«L’universo è dovunque io vada. Noi ci muoviamo inseparabilmente insieme» (Maturana 2008, 29).

Con una dichiarazione che egli stesso definisce più forte di quella che si potrebbe fare sulla falsa riga dell’antica affermazione protagorea, dicendo che l’osservatore è la misura di tutte le cose, Maturana fa dell’osservatore la fonte di ogni cosa. Egli dice: «Senza l’osservatore non c’è nulla. L’osservatore è il fondamento di tutta la conoscenza, di qualsiasi assunzione che coinvolge il sé umano, il mondo e il cosmo. La scomparsa dell’osservatore significherebbe la fine e la scomparsa del mondo che conosciamo; non ci sarebbe nessuno lasciato a percepire, parlare, descrivere e spiegare» (Maturana 2004, 28).

Maturana non intende presentare così un nuovo tipo di verità, ma solo introdurre un argomento di ricerca che sta a lui molto a cuore, ossia il fatto che qualsiasi cosa noi siamo in grado di dire sulla verità o sulla realtà inevitabilmente coinvolge il linguaggio. È, infatti, tramite il linguaggio, che non è una prigione, ma la nostra forma di esistenza, che noi operiamo le distinzioni tramite cui emerge ciò che supponiamo esistere indipendentemente da noi.

Egli è pronto a prendere le distanze da colui che, soprattutto in Italia, viene considerato forse il più grande filosofo del Novecento, Martin Heidegger, dicendo: «Non è il linguaggio la casa del Dasein, come afferma Heidegger: il nostro essere come esseri umani avviene nel “languaging”, nel flusso del nostro essere nelle conversazioni. Un essere umano è un modo dinamico di essere nel linguaggio, non un corpo, non un’entità che ha un’esistenza che possa essere immaginata indipendente dal linguaggio e che possa poi usare il linguaggio come strumento di comunicazione» (Maturana 2008, 112).

Sono gli osservatori come esseri umani coloro che distinguono qualcosa, compresi se stessi, come se fossero separati da ciò, ed è questa l’esperienza che innanzitutto deve essere spiegata. All’inizio, c’è l’esperienza della separazione, che poi si trasforma nell’idea di connessione. È necessaria la presenza di qualcuno che operi le distinzioni, affinché assumano esistenza le entità materiali o concettuali nel momento in cui vengono da costui specificate e demarcate rispetto all’ambiente (Maturana 2004, 30-31), analogamente a quanto avviene, egli dirà, fra un sistema autopoietico e il mezzo con il quale esso si trova in accoppiamento strutturale. Ogni distinzione eseguita da un osservatore è una distinzione cognitiva e «Ogni qual volta che io distinguo qualcosa, l’entità che è distinta emerge insieme con qualche sfondo nel quale la distinzione assume un senso; essa produce il dominio in cui essa esiste» (Ivi, 31).

Il punto di vista che Maturana decide di assumere, la sua prospettiva teoretica, ritaglia una gamma di possibilità sperimentali fra tutte quelle possibili, in dipendenza delle scelte fatte da lui stesso in quanto sperimentatore. Ma se ogni comprensione del processo cognitivo deve tener conto dell’osservatore e del suo ruolo in esso (Maturana 1970a, 4), ci si può chiedere quale sia allora il ruolo di Humberto Maturana nella sua teoria. Come sappiamo, la conclusione cui giunse Maturana è che la percezione, e la cognizione in generale, non rappresentano una realtà esterna, ma piuttosto ne specificano una attraverso il processo di organizzazione circolare del sistema nervoso (Maturana e Varela 1980). Si potrebbe dire che Humberto sia stato e sia come un’unità in dialogo, come direbbe Varela , nella rete cognitiva dello spazio-tempo cui i nostri sistemi percettivi ci consentono di accedere.

Già, però, nella sua opera del 1970, Biologia della Cognizione, Maturana mostra in modo esplicito come, nella nostra ricerca di comprensione del processo percettivo, siamo obbligati ad accettare la presenza di noi stessi fra gli oggetti che vogliamo descrivere, quali sistemi viventi che vogliono capire sistemi viventi, soggetti umani che studiano oggetti identici a se stessi (Maturana e Varela 2004, 53).

Non è, d’altro canto, a mio parere, da prendersi in considerazione l’ipotesi che Maturana sia giunto alla formulazione della famosa teoria dell’osservatore basandosi sui suoi studi sulla percezione visiva. Al contrario, è presumibile che la sua epistemologia, sin dall’inizio della sua riflessione filosofico-scientifica, sorgesse dall’idea tacita della presenza dell’osservatore nel processo conoscitivo, di cui si può trovare traccia anche nei suoi lavori scientifici precedenti a quello del 1968. Tenendo conto inoltre della grande importanza data da Maturana al contesto teorico nella significazione degli esperimenti scientifici e dunque nella costruzione dei “fatti”, ritengo che la figura dell’osservatore che compare ad un certo punto in maniera esplicita, sia la manifestazione della consapevolezza della circolarità processuale della conoscenza, legata alla circolarità stessa del vivere, idea che Maturana ha da sempre avuto in sé, come ci racconta parlando della sua fanciullezza. Il senso di insoddisfazione per l’epistemologia che guidava il suo lavoro è stato il principale motore che ha condotto Maturana a proporne una completamente nuova, anche se per molto tempo egli si era servito della terminologia e dunque degli strumenti di quella tradizionale.

Se, come dice ancora Feyerabend, «molti commettono l’errore di supporre che il mondo sorto come risposta alle loro azioni o alla loro storia sia alla base di tutte le altre culture, solo che gli altri sono troppo stupidi per accorgersene. Ma non c’è modo di scoprire il meccanismo per cui i vari mondi emergono dall’Essere» (Feyerabend 1991, 57), all’orizzonte autopoietico si profila netta la scansione dell’asimmetria temporale nel divenire e l’importanza della storicità. È, infatti, ad opera delle distinzioni dell’osservatore che sorge il tempo, «a causa del distinguersi dell’asimmetria dell’accadere nella sua esperienza», mentre «ambedue, tempo e storicità, sono proposizioni esplicative dell’asimmetria nel succedere dell’esperienza dell’osservatore, nelle quali si connota precisamente la sua irreversibilità intrinseca». Con questo argomentare, Maturana sembra offrire così la possibilità di comprendere il dipanarsi dei «processi descritti come ciclici […] come proiezioni descrittive con cui l’osservatore li astrae dal fluire direzionale al quale appartengono» (Ivi, 29).

D’altro canto, se, nelle parole di Feyerabend, appare forte il legame fra discorso ed essere, similmente lo è per Maturana, che pur tenta di evitare il collasso del linguaggio sull’essere o, viceversa, facendo emergere il primo dal piano del secondo, anche se il suo osservatore sorto nel linguaggio, si arroga il potere di definire, con il linguaggio e nel linguaggio, un sistema autopoietico, che è anche se stesso. Ci si può chiedere, dunque, se Maturana si sia posto il problema dell’essere e se quindi si possa parlare di ontologia nel suo caso. Tali temi non sono affatto estranei alla sua filosofia, anche se corrono di traverso fra filosofia e “biologia”, quasi a volersi sottrarre al peso della tradizione, nell’usarne gli stessi termini, nell’intento di definire una modalità cognitiva nuova, rifondante, in fin dei conti, il proprio essere. Tale prospettiva cognitiva nuova può anche offrirsi come tentativo di superare visioni conoscitive tanto contrapposte, come quelle che Feyerabend descrive, e di recuperare la dimensione “spirituale” in ogni aspetto del nostro vivere, che, nella prospettiva dell’autopoiesi, è sempre e comunque anche un agire e un conoscere, in cui i vari ruoli che agiamo nella nostra vita possono essere di volta in volta distinti, ma mai separati, restando sempre carichi della nostra assunzione di responsabilità, poiché mai riferiti ad una realtà a se stante.

Facendo entrare in scena il suo osservatore, Maturana prova a percorrere la via della conoscenza della conoscenza, dando corporeità al sorgere del processo autopoietico, quale incarnato nel proprio stesso vivere. Provando a ripercorrere, in modo quanto meno approssimato, come nel caso di altri illustri pensatori della storia delle idee degli umani, la storia della sua vita, la figura del nostro, infatti, sorge afferrando chi si accinga ad osservarla nella spirale di circolarità che sin dalla sua fanciullezza ha caratterizzato il suo pensiero, trasformando l’osservatore e arricchendolo di possibili punti di vista, in una continua apertura di senso, che sembra ancora e sempre aprirsi a nuove prospettive.

Autopoiesi - Άυτοποιέσις

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Rane e salamandre

Per i riferimenti bibliografici citati nell'articolo:
Mascolo Rossella, 2011, L’emergere della biologia della cognizione. La complessità della vita di Humberto Maturana Romesin, aracneeditrice.it
Mascolo Rossella, L’emergere dell’autopoiesi. Humberto Maturana Romecín e il suo incontro con Francisco Juan Varela, (Aracne Editrice, Roma). Prefazione di Pier Luigi Luisi.