Nel 1976, all’età di ventun anni, Emo Verkerk realizzò la sua prima opera. Prese una sedia da cucina in legno già esistente e vi applicò una seduta allungata di circa un metro. L’idea era che una persona che vi si sedesse, letteralmente seduta sul bordo della sedia, diventasse più attiva nello spazio. È un inizio notevole per qualcuno che si è fatto un nome con ritratti di figure storiche, figure che dunque non avrebbero mai potuto sedersi su quella sedia.
La persona ritratta può essere uno scrittore o un filosofo, un fumettista o un pittore collega, un esistenzialista o un uomo religioso, un razionalista o un idealista, un musicista o un compositore, un attore o un drammaturgo, persino un mago o uno sciamano. Hanno tutti una cosa in comune: una volta dipinti da Verkerk diventano parte integrante del suo universo, che si rivela essere un mondo a sé. Come la sedia, che simbolizza un’intera opera, non te la potresti inventare.
Con le sue stesse parole: “Potete considerare i miei ritratti come un diario allegorico: le persone che dipingo rappresentano pensieri o idee che mi preoccupano, che mi toccano. Tutto ruota intorno all’empatia. Ma il segreto sta nella direzione. Perché esiste un brevetto sull’empatia. Non appartiene a me, ma all’altro che sto ritraendo. È lui ad avere il brevetto e questo comporta un prezzo. E il ritratto è il premio vero e proprio. In breve, l’empatia non è il mezzo, è il fine. Consideratelo un omaggio sportivo alla persona ritratta, mentre tutto ciò che ricevo io è il premio di consolazione.”
Un numero relativamente grande di queste figure erano alcolisti: si pensi ad Alfred Jarry, Francis Bacon, Joseph Roth, Venedikt Erofeev, Malcolm Lowry, Charles Jackson, Flann O’Brien, Dylan Thomas e Thomas de Quincey, che sosteneva di non essere dipendente dall’oppio, ma dall’alcol in cui era sciolto. O a figure più moderate come Arthur Rimbaud, James Joyce o William Faulkner. Ma Emo Verkerk è sobrio ormai da dieci anni. Non ha toccato il fondo, ma ha fatto un atterraggio morbido su un cucciolo, il suo animale domestico da allora. Ciò è apparso subito evidente nella sua opera, che ora presenta anche mammiferi. Forse stiamo assistendo a un paradigma diverso.
Durante i primi dieci anni si confrontava soprattutto con la proiezione romantica. Un orfano nel mondo dell’arte olandese, abbastanza ostinato da iniziare a cercarne la causa. È giunto infine alla consapevolezza che la sua pratica comprende due tipi di proiezione: una proiezione patetica, che considerava documentaria, e una proiezione speranzosa, di natura concettuale. Questa intuizione lo ha condotto alla fase penultima: una fase di riflessione, inaugurata dalla costruzione di una serie di oggetti compatti, ciascuno dei quali rappresentava un uccello specifico. I dipinti di questo periodo sono strutturalmente diversi: le persone ritratte compaiono in un ambiente che è anche quello di Verkerk. Ma la fase che ha segnato l’inizio dell’astinenza sembra capovolgere tutto.
La prospettiva è cambiata. L’illusione del punto di fuga, che dalla Romanticismo tedesco è simbolo di Einfühlung e, in termini pratici, di proiezione, in altre parole del futuro, viene restituita al suo antico splendore. La rappresentazione emerge da una fonte che è simbolo del passato. Il risultato è che i protagonisti, come figure bibliche nei dipinti rinascimentali, si presentano nell’hic et nunc.














