Gabrielle Chanel aveva la spontaneità del suo corpo e dei legami alla geometria che esso le suggeriva. Ecco la ragione principe del perché prediligesse l’abbigliamento maschile a quello prettamente femminile. Piccola, ossuta, spigolosa quanto basta, olivastra di carnagione, con quella certa androginia antitetica agli ideali estetici del tempo.
La qualità sartoriale dei capi della “Galassia di Adamo” era il soggetto del suo comportamento verso quelle architetture tessili che corrispondevano alla stella a cinque punte dell’uomo vitruviano e che coincidevano con l’anatomia di “Lui” e di “Lei”: testa (il capo), arti superiori (braccia), arti inferiori (gambe), busto e bacino a fare da corpo centrale e collettore della raggera, vero astro della galassia umana. Il coincidere con le parti motorie del corpo ha fatto produrre, al “taglia e cuci”, forme lunghe e cilindriche, soggette a definire ogni singola porzione anatomica all’occhio dell’osservatore e a permettere l’oscillazione del tutto per operare non solo di vezzo, attitudine e maniera, ma anche di pratica.
Matthieu Blazy sceglie di porre al centro dello start alla sua esperienza in Rue Cambon questo principiare sartoriale tanto autentico quanto storico di Mademoiselle e si reca nell’universo tessile della Maison Charvet tangente, per storia e fama, con la biografia di Coco.
La camicia è il capo simbolo di questa storica sartoria di Place Vendôme ed è il corpo virile della camicia da portare sulla propria pelle di Eva, la pelle del maschio su quella della femmina. Se la giacca è la copertura dagli agenti esterni: l’armatura e rappresenta la divisa quotidiana, il modulo delle battaglie sociali, sotto cui portare la propria pelle in forma di camicia ecco che la camicia diviene la disinvolta spogliazione da quell’armatura per essere bandiera di libertà. La camicia Charvet è di proustiana memoria e da La Ricerca del Tempo Perduto è stata ritrovata perché portata dall’inglese Arthur Edward Capel, all’attenzione di Chanel durante la loro significativa relazione amorosa.
Lui, imprenditore del carbone, nonché avvenente giocatore di polo, fu il suo più grande amore e il suo primo vero mecenate: nel 1910 le permise di aprire una modisteria al n.21 di Rue Cambon. Colpito dal suo straordinario gusto e senso estetico le fece arredare il loro primo appartamento in Faubourg Saint-Honoré e da qui selezionare i preziosi paraventi Coromandel che l’accompagneranno tutta la vita. È in questa alcova che Coco comincia ad indossare le sue camicie, quelle della più antica Maison camiciaia del mondo: Charvet, fondata, nella celebre piazza del Ritz, nel 1838.
Joseph-Christophe Charvet, figlio di Jean-Pierre (responsabile del guardaroba di Napoleone), ne è il fondatore. Nei primi dell’Ottocento si specializza in tessuti all’avanguardia per capispalla (cappotti) e pantaloni per la donna ma ben presto comprende che il terreno più fertile è la camiceria. Da questa sua intuizione s’impone al mercato con un cambio di direzione della proposta aprendo le porte alla prima vera raccolta di tessuti per la creazione di camice da uomo. Un tempo era il produttore a recarsi dal cliente per esibire le sue doti e la qualità progettuale e manifatturiera, con Joseph-Christophe Charvet è il cliente che si reca in sartoria.
In termini di marketing l’atelier era strutturato con un’apertura sulla piazza attraverso la disposizione ordinata dei tessuti in vetrina che portava ad attrarre i clienti finali e a farli ragionare e discutere tra loro già sulla strada, per quella che era una vera e propria preselezione.
Charvet è dunque l’esperienza umana della sartoria di alto livello che è servita a Chanel nella creazione del suo personale stile e a Blazy per dare voce a quella volontà che coincide con il sodalizio formale, tra i generi, dell’era moderna a cui imprime, ricamandolo in fulvo corsivo (grafica delle prime etichette della Maison), il nome Chanel.
La parte manifatturiera del costume virile è la trama da cui Matthieu si è connesso attraverso la storia privata del nome e con esso anche all’aneddotica legata all’amore con Capel che è divenuta centrale in questa revisione creativa. Chanel voleva essere il perno della vita del suo amante e in questa “singolar tenzone” i fiori, come spesso accade, sono divenuti il capro espiatorio per le richieste di perdono da parte di Boy, quando questa si sentiva trascurata, al punto da inondarne l’atelier di Rue Cambon come ammenda per la sua distanza da lei. Ecco da dove giunge la profusione di petali come piumaggio, la candida Camelia Alma Plena a 25 petali, oggi si frastaglia in puntuti Aster multicolore intercettati nelle collezioni di Mademoiselle dal 1917 agli anni ’20 che adornano le chiome delle libere ed innamorate ragazze di Blazy e gli abiti da sera portati con la t-shirt di seta, nuovo emblema di eleganza rilassata, o come bijoux.
Altro soggetto ma medesima scena è quella dedicata alla declinazione del Tweed che ai tempi del suo avvento nel guardaroba di Coco, era della celebre Tessitura Cumberland, realizzato su Telai lignei del XVIII secolo, di William Linton.
Tweed Chanel che ora mostra il suo scheletro nelle trame stressate e dilatate dove i nodi sono i legami di una rete trasparente, o addirittura tracciata a pennello come in un eccesso impressionista, accentuando il suo tratto trompe-l’oeil in veri effetti ottici sull’organza di seta a riecheggiare le tracce del celebre tessuto feticcio per le battute di caccia nella Scozia del Duca di Westminster (altra celebre amante di Chanel). A rafforzare le fluide e leggere grafiche del Tweed anatomico di Blazy intervengono i ritocchi materici dei ricami di Lesage sulle bordure fluttuanti ed indefinite delle linee dei tailleur così come degli abiti sfrangiati. Le catene danno la pendenza alle camicie e legano le esplosioni della celebre 2.55, dalla chiusura divelta, come se fosse attraversata da un uragano e privata della sua funzione protettiva/contenitiva.
Il Jersey interviene tra le cinture delle gonne e gli orli delle giacche come rimembranza di un intimo maschile, in maglia a coste che nel beige si disvela ad ogni passo come pelle, a non temere l’intimo nella sua “diurna” attitudine.
I profili delle linee geometriche tracciate dal nero sul bianco e viceversa, acutizzano la tavola acromatica da cui il neodirettore creativo è partito per aggiungere quella che è stata una vera esplosione di colore per la SS 2026.
L’uso dei tessuti, in fresco di lana, rigorosamente rasati e intavolati in geometrie smilze e nette che hanno aperto gli occhi sulla collezione di lunedì 6 ottobre 2025, come complemento alla grumosa massa dei tweed, ha ricordato che si inizia dal tessuto nella sartoria e che alla pelle si giunge con la maglieria e la sua elastica dimensione strutturale.
L’energia astrale che ha permeato la Via Lattea del Grand Palais ha reso le frange e l’indefinito, la parte trafitta di una storia del costume che attraverso le acute visioni di Coco ha gettato le basi di un ritmo vitale per la donna contemporanea, il cui passo è ancora bicolore, tra il nero e il nudo della sua celebre calzatura, i cui lacci oggi si incrociano frontalmente verso una proporzione quadrangolare. Questa mutazione, fatta di dettagli in “punta di dita”, è vitale quanto la sua originaria rivoluzione che nel 1916, sotto il sole di Biarritz ha dato il via alla raggiante impresa di Mademoiselle che oggi si dipana nei raggiati petali dell’Aster… sua nuova Camelia.