Il pane non è soltanto cibo. È memoria, cultura, simbolo. Alimento principe che unisce tavole di contadini e di re, di monaci e di guerrieri, santi e rivoluzionari. La sua presenza quotidiana e silenziosa, nella cultura occidentale, ha, nei secoli, ha raccontato l’evoluzione dell’uomo, i suoi rituali, le sue lotte e le sue speranze. Mangiato con le mani o con posate d’argento, il pane è sempre stato molto più di un impasto di farina e acqua: è il risultato di gesti antichi, di saperi tramandati, di una relazione profonda tra l’uomo e la terra che regala i suoi frutti.
Le sue origini si perdono nella preistoria, quando i primi esseri umani iniziarono a raccogliere e pestare i semi di cereali selvatici. Ricercare l’origine del pane è chiaramente complicato e non sembra essere rilevante ai fini della sua realtà simbolica ampia e generale.
Probabilmente, per puro caso, qualcuno notò che la farina mescolata all'acqua, cotta su una pietra rovente, dava vita a una focaccia primitiva, compatta ma nutriente. Quel gesto, ripetuto e perfezionato nei millenni, segna un momento decisivo nella storia dell’umanità.
“Il cotto e il crudo” applicato al concetto di pane
Claude Lévi Strauss, nel suo saggio Il Cotto e il Crudo pubblicato nel 1964, pone l’accento proprio sul concetto di trasformazione intenzionale degli alimenti in cibo. L’autore si interessa alle strutture universali del pensiero umano, che si manifestano in diversi ambiti culturali, tra cui la cucina, e nel saggio ne analizza i miti sudamericani attraverso le opposizioni binarie, crudo/cotto, fresco/putrido, miele/tabacco, ecc, per rivelare la logica sottostante al pensiero umano.
Applicando la prospettiva dello strutturalismo di Lévi-Strauss, il pane può essere analizzato attraverso diverse opposizioni binarie e relazioni simboliche. In primo luogo, il pane "cotto" si contrappone al grano "crudo", rappresentando la trasformazione dalla natura alla cultura. Il processo di panificazione stesso, con le sue tecniche e tradizioni culturali, trasforma il grano naturale in un prodotto culturale. Inoltre, il pane, in quanto alimento base, funge da mediatore tra l'uomo e la natura, fornendo nutrimento, e può anche assumere un ruolo di mediatore sociale, condiviso nei pasti e nei rituali. In ultima istanza, le variazioni culturali del pane, nei tipi, nei ruoli sociali e nei simbolismi, fertilità, abbondanza, comunità, vanno a riflettere le specificità delle diverse società prese in analisi.
Il pane nasce quindi con intenzionalità, rendere commestibile ciò che per natura non lo è. Solo così i cereali, fino ad allora solo raccolti, iniziano a divenire una fonte stabile e controllabile di nutrimento, tanto da permettere all’agricoltura di prendere il posto della caccia e della raccolta. Coltivare porta con sé la sedentarietà, i villaggi, le prime forme di civiltà propriamente dette.
Il pane delle origini
Con l’avvento dell’agricoltura e della coltivazione sistematica del grano, il pane riesce ad acquisire un ruolo centrale prima nella dieta, poi nella cultura. In Egitto, attorno al 2500 a.C., si sperimenta la lievitazione: il caso -o forse l’intuizione- di un impasto dimenticato che fermenta all’aria apre la strada ad un vero cambiamento. Quel pane più soffice e profumato non è più solo nutrimento divenendo offerta, bene prezioso, il dono agli dei. I panettieri egizi diventano artigiani specializzati, e il pane entra nei templi, nelle tombe dei faraoni per il viaggio e la permamenza degli stessi nell’aldilà.
Entra nei riti. È cibo sacro.
Il legame tra pane e sacro si approfondisce nelle religioni successive. Innanzitutto nella Grecia Antica e poi a Roma.
Il pane allucinogeno dei Misteri Eleusini
I Misteri Eleusini, probabilmente una delle festività più note dell’antichità, erano riti misterici dedicati alla dea Demetra, poi Cerere nel mito romano, da cui cereale. Questi riti iniziatori promettevano agli adepti benefici nella vita e nell'aldilà. I dettagli esatti delle cerimonie rimanevano celati, ma si presume che i partecipanti avessero visioni ed esperienze mistiche.
L’ipotesi che sostanze psicotrope, come la segale cornuta, abbiano giocato un ruolo in queste esperienze mistiche aggiunge un ulteriore livello di complessità al loro fascino.
La segale cornuta è un fungo parassita che infetta le spighe di segale e di altri cereali, contenti alcaloidi con potenti effetti psicotropi. L'ingestione di segale cornuta contaminata può provocare l'ergotismo, una malattia che si manifesta con sintomi come allucinazioni, convulsioni e vasocostrizione (restringimento dei vasi sanguigni). L'ipotesi che la segale cornuta abbia avuto un ruolo nei misteri eleusini è affascinante. I misteri eleusini erano riti iniziatori segreti celebrati nell'antica Grecia in onore delle dee Demetra e Persefone.
Alcuni studiosi ritengono che una bevanda contenente segale cornuta, o forse un tipo di pane, fosse somministrata ai partecipanti ai misteri eleusini. Gli effetti psicotropi della segale cornuta potrebbero aver indotto le visioni e le esperienze mistiche che erano parte integrante dei riti.
Il pane della religione e della società
Inevitabile l’associazione quindi del pane al divino, tanto più evidente con l’ebraismo prima ed il cristianesimo dopo. Il pane qui assurge a simbolo rilevante nella liturgia e nelle parabole, protagonista dell’esodo e dei miracoli. È il "pane dell'afflizione", è la manna non lievitata del deserto, è figura della provvidenza divina. Gesù lo spezza con i suoi discepoli nell’Ultima Cena, facendone il fulcro dell’eucaristia cristiana. Da allora, quel gesto semplice - spezzare e condividere - diviene liturgia. Nelle chiese, nelle cappelle, persino nelle catacombe, il pane non è più solo alimento ma un ponte tra umano e divino, tra carne e spirito.
Il pane non vive solo nei templi, anzi. È protagonista nelle case, nelle piazze, nei mercati di diverse epoche, tanto da divenire chiaro indicatore sociale, misura della ricchezza o della povertà. È perlopiù nota la rilevanza del pane nelle tavole medievali, ed a questo proposito è utile rilevare come la sua presenza fosse così quotidiana da essere indicatore anche della presenza o meno di carestie, o di dazi imposti contro i contadini nel sistema feudale. Quando non era presente, la popolazione non riusciva a rinunciarvi ed impastava farine con qualunque cosa trovasse, da ghiande, ad erbe selvatiche, ad argilla rossa.
L’importanza sociale crebbe tanto che nel Seicento, ogni aumento del prezzo del pane provocava sommosse. Le rivolte del pane divennero un fenomeno ricorrente, e non a caso furono l’innesco della Rivoluzione francese.
La celebre frase attribuita erroneamente a Maria Antonietta d’Asburgo: “Se non hanno pane, che mangino brioche” non è soltanto simbolo d’arroganza, quanto più testimonianza della distanza abissale tra chi il pane lo possedeva e chi lo desiderava disperatamente. Il pane, in quei giorni tumultuosi, era diventato molto più di un cibo. Era diritto, giustizia e libertà.
Il pane e le rose
Con il passaggio dall’età moderna a quella contemporanea, si è cominciato a intravedere un cambiamento sottile ma significativo nel modo in cui il pane veniva percepito all’interno delle proteste sociali. Come spiega Gabriele Rosso nel suo libro Storia del Pane, non si trattò di una svolta immediata o universale, ma di un lento scivolamento, quasi invisibile, che cominciò a modificare il paradigma simbolico su cui si fondavano le rivendicazioni popolari. Il pane, un tempo fulcro assoluto delle lotte, come nei celebri assalti ai forni descritti da Manzoni o nelle insurrezioni contadine francesi, iniziò ad affiancarsi ad altri bisogni, non meno essenziali, ma meno legati alla pura sopravvivenza materiale.
Emblematico, in questo senso, è lo sciopero del "pane e delle rose" che ebbe luogo a Lawrence, nel Massachusetts, nel 1912. Le operaie tessili marciavano tenendo in mano cartelli e cantando slogan che reclamavano non solo condizioni dignitose di lavoro e di salario, ma anche una vita più piena, più umana: «Vogliamo il pane, ma anche le rose». Lo slogan aveva radici profonde e nasceva da un discorso dell’attivista Helen M. Todd, che nel 1911 parlò della necessità di «pane per tutti, ma anche rose». Le parole tornarono con forza sulle labbra di Rose Schneiderman, figura di spicco del socialismo e del femminismo americano, che proclamò:
Ciò che la donna che lavora vuole è il diritto di vivere, non solo di sopravvivere, il diritto alla vita come ce l’ha la donna ricca, il diritto al sole, alla musica, all’arte. Nessuna donna dovrebbe essere esclusa da questo. L’operaia ha diritto al pane, ma anche alle rose.
In quel momento, il pane non rappresentava più il tutto, bensì il punto di partenza, il minimo indispensabile. A differenza delle epoche precedenti, in cui la sua mancanza era già motivo sufficiente per scatenare una rivolta, ora si chiedeva qualcosa di più. Rappresentava non più solo la sopravvivenza, ma simbolo di dignità, di bellezza, ed anche di partecipazione politica. Era, come avrebbe detto Marx, l’evoluzione naturale della coscienza di classe: una consapevolezza più ampia, che non si accontentava di non morire di fame, ma rivendicava il diritto a una vita degna di essere vissuta. Le rose, in questa nuova narrazione, non erano ornamento, ma giustizia.
Il pane come simbolo popolare
La simbologia del pane ha attraversato i secoli anche nella cultura popolare. Innumerevoli proverbi lo citano: “guadagnarsi il pane” significa lavorare onestamente; “pane al pane” indica la verità detta senza giri di parole; “buono come il pane” è il massimo complimento a una persona semplice e generosa. Nei riti contadini, il pane era protagonista. Veniva benedetto, spezzato con solenni gesti, conservato con cura. In molte famiglie, il pane caduto a terra si baciava prima di essere raccolto, per rispetto.
Anche oggi, in un mondo industrializzato e globalizzato, il pane conserva il suo potere evocativo. Certo, è cambiato. Accanto al pane artigianale convivono prodotti industriali, precotti, surgelati. Ma qualcosa resta immutato. Il profumo del pane appena sfornato, ad esempio, è uno dei pochi in grado di evocare immediatamente casa, calore, sicurezza. E negli ultimi anni si è assistito a una riscoperta del pane fatto in casa, con farine antiche, lievito madre, impasti lenti. Un ritorno non solo a un gusto più autentico, ma anche a un ritmo più umano.
Il pane è un racconto continuo. Passa di mano in mano, di generazione in generazione. È parte della nostra identità collettiva. Ci ricorda che, in fondo, siamo tutti uguali: tutti abbiamo fame, tutti cerchiamo un pezzo di pane. E forse, proprio per questo, continua a essere così importante. Non solo da mangiare, ma da capire, da rispettare. Perché dietro ogni pagnotta c’è una storia. Anzi, c’è la storia di tutti noi.