza di oggi, una panoramica che spazia dalle avanguardie, artefici di innovativi linguaggi coreutici come quello di Wayne McGregor, alle spettacolari invenzioni della NoGravity Dance Company, fino a vere icone della modern dance come Carolyn Carlson e a nuove realtà non convenzionali come la compagnia mk, di Michele Di Stefano.

“Il nuovo cartellone di opera e danza che presentiamo oggi – afferma il sovrintendente Antonio De Rosa – conferma un percorso avviato oramai molti anni or sono che presenta il Teatro Alighieri come la più importante fabbrica culturale della nostra città. Il comparto dei Teatri di Tradizione è il più vitale del Paese, con un destinatario sociale ampio e una produttività che moltiplica le carenti risorse pubbliche a disposizione. In un contesto nazionale sempre molto difficile per lo spettacolo dal vivo vorrei sottolineare ancora una volta il debito di riconoscenza nei confronti di tutti i sostenitori della stagione.

La stagione d’opera

Il dittico di apertura è composto da due straordinari lavori del teatro musicale del ’900 che hanno come protagonista un prodotto della moderna tecnologia divenuto oggetto comune del nostro quotidiano, il telefono, strumento della moderna comunicazione che ha rivoluzionato i tempi del lavoro e i ritmi della nostra vita, mutando la forma degli stessi rapporti umani.

La voix humaine, nasce come opera teatrale di Jean Cocteau nel 1930. Indiscusso capolavoro, fra i più affascinanti e struggenti monologhi (meglio sarebbe definirlo dialogo con una voce assente) della storia del teatro, annovera come interpreti le più grandi protagoniste della prosa e del cinema a livello internazionale (basti citare l’indimenticabile prova di Anna Magnani nel film di Rossellini); le pause, le risposte lasciate immaginare, le frasi allusive in questo dialogo fra due amanti alla tragica fine di una storia, sono infatti interamente affidate alla sensibilità, alle sfumature della voce, alla intensità espressiva dell’interprete femminile, unica protagonista a riempire la nudità di una scena amplificata in modo assordante dalla fredda, meccanica presenza di un telefono che squilla. L’atmosfera che si viene a creare attraverso l’incontro delle sole voci sospese alle due estremità del filo, lascia trasparire il gioco di una cinica e sottile violenza da una parte e, dall’altra, l’angoscia di una disperata solitudine per uno spietato abbandono: “quando si mette giù il telefono è come se distruggessimo l’ultima nostra possibile avventura, noncuranti dei gemiti dell’altro da noi” ebbe a dire Cocteau. Proprio il carattere di normalità di questi drammi della nostra quotidianità è l’elemento che, per un compositore come Poulenc, protagonista attivo del fermento di innovazione culturale che animava quei primi decenni del ‘900 francese, rende questo soggetto interessante per realizzarvi un’opera che utilizzasse lo stesso testo teatrale (solo leggermente adattato dall’amico Jean Cocteau medesimo). Sarà così la musica a sottolineare, suggerire, esplicitare quanto il testo lascia intravedere o intuire. Andata in scena il 6 febbraio 1959 alla Salle Favart del Théâtre National de l’Opéra-Comique di Parigi col soprano Denise Duval diretta da Georges Prêtre, questa tragédie lyrique in un atto, è entrata nel repertorio dei più grandi soprani – ricordiamo Renata Scotto che la eseguì al Teatro Alighieri nella stagione ’93-’94 – richiedendo straordinarie qualità tanto vocali quanto attoriali.

The Telephone or L’amour à trois di Giancarlo Menotti, autore nel 1947 del libretto oltre che della musica, ci trasporta in tutt’altro clima di leggera ironia e ammiccante complicità, nel prendere atto dell’impermeabile barriera che il telefono può rappresentare rispetto alla normalità di rapporti umani autentici e diretti, tanto che, per superarla, il povero Ben sarà costretto a usare il telefono per introdursi nel dialogo con Lucy e chiederle di sposarla. L’intrigante scelta registica di Sandro Pasqualetto che dirige entrambi i lavori, di immaginare i due atti unici come due storie ambientate nella stessa camera d’albergo che si susseguono come se si trattasse di clienti che vi si avvicendano con le loro storie totalmente diverse ed estreme, rende ancor più attuali e a noi vicine queste due opere, come si trattasse di quadri di vita reale che si svolgono in anonime stanze d’albergo e che ci capita di scrutare, casualmente affacciati alla nostra finestra allo stesso modo in cui, indifferenti, assistiamo alle tragedie del mondo che scorrono nelle finestre dei nostri televisori. A dirigere l’Orchestra Luigi Cherubini sarà Jonathan Webb, affiancato da Alda Caiello -interprete de La voix humaine - e da Monica Tarone e Emilio Marcucci, rispettivamente Lucy e Ben in The Telephone.

Il Teatro Alighieri si è fatto promotore di una nuova produzione d’opera Il viaggio di Roberto, un treno verso Auschwitz incentrata sulla storia di Roberto Bachi, riemersa a Ravenna nel 2002 grazie all’impegno di alcuni dei suoi ex compagni di classe e alla sensibilità del compianto Giorgio Gaudenzi, allora direttore didattico della scuola Elementare “Filippo Mordani”, Istituto frequentato allora da Roberto Bachi e da cui proviene il Coro di Voci Bianche Libere Note, anch’esso coinvolto nello spettacolo. Nato a Torino il 12 marzo del 1929, figlio del Generale Armando Bachi, Roberto giunse a Ravenna l’11 ottobre 1937 a seguito del trasferimento del padre chiamato ad assumere il comando della divisione di fanteria Rubicone di stanza a Ravenna. Frequentò la Scuola Elementare “Filippo Mordani” solo per un anno; a 9 anni dovette infatti interrompere gli studi perché ebreo. Fu deportato ad Auschwitz quando aveva 14 anni col numero 167973: morì in un imprecisato giorno dell’autunno 1944 ad Auschwitz–Monowitz, forse a causa della tubercolosi che lo aveva colpito per gli stenti o forse ucciso dai tedeschi proprio perché malato. L’azione scenica musicale in un atto su testo di Guido Barbieri - in programma, fuori abbonamento, domenica 7 dicembre alle ore 15,30 e rappresentata per il pubblico scolastico nelle mattine successive - descrive il viaggio di Roberto nel vagone del treno che lo porta con gli altri deportati ad Auschwitz. La musica, composta da Paolo Marzocchi, avrà come interpreti l’Ensemble Fauves Plus, i Tetraktis Percussioni e il Quartetto vocale Myricae, il mezzosoprano Alessandra Visentin, il baritono Dario Giorgelè, gli attori Franco Costantini e Cinzia Damassa e il Coro “Libere Note” della Scuola Primaria “Filippo Mordani” di Ravenna diretto da Elisabetta Agostini e Catia Gori. La regia di Alessio Pizzech si avvarrà delle scene e costumi di Davide Amadei. L’opera viene coprodotta con il Teatro Luciano Pavarotti di Modena e la Fondazione Teatri di Piacenza e sarà rappresentata in quei teatri anche in occasione della Giornata della Memoria per i ragazzi delle scuole.

Tra le ultime fatiche di Puccini, La Rondine ebbe una gestazione piuttosto travagliata. Commedia lirica in 3 atti, era stata inizialmente pensata come operetta da committenti austriaci, dai quali ben presto l’insoddisfatto Puccini prese le distanze, per rivedere tutto l’impianto del progetto assieme a Giuseppe Adami, librettista delle sue ultime successive opere, Tabarro e Turandot. Il titolo, pur avendo sempre riscosso calorosi successi, non è mai entrato a far parte delle opere di Puccini più amate dal pubblico e solo negli ultimi anni stiamo assistendo a un suo recupero e a una più frequente programmazione da parte dei teatri di tutto il mondo. La storia di un amore impossibile ambientata nel mondo piccolo borghese della Parigi del Secondo Impero, non è mai stata rappresentata a Ravenna. La produzione che presentiamo il 24 e 25 gennaio, nasce da una collaborazione con il Teatro del Giglio di Lucca, il Pavarotti di Modena, il Verdi di Pisa e il Goldoni di Livorno e vedrà il ritorno sul podio di Massimiliano Stefanelli (che diresse nel nostro teatro la celebre Aida realizzata per Busseto da Zeffirelli). Le scene e i costumi, di raffinata eleganza, sono di Rosanna Monti, la regia di Gino Zampieri.

Sabato 28 febbraio e domenica 1 marzo andrà in scena un nuovo allestimento di éL’elisir d’amore* di Gaetano Donizetti coprodotto assieme alla Fondazione I Teatri di Piacenza, che vede il ritorno di Leo Nucci nelle vesti di regista. Si rinnova così la nostra adesione al progetto “Opera Laboratorio” che lo scorso anno realizzò la Luisa Miller andata in scena all’Alighieri. A tale progetto il celebre baritono emiliano si dedica da alcuni anni con passione, selezionando e curando in prima persona i giovani che sotto la sua guida esperta muovono i primi passi in palcoscenico avviandosi a intraprendere la difficile carriera del cantante d’opera, potendo attingere al prezioso tesoro di conoscenze e d’arte da lui acquisito nei più grandi teatri di tutto il mondo a fianco ai più illustri direttori e interpreti del repertorio lirico e di quello italiano in particolare. Le scene di Carlo Centolavigna e i costumi di Artemio Cabassi, si inseriscono anch’essi nel solco della migliore tradizione italiana che Nucci intende così servire e salvaguardare. L’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini sarà diretta da Stefano Ranzani.

La sonnambula di Vincenzo Bellini, in programma il 27 e 29 marzo, ritorna all’Alighieri riproponendo l’allestimento originale del 1831, espressamente ricostruito per questa produzione. L’atmosfera idilliaca e innocente dell’opera, ambientata in un villaggio alpino sui monti svizzeri, è ben ricreata dalla freschezza pittorica della scene dipinte di Alessandro Sanquirico, il pittore e scenografo milanese attivo alla Scala fra il 1817 e il 1838 come autore di innumerevoli scene per l’opera e il ballo e intervenuto come architetto nella realizzazione di diversi teatri del nord Italia (fra i quali la stessa Scala, il Sociale di Como, il Municipale di Piacenza). Sarà un’occasione unica per rivivere lo stesso clima musicale della Milano di quei primi decenni dell’800 fino a condividere la stessa percezione visiva che il pubblico potè ricevere all’epoca della prima rappresentazione dell’opera. L’allestimento è stato assai apprezzato dal pubblico di Treviso dove l’opera è andata in scena con successo proprio in questi giorni, anche per la vivacità dei costumi ben ricostruiti sotto la supervisione di Veronica Pattuelli, così come apprezzati sono stati il regista Alessandro Londei e il direttore Francesco Ommassini.

La stagione di danza

La stagione si apre a gennaio, sabato 6 (20.30) e domenica 11 (15.30), con Dall’inferno al paradiso una creazione di Emilio Pellisari immaginata per la NoGravity Dance Company. Un percorso dantesco che propone una carrellata senza sosta di immagini straordinarie e sorprendenti, visioni fantastiche e fantasiose di una Commedia danzata. Grazie all’impiego di macchinerie teatrali ispirate al teatro barocco e all’utilizzo di nuove tecniche coreografiche, i ballerini-acrobati agiscono sospesi nel vuoto dando vita a figurazioni visionarie che sfidano la stessa legge di gravità. Il linguaggio del corpo, paradossalmente bloccato dentro un marchingegno ottico, amplifica e altera il gesto proiettandolo in un gioco illusionistico di rarefatte evoluzioni.

Il secondo appuntamento a febbraio (sabato 7 alle 20.30 e domenica 8 alle 15.30) vede il ritorno a Ravenna di uno tra i più geniali e interessanti coreografi inglesi dei nostri giorni, Wayne McGregor, già ospite di Ravenna Festival nel 2011, con lo spettacolo Far messo in scena dalla sua Wayne McGregor | Random Dance. Far – acronimo di Flesh and the Age of Reason di Roy Porter, storia dell’esplorazione del corpo e dell’anima del XVIII sec. – è un mix di scienza, cibernetica e modern dance, dove un avvolgente set di led luminosi funge da ipnotico sfondo ai movimenti di matematica precisione dei danzatori, immersi nella suggestiva e incalzante ambientazione sonora originale della superstar della musica elettronica australiana, Ben Frost. Un’occasione per rimarcare il suo inconfondibile tratto coreografico sempre teso a una visione distonica del corpo, specchio del mondo frammentato e disfunzionale in cui viviamo. In questa sua ultima creazione, che vede in scena dieci straordinari interpreti, il gesto coreografico scandaglia fin quasi a vivisezionarla, la relazione tra il corpo e la mente.

Domenica 15 e lunedì 16 marzo Carolyn Carlson, una delle grandi protagoniste della scena internazionale della danza contemporanea, porta a Ravenna Now la sua nuova creazione 2014 di prossima presentazione, realizzata per inaugurare la sua nuova residenza artistica al Théâtre National de Chaillot di Parigi. In questa sua nuova pièce, su musica originale di René Aubry, la accompagnano sette danzatori, interpreti fedeli della sua poetica e della sua gestualità, che ben conoscono la sua concezione della dinamica e il suo universo di riferimento stilistico, una forma d’arte che Carolyn Carlson ama definire “poesia visiva”, dove ogni movimento-percezione è connesso all’universo. Ad affiancarla in questo suo nuovo corso, il compositore René Aubry, da anni suo stretto collaboratore.

Come già avvenuto nelle ultime stagioni, il programma della stagione del Teatro Alighieri si interseca con Today To Dance, rassegna sulle forme della danza italiana contemporanea promosso assieme a Ravenna Teatro, Cantieri Danza Ravenna, E-prodution, Teatro del Drago e con il sostegno di Aterdanza. Sabato 18 aprile, fuori abbonamento, la compagnia mk presenta Robinson, una coreografia di Michele Di Stefano che prende le mosse dal romanzo di Michel Tournier, Venerdì o il limbo del Pacifico. Il protagonista si perde nel paesaggio fin quando l’incontro con l’altro lo spinge a una totale reinvenzione di se stesso. In questo spettacolo la danza, sempre essenziale e quasi algida, cerca di tenere vivo proprio il momento cruciale dell’incontro, quello in cui è ancora possibile l’invenzione di un accordo nuovo tra i corpi. Immerso nella musica di Lorenzo Bianchi Hoesch e trasformato dall’intervento di Luca Trevisani, quello abitato da Robinson è lo spazio che nasce quando si decide di uscire da se stessi per abitare il mondo.