Vi è stato un tempo nel quale riconoscersi nei propri desideri aveva una logica connessa al mondo ad un agire quotidiano diluito nello spazio territoriale e nel tempo a favorire l’innesco della naturale erogazione dell’immaginazione.

Oggi questa operazione sembra desueta e lontana dai bisogni umani.

La robotica assume sembianze supplettive della nostra immagine e naturalmente delle nostre funzioni, e l’uomo che la crea lavora per sostituirsi nella locazione di quelle professioni ritenute oneri in esubero.

Il gioco è diffuso a favorire lo stupore temporaneo dei molti e la rapida diffusione dei supplenti, senz’anima del gioco al profitto.

Gli ambienti marini, a differenza di quelli atmosferici, non stanno subendo questa mutazione.

Gli abitanti di un mondo ipotetico la cui acustica si compie di silenzio, ponderazione, sinergia, suono di necessità espressiva, non costruiscono condizioni altre, rispetto alle loro, per allargare un'ipotetica territorialità e andare in accumulo ma per coesistere in armonia.

Se qualcuno dovesse obiettare che per esempio, il mondo subacqueo, il quale possiede parte delle sopracitate caratteristiche e altrettanto percepibili livelli di coscienza, non sia umano, farebbe però il gioco di chi ora sta scrivendo queste riflessioni.

Anche il mondo atmosferico ricerca il non-umano. Negli atteggiamenti della prevaricazione della natura addiziona il suffisso “DIS” al valore “UMANO” e impone la plastica verità della robotica e di un’intelligenza frutto dell’artificio che da sperimentazione della sostituzione dei sistemi naturali diviene autentica nuova dimensione dell’edulcorazione della verità.

L’uomo è parte dei sistemi di natura e poco si comprende perché debba affrancarsene.

Se il mio corpo arrivasse, con un solo balzo, alla vetta della Tour Eiffel, sulla base delle sole sue forze questo sarebbe un aspetto formidabile della natura umana; se il medesimo risultato lo ottengo con l’astrazione delle funzioni fisiche attraverso l’artificio della scienza, questo non risponde ad un limite superato ma a elementi addizionali, extracorporei che non rispondono ad una acquisizione qualitativa umana ma ad illusione divinatoria.

Nell’ambito meramente creativo della moda, ad esempio, quando Saint Laurent, si racconta cromaticamente, nelle collezioni degli anni ’80 e ’90, tracciando la tavolozza del Marocco e dell’India o ancora della Cina, non è un artificio ma si lascia vivere come strumento della natura attraverso le sue emozioni e la sua immaginazione.

La percezione dell’educazione dei sistemi vegetali, imposta dallo scultore Giuseppe Penone, alle piante dei monti della Val Gardena, passa attraverso la sua personale visione e la sua azione diretta in quanto lui per primo ne è parte ed interviene nel processo di crescita, sviluppo e mutazione, non vi è l’intervento di genesi estranea all’agire dell’uomo come corpo caldo, umido e pensante.

I contenuti legati all’emulazione dell’essere umano e della natura sono molteplici ma non sono sostitutivi dell’uomo stesso ma ispirazionali di accrediti culturali sulla propria dimensione e il proprio coordinamento in essa.

Quando un processo che nasce per l’umano finisce per accantonarlo, genera una frustrazione delle quantità fisiche della popolazione terrestre e ovviamente della qualità della sua esistenza. È accaduto per l’automobile, per il computer e ora per l’intelligenza artificiale. Qualcosa si lascia e si parzializza e ancor di più qualcuno vincola alla mutazione forzata che sembra iperbolicamente aumentata dagli anni ’90 del secolo scorso e ulteriormente accelerata nel XXI secolo.

La sfida di quei qualcuno che sembrano essere sempre più di molti si gioca nella moltiplicazione della popolazione avvenuta nel secolo scorso.

Nel ‘900, la popolazione stimata sulla terra era di circa un miliardo di persone che si è poi raddoppiata intorno agli anni ’50. Giunti agli anni ’90, è partita l’escalation che oggi comincia a dare segno di inversione attraverso sistemi coercitivi e contraccettivi espressi a livello governativo in diverse parti del pianeta: un esempio per tutti, la Cina.

In un mondo la cui popolazione stimata è di circa otto miliardi, vi è davvero bisogno di aumentare l’intelligenza extracorporea? Fino a che punto? In quali ambiti? Non bastano tutti questi cervelli pensanti? Riusciamo ancora ad essere pensanti?

La creatività è protesica all’umano ed è insita nel suo paradigma di creatura cosciente, non si crea per rispettare un consumatore, si crea per un bisogno, un’urgenza espressiva che non ha a che vedere con la produzione seriale ma che a volte coincide con il suo sviluppo e con le conseguenze economiche di un possibile rilievo espressivo che diviene bisogno collettivo.

Il necessario all’uomo è l’opportunità del suo essere unico e di emettere in tale misura il suo suono, la sua forma.

Se tutto il sistema dell’antropomorfo diviene solo bisogno indotto verso il consumo, come già diceva Pasolini negli anni ’70, sarà (e probabilmente lo è) la vera dittatura e l’unico bene ma ad altissima deteriorabilità.

La standardizzazione sociale si completa nel dover solo aderire a beni processati su larga scala e semplicemente definiti in categorie ma non ad esse necessariamente appartenenti: quali mass market, lusso, tendenza, classico, senza che vi sia intrinsecamente una struttura interna a definirle e un processo progettuale e produttivo realmente diversificato.

Ecco che la desiderabilità cambia forma e sostanza, ecco che diveniamo o meglio già siamo più automatici degli automatismi e dunque sostituibili in toto e del tutto suppellettili a favorire pochi, troppo pochi, personaggi.

Necessitiamo di uno sguardo proiettato all’interno dell’uomo e lontano dall’automatismo meccanico dell’economia che ci vuole tutti uguali per la moneta che già non è più ascrivibile al tangibile e che se la vediamo è solo attraverso le nostre sembianze.

Non vi è spazio per l’umano nell’amministrazione dei sistemi economici che sono architetture della quantità per i supponenti della condizione di natura.

Pensare di usare la parola “rispetto” legata al soggetto “consumatore” è una contraddizione in termini.

Il rispetto lo si deve alla natura e all’uomo che di essa è parte e non al consumatore che in tale accezione è certamente categoria inferiore alla coscienza dell’assoluto a cui apparteniamo.