Petronio Arbitro, Ettore Petrolini. “Il prodigio di Petrolini è che, a distanza di duemila anni, fa convivere il tragico e il comico, i due aspetti che guidano il Satyricon di Petronio”.

Roma nell’età imperiale, Roma nei primi decenni del Novecento, Roma e l’Italia adesso. Che sia tutto uguale? Massimo Verdastro, attore speciale dal talento variopinto, premiato con gli applausi del pubblico e i riconoscimenti ufficiali (premio Ubu nel 2002 per l’Ambleto di Giovanni Testori, premio ETI- Olimpici del teatro nel 2007 per l’Upupa negli Uccelli di Aristofane), la pensa così: “Il Satyricon è la mappa antropologica dei comportamenti degli italici di oggi. Nel bene e nel male. Basti Trimalchione”. “Questa di Petronio è l’opera di chi ha visto coi propri occhi l’età di Claudio e di Nerone, di chi ha assistito al sorgere di quel ceto di liberti favoriti che con l’adulazione e la furberia divenivano presto onnipotenti presso una società che, rotti i legami con la tradizione aristocratica, aveva soprattutto bisogno di intrigare e di arricchire” scrisse Concetto Marchesi nella sua Storia della letteratura latina. E, in effetti, ogni riferimento a fatti o persone realmente esistenti è puramente calzante.

Con Petronio, l’arbiter elegantiae della corte di Nerone, secondo Tacito “un voluttuoso raffinato che raccontò le vergogne e le novità della sconcia libidine imperiale”, Verdastro ha trascorso quattro anni. Da un laboratorio di studi, attraverso tante tappe, affidando a sei drammaturghi contemporanei la riscrittura di un episodio del capolavoro latino, Verdastro ha diretto e interpretato, affiancato da molti colleghi, alcuni quali esordienti lanciati dal progetto, il “suo” Satyricon, un testo contemporaneo con stile e linguaggi diversi. Traendo sconfinata ispirazione da “quel romanzo, così pieno di artistica urbanità e di spensierate sozzure, in verità il dono più arguto che al principe sconcio e feroce potesse offrire una vittima di così raffinata e schernitrice eleganza” (Marchesi).

E, con l’animo ricolmo dalla ricchezza dell’esperienza, si è dedicato a Petrolini del quale ha allestito, ancora regista e protagonista, Il padiglione delle meraviglie, che, dopo il debutto a Roma, al Vascello, è stato in tournée per l’Italia, da Nord a Sud, Sardegna inclusa. “Un’opera singolare, interessante, senza orpelli. Mi piace il fatto che non si possa togliere né aggiungere nulla – spiega l’attore -. Petrolini è unico, uno dei grandi del ‘900, fra quelli che hanno rivoluzionato il teatro. Con Pirandello, Brecht, Artaud. Acuto osservatore, usa il romanesco che si parlava negli anni Venti, lingua capace di registrare le sfumature della natura umana”. Manuela Kustermann, direttrice artistica del Vascello, dopo aver ospitato il Satyricon, ha prodotto Il padiglione delle meraviglie dove è Sirena, una maliarda provata dalla vita, crudele con chi l’ama solo nel tentativo di afferrare, chissà come, rimasugli di gioia e di amore.

Petro-nio, Petro-lini. Due romani per il romano Verdastro che, al momento di farsi regista, attinge alle sue radici capitoline. Ma ci sono altre due città molto importanti nel suo percorso: Firenze e Palermo, quest’ultima legata soprattutto alla figura di Nino Gennaro, poeta e drammaturgo corleonese, scomparso nel 1995 e della drammaturga Lina Prosa. Firenze è il Teatro Studio di Giancarlo Cauteruccio e la sua acclamata versione dell’Ultimo nastro di Krapp di Beckett. “Nel ’91 proposi il testo a Giancarlo: andammo in tournée per tre anni”. Firenze è la collaborazione quasi ventennale con i Magazzini Criminali ovvero Federico Tiezzi e Sandro Lombardi. Firenze è la fondazione della Compagnia Verdastro-Della Monica con Francesca Della Monica, sua insegnante di canto per il brechtiano La giungla delle città della stagione ’96-’97 e musicista immersa nella sperimentazione e nell’avanguardia.

A Verdastro la parola “compagnia” si addice: descrive il suo modo di fare teatro, anche da direttore di attori, ruolo del quale ama la funzione maieutica e il lavorare insieme: “Non mi sento certo il regista forte. Quello che mi interessa, nella regia, è essere autonomo, fare un percorso di libertà, creare un campo d’azione dove agire con fratelli e sorelle, esprimere un’idea condividendola con altri. Nel Padiglione delle meraviglie, per esempio, sono tornato a lavorare con Emanuele Carucci Viterbi, che impersona Lalli ed è bravissimo, e, grazie alla risoluzione di problemi legati allo spazio, ho consolidato il rapporto con la scenografa e costumista Stefania Battaglia”.

In futuro? “Per fantasticare un poco, direi ancora Petrolini. Anche se c’è il rischio di cadere nel deja-vu: l’hanno fatto Scaccia, Proietti, Fiorentini. Chicchignola è un cavallo di battaglia di Scaccia. Ma il Nerone… sì, mi piacerebbe”.