Negli anni Venti del secolo scorso, Robert Yerkes, psicologo e psichiatra americano, ai suoi tempi, ma anche oggi, conosciuto in tutto il mondo, soprattutto nel campo della primatologia, aveva intuito che agli scimpanzé si potesse insegnare il linguaggio dei segni, che è un linguaggio visivo e di movimento, appunto, quello delle mani e in parte di altre parti del corpo. Il linguaggio dei sordomuti, infatti, si basa fondamentalmente sul movimento, persino di quello delle labbra che alcuni sordomuti riescono a leggere molto bene.

Al movimento del corpo abbiamo dato sempre poca importanza, ma è fondamentale anche ai fini dello sviluppo cognitivo e del pensiero di ogni individuo. Per esempio, la nutrizione, cioè la ricerca del cibo, richiede movimento; anche la respirazione è movimento muscolare coordinato, per non parlare dei movimenti che vengono messi in atto durante il corteggiamento e la riproduzione. Un movimento sbagliato da parte del corteggiatore durante queste fasi può far fallire tutta l’operazione. I movimenti del corpo del corteggiatore, ma anche del corteggiato, se vuole farsi corteggiare, devono essere sempre ben coordinati, devono essere sempre gli stessi, con gli stessi significati; non si può dare spazio a interpretazioni personali o a stravaganze comportamentali di vario genere. Tutti questi movimenti sono naturalmente sotto il controllo del nostro cervello e del cervelletto. In sostanza, non è nel suono, ma nell’uso del segno, cioè nel movimento, la corrispondenza con il linguaggio articolato dell’uomo.

Nell’uomo, attraverso l’evoluzione si è espressa una funzione che ha iniziato ad avere un’importanza non secondaria nel corteggiamento, cioè l’uso del linguaggio articolato, cioè del segno linguistico che comunque è sempre movimento spesso coadiuvato dal movimento del corpo, soprattutto delle braccia e del viso. Certamente non si può corteggiare qualcuno o qualcuna rimanendo fermi e impalati, nonostante in questa posizione si possano recitare le poesie più belle e incantevoli del mondo che possono sciogliere qualsiasi corteggiata, ma che se recitate in questo modo non sortirebbero nessun vantaggio, nessun effetto. Tra il segno, che sia linguistico o solo di movimento con una forte carica espressiva e il pensiero che sempre lo sottintende esiste quindi un legame molto più stretto di quello che esiste tra la parola, che ha sempre un significato linguistico, ma inespressivo, e il pensiero stesso.

Il segno precede, e lo ha sempre fatto, la parola, cioè il suono, non il contrario. Questo è avvenuto molto prima che l’uomo cominciasse a parlare. Probabilmente i nostri lontani antenati, quando si corteggiavano e non parlavano ancora, lo facevano in questo modo e con un certo successo, altrimenti non saremmo qui a parlarne. Saremmo già stati sopraffatti da molto tempo chissà da quale altra specie animale. Le basi fondamentali del corteggiamento animale, anche degli animali a noi più prossimi, le scimmie antropomorfe (scimpanzé, gorilla e orango), sono rimaste tali: anche se in parte si sono leggermente modificate e hanno assunto delle sfumature culturali diverse a seconda delle specie di appartenenza, sono fondamentalmente le stesse. In conclusione per corteggiare con successo, il movimento, che è coordinato dal pensiero, è più importante della parola.

Il pensiero, dunque. Noi uomini dei suoni delle parole possiamo sapere tutto (frequenza, intensità eccetera), ma del pensiero non sappiamo niente, perché non sappiamo a cosa esattamente corrisponda una frequenza e un’intensità di un’attività neurale della nostra corteccia, non possiamo collegare questa attività a un pensiero perché il pensiero è una proprietà del cervello, non è il cervello.

La parola entra nella struttura delle cose acquistando un significato funzionale, come il bastoncello entra nella struttura della situazione in cui si trova uno scimpanzé che deve con esso estrarre delle termiti da un termitaio.

E allora, come mai i pappagalli che sono capaci di emettere alcune parole, molto poche in verità, non hanno bisogno di nessun linguaggio dei segni per comunicare? Al posto delle mani, che ovviamente non posseggono, potrebbero utilizzare le ali. La risposta è che se i pappagalli che parlano avessero l’intelligenza di uno scimpanzé, soprattutto un cervello, sarebbero dotati anche loro della parola, come l’uomo, ma così non è.

In conclusione, conoscere la parte scimmiesca che è in noi degli scimpanzé, ma anche di altre specie di scimmie, ai fini dell’acquisizione della consapevolezza di chi siamo, di da dove veniamo, del perché ci comportiamo in un certo modo piuttosto che in un altro, è fondamentale. Osservando profondamente gli scimpanzé ma quelli in libertà, e non superficialmente, per esempio come facciamo quando andiamo allo zoo, potremmo imparare molto da loro, dai loro comportamenti, dai loro movimenti e soprattutto potremmo capire come evitare di fare le cose nefaste che quotidianamente facciamo in ogni parte del mondo.