E un giorno, con un pianto, abbiamo tutti fatto sentire per la prima volta la nostra voce. Quel suono che dottori e genitori sperano di sentire come prima cosa è un pianto, anche se preferisco pensarlo un urlo. Noi siamo lì, a sgolarci con questo suono. Lo sentiamo nascere da dentro, da quella sensazione di freddo che ci avvolge, dell’aria esterna che bacia per la prima volta la nostra pelle, tanto abituata al calore del ventre materno. Un suono liberatorio per dire al mondo che adesso ci siamo anche noi, che evolveremo in una nostra singolare persona, che vogliamo scoprire il pianeta che ci circonda, che è nostro da guardare e dominare. Arriviamo urlando, per dire che in tutto questo caos, un pezzetto è anche nostro.

Sempre infanti arriviamo a casa e inizia il nostro percorso. In ambito psicologico si intende con famiglia, il primo ambiente in cui un individuo viene inserito, che contribuisce a fornire e a formare gli strumenti con il quale poi andrà ad interagire con la comunità. Questi strumenti, badiamo bene, possiamo considerarli delle basi assolutamente non statiche. Infatti poi il singolo individuo tenderà ad amalgamarsi alla comunità in cui si trova inserito per poter essere accettato da essa. Arriva infatti il classico caso dei genitori che vedendo uno strano comportamento da un figlio se ne escono con la frase “Noi non ti abbiamo cresciuto così!”, valido in tutte le età e le lingue.

Lo sai bene anche tu, che da anni ti destreggi tra diversi sistemi. Come se per ogni ambiente che frequenti, che esso possa essere scolastico, lavorativo o famigliare, esca fuori una parte diversa di te. Lo sa bene una ragazza che vediamo camminare tra la folla, con lo sguardo assolutamente concentrato sul suo cammino, uno zaino in spalla e le cuffie nelle orecchie.

I libri che le pesano nella borsa hanno il potere di farla viaggiare nel tempo e nello spazio, levare i jeans e indossare un’elegante toga, oppure un abito drappeggiato per il primo ballo. In un senso temporale più attuale essi le ricordano soltanto che a breve dovrà dare l’ennesimo esame all’università. Ancora si ricorda lo stupore dei suoi quando ha detto loro che voleva studiare letteratura.

“Cosa troverai mai in quelle parole che tanto cerchi?” ripeteva sempre sua madre. “Un vero lavoro è fatto di numeri e di stipendio a metà mese” rispondeva suo padre.

Il termine famiglia, si ricorda, è veramente antico, basta pensare che deriva dal latino familia, anche se il suo significato è cambiato molto con il passare del tempo. Familia deriva dalla parola famulus, termine usato per indicare un servitore o un domestico; da cui il suo plurale famuli veniva usato per indicare un gruppo di servitori che viveva, assoggettati dallo stesso padrone, sotto lo stesso tetto. Il senso generale è rimasto, parliamo comunque di un gruppo di persone che vivono nella medesima dimora, ma il lato affettivo è decisamente cambiato. Il singolo sociologo o antropologo può prendere per buona una semplice definizione di famiglia, con cui possiamo essere tutti d’accordo, e intendere per essa ogni nucleo sociale costituito da due o più persone legate tra loro da gradi di parentela o di affinità.

Invece lei è qui, a passeggiare in un mare di persone lungo un marciapiede, con le cuffie nelle orecchie che sparano musica a tutto volume. Insicura su un luogo a cui possa naturalmente appartenere, senza sentirsi l’unico pesce del suo branco che disperatamente prova a risalire la corrente. “Noi non ti abbiamo cresciuto così”, parole amare che le risuonano ancora nella testa. Parole che non comprendono che si possa comportarsi liberamente proprio perché come essere liberi si è stati cresciuti.

Attraversa la strada, alza lo sguardo e un bambino è seduto al tavolino di un bar, con la madre troppo impegnata tra il telefono e l’agenda aperta davanti a lei per prendersi cura di lui che, tutto concentrato, sta disegnando qualcosa su un tovagliolo di carta con la penna che appartiene sicuramente alla donna. Anche lui sentirà le famose parole che molti sentono rimbombarsi nelle orecchie ad ogni singolo sbaglio?

Che poi, cosa siamo noi se non esseri adatti a compiere sbagli per poi poter ricominciare da capo, cosa siamo se non una seconda possibilità. Dobbiamo avere la padronanza della perfezione pur con tutti i nostri errori.

A passo svelto la vedi raggiungere la sua destinazione, un’ondata di calore le avvolge il volto mentre trova uno spazio libero su cui poggiare il suo zaino. Tira fuori libri, evidenziatori e pc e ti sembra vederla tornare al tempo presente mentre le domande scendono in un secondo piano del suo inconscio. Allora inizia a sottolineare, frasi e termini, fino al prossimo errore del suo personale capitolo.