Il Ponte Calore collega uno degli storici rioni di Benevento, quello della stazione, con il centro storico e per molti anni è stato uno dei collegamenti più usati per passare da una parte all’altra della città. Viene chiamato ponte Vanvitelli in ricordo del ponte che l’architetto progettò nel 1767 ma quello che vediamo oggi è stato ricostruito nel 1960 sotto la direzione dell’ingegnere Federico Marini.
Il ponte è stato ricostruito più volte, una tra queste dopo gli eventi bellici e l’alluvione del 1949 grazie all’opera degli ingegneri del Genio Civile di Benevento.
Ma la ricostruzione più antica è quella fatta dai longobardi: dopo l’assedio e la conquista della città lo ricostruirono su piloni di età romana che per molto tempo erano visibili e testimoniavano la storia cittadina. Solo nel Novecento i resti sul letto del fiume vennero completamente distrutti per mettere in sicurezza gli argini del fiume.
Secondo lo studioso Meomartini il ponte era uno degli ingressi della via Latina in città, la quale aveva accesso dal ponte Maurelle e dal pons Maior. Ponte Maurella era il nome preso dal ponte di epoca romana poi abbattuto nel Novecento, sono quelli i segni della preesistenza di un ponte antico. Pons Maior è il nome attribuito a molti ponti siti sul territorio beneventano, anche della provincia, ma Rotili ha dimostrato che anche con questo nome si intendeva il ponte sul Calore.
Nel 1707 sia il fiume Calore che il Sabato strariparono e mentre il ponte Leproso perse due arcate il ponte Vanvitelli vide aggravarsi la sua situazione strutturale già labile dopo il terremoto del 1702. Bisognava intervenire per non perdere prezioso ponte, per questo l’intervento messo in atto nel 1715 da Giovan Battista Nauclerio non puntava ad eliminare i problemi strutturali ma a rende il ponte praticabile e in attesa di un vero e proprio restauro.
La situazione strutturale del Ponte richiedeva un intervento complesso che coinvolgesse anche le fondamenta e data la difficoltà dell’opera venne chiamato l’architetto napoletano Luigi Vanvitelli già impegnato in città. Dalla relazione del 1766 inviata da Vanvitelli a monsignore Saverio Canale, tesoriere generale della Reverenda Camera Apostolica, è possibile ricostruire le diverse fasi dei lavori. La relazione conteneva due disegni eseguiti con penna ed acquerello e in essi sono visibili le ipotesi di consolidamento delle antiche strutture e l’ampliamento carreggiata.
Fanno parte della relazione due diversi disegni. Il primo disegno, dal titolo Prospetto del Ponte vecchio presso le Muro della Città di Benevento sopra il Fiume Calore come esiste presentemente dalle porte sottocorrente di detto Fiume, rappresenta il rilievo dello stato di fatto effettuato dall’architetto napoletano. Il rilievo mostra le strutture, descritte nella relazione, e i piloni sui quali però il peso non era diviso in modo equo rendendo il passaggio tortuoso e irregolare.
Nel secondo disegno, Prospetto del Ponte Novo accresciuto di larghezza sulli medesimi Piloni dalla parte sopra corrente del Fiume, viene descritta l’idea progettuale dell’architetto. Si vede un ingrandimento di quelle parti del ponte ancora esistente e il loro consolidamento. L’idea era quella di non demolire il ponte presente ma di uniformarne le esigenze accrescendo la sezione sia per ragioni strutturali ama anche di traffico.
L’intervento prevedeva il rinforzo di due piloni, quelli in direzione della campagna, probabilmente quelli che risultavano maggiormente danneggiati. Un’altra modifica strutturale era l’inserimento di oculi rotondi, aperture nella struttura precisamente sopra i piloni, per dare maggiore stabilità in caso di piena del fiume. Gli oculi oltre che una funzione strutturale avrebbero avuto anche quella decorativa e con essi non sarebbe stato necessario l’inserimento di altri decori. In questo modo avrebbe ottenuto una struttura lineare senza bisogni superficiali decorazioni.
In questo modo la città sarebbe stata dotata di un ponte solido ma anche di una via di comunicazione sicura tra i diversi rioni.
I primi progetti dell’architetto napoletano non vennero attuati perché durante i lavori, come spesso succede nelle opere da restaurare, vennero riscontrate delle problematiche da superare. Le condizioni del ponte erano precarie e l’intervento richiedeva un rifacimento delle fondazioni. Questo fece sì che i costi dell’intervento aumentarono e l’opera venne accantonata e ripresa solo dieci anni dopo.
Altro motivo che rese impossibile l’intervento fu l’occupazione borbonica che la città subì tra il 1768 e il 1774. I lavori del ponte ripresero durante l’arcivescovato del cardinal Francesco Maria Banditi nel 1777. E vennero affidati dall’architetto Saverio Casselli che portò avanti l’idea progettuale di Vanvitelli. Casselli è l’autore di un documento fondamentale per la ricostruzione della città di Benevento la “Topografia Pontificia della città di Benevento” al quale Borgia attribuisce testimonianza del cambiamento che in quegli anni voleva essere attuato nell’impianto urbanistico della città.
La pianta disegnata dal Casselli e incisa dall’architetto calcografo camerale Carlo Antonini mostra gli edifici più importanti risalenti a quel periodo storico ed è riconoscibile accanto al ponte Porta Pia ricostruita per volere di Papa Pio VI nel XVIII secolo e poi demolita nel 1867.
La costruzione del ponte viene vista dagli studiosi come un momento di confronto tra le diverse culture costruttive presenti a Roma e a Napoli che crearono fermento e vivacità culturale anche nelle città di Benevento. Il fermento creativo rese possibile anche un progetto urbano attivato da Caporese e portato avanti da Nicola Colle, incaricato dalla Congregazione di altri lavori come quello del Ponte di San Vito.
Gli studiosi attribuiscono a Carlo Vanvitelli, figlio di Luigi Vanvitelli, l’opera del ponte ma dalla documentazione che consente la ricostruzione delle fasi lavorative, il nome dell’architetto non viene fatto ma era sicuramente presente alla sua inaugurazione.
Il ponte Calore testimonia l’importanza delle strutture che uniscono non solo le sponde dei fiumi ma anche le diverse civiltà mettendo in comunicazione le diverse parti della città che altrimenti rimarrebbero divise senza dare possibilità di sviluppo e crescita sociale ed economica.
Bibliografia
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