Oltre che nel mondo fisico, quello dei corpi e delle cose, anche in quello storico (il mondo delle idee, delle passioni e degli eventi, in fondo una sorta di meta-mondo della corporeità) agisce la forza d’inerzia. Idee che non hanno più alcuna spinta propulsiva, accadimenti ormai superati, continuano ad agire nello spazio e nel tempo in virtù del loro essere stati attori dinamici nel passato. Accade così che, talvolta, mentre il corso della Storia prende una certa direzione, vi sono forze che invece continuano ad andare in un’altra, e non già per una diversa volontà, ma appunto per non aver esaurito la spinta cinetica, per non aver compreso il mutamento in corso.

Quale che sia l’opinione che si possa avere in merito, è sempre più evidente che il mondo ha preso una direzione diversa da quella che si immaginava sino a non molto tempo fa, e che questa ‘svolta’ sta addirittura accelerando. Quelli che stiamo vivendo sono i tempi di una grande transizione, da un mondo unipolare, dominato dall’occidente, ad uno multipolare, in cui convivono una pluralità di realtà geopolitiche, ciascuna con la sua specificità. Senza voler qui entrare troppo nel merito delle differenze e delle similitudini, tra le realtà che si affacciano oggi sul proscenio mondiale, da protagoniste e non più da comparse, è però indubitabile che un elemento fortemente caratterizzante l’egemonia occidentale sia stato, e sia, non semplicemente una economia capitalista, ma una particolare articolazione del capitalismo, che storicamente, in misura varia ma crescente, ha esercitato un enorme potere di controllo sulle nazioni.

In particolare, soprattutto a partire dal Novecento, questa concrezione capitalistica si è incarnata negli Stati Uniti d’America, che non solo l’hanno espressa al suo massimo, ma l’hanno portata alla sua massima espansione egemonica, realizzando al contempo una quasi perfetta simbiosi tra potere economico privato e potere politico-militare statuale. Questo modello egemonico, che come si diceva prima si sta oggi confrontando con forti spinte che ne mettono in discussione esattamente tale natura, è però apparso obsoleto, auspicabilmente superabile, proprio dal punto di vista di quel grumo di potere iper-capitalistico che lo governa. Ed ancor prima che la sua egemonia fosse messa in discussione sulla scena globale. Fondamentalmente, questo iper-capitalismo immagina un futuro in cui la propria simbiosi con una potenza statuale viene superata, per accedere ad un vero e proprio governo mondiale, sovranazionale e soprattutto di tipo ‘aristocratico’ - laddove la legittimazione del potere non viene dal basso, neanche formalmente, ma dall’alto, dal potere stesso, poiché la ricchezza sarebbe essa stessa la sanzione del diritto al comando. Questo nuovo modello di capitalismo globalista si è incarnato, ormai da oltre cinquant’anni, nel progetto politico del World Economic Forum. All’interno di questa assise, in cui sono cooptati coloro che - indipendentemente dalla propria posizione economica - ne condividono l’ideologia, si elaborano e si portano avanti i progetti per realizzare questo nuovo ordine mondiale.

Non si sta ovviamente parlando di una sorta di Comintern capitalistico; per sua natura, il capitale è flessibile, e si muove in una direzione unica, ma seguendo anche strade diverse. Un esempio a mio avviso perfetto, soprattutto sotto il profilo dell’articolazione pratica, ma anche della psicologia di coloro che ‘agiscono’ questa progressione verso tale nuovo mondo, è rappresentato dal fondatore della Microsoft, William Henry ‘Bill’ Gates III. Gates, uno degli uomini più ricchi del pianeta, è da tempo convinto della centralità di due questioni, relativamente al futuro dell’umanità: il cibo e la salute. E, da capitalista, ha affrontato tali questioni soprattutto investendo somme colossali sia nell’industria farmaceutica e nella ricerca medica, sia nell’agricoltura, acquistando sterminate aree agricole in ogni continente.

In particolare, Gates esercita da tempo una notevolissima influenza sull’Organizzazione Mondiale della Sanità, non solo attraverso cospicui finanziamenti, ma anche con il continuo coinvolgimento in progetti e ricerche, che hanno finito col farne un partner molto ascoltato dell’Organizzazione, nonostante l’OMS sia una entità multinazionale e lui un soggetto privato. Un esempio macroscopico di come si eserciti tale influenza, e soprattutto della direzione in cui spinga, si ritrova nella perfetta sintonia tra il pensiero di Gates e quella che rappresenta l’ultima proposta partorita in seno all’OMS. In base a tale progetto, infatti, l’Organizzazione Mondiale della Sanità chiede a tutti gli stati di accettare un accordo internazionale, in base al quale, nel caso di una nuova pandemia, sarebbe l’OMS stessa a dettare le regole per affrontarla a ciascuno stato, non più sotto forma di suggerimenti o consigli, ma di veri e propri obblighi.

In buona sostanza, il progetto Gates-OMS prefigura esattamente quel governo mondiale di cui si diceva. Non è qui di alcuna rilevanza capire se Bill Gates sia o meno un sincero filantropo, preoccupato delle sorti dell’umanità. Il punto fondamentale è che, in virtù del denaro che possiede, e del potere che questo gli conferisce, ritiene di poter agire in modo tale da determinare la vita di miliardi di persone, e di averne il ‘diritto’. Questo progetto dell’OMS rappresenta in effetti il più grande esperimento di espropriazione della sovranità degli stati, e di negazione in nuce della democrazia - intesa come sovranità popolare. Ovviamente nessuno è così ingenuo da credere che la democrazia sia effettivamente pieno esercizio di tale sovranità, e che i poteri economici non esercitino già la propria capacità di condizionamento (se non di vera e propria interdizione) sul processo democratico. Ma con ogni evidenza siamo qui ad uno stadio superiore, ovvero all’esproprio conclamato della legittimità del potere, spazzando via anche ogni residuo formale.

Il globalismo capitalista, di cui Gates è uno dei maggiori esponenti, e che si veicola attraverso organismi come il WEF e, oggi, l’OMS, non è però né l’unica né la più estrema forma di utopismo iper-capitalista. Ha infatti da poco iniziato a prendere forma una nuova utopia, i cosiddetti "Stati della Rete". Si tratta di una iniziativa nata dalla mente dell’investitore Balaji Srinivasan, fondatore dell’omonimo Fondo. L’idea si presenta ammantata da ideali perfettamente in linea con un certo pensiero dominante in occidente, poiché dichiara di puntare alla fondazione di società parallele basate su ideali libertari e tecnologici. Vale qui appena la pena di ricordare che quasi tutte le grandi corporation digitali sono nate all’insegna di ideali libertari, per poi finire col diventare i principali motori di quello che Shoshana Zuboff definisce “il capitalismo della sorveglianza”.

L’idea di Srinivasan però si spinge ancora più in là, in un certo senso ‘gettando la maschera’; nei suoi ‘Stati della Rete’, infatti, l’ideale libertario non si riferisce ad un ipotetico mondo in cui ciascuno è (più) libero, una sorta di anarchia realizzata, ma più semplicemente - e più sfacciatamente... - ad un ‘luogo’ in cui i ricchi sono sottratti a qualsiasi legge o regola che non sia quella da loro stessi stabilita, una sorta di paradiso del capitale. Srinivasan pensa che l’Occidente sia in declino irrevocabile, a partire dalla nascita dello stato centralizzato, che ha privato del potere i ricchi industriali con leggi antitrust, regolamentazione dei titoli, banche centrali etc., e che invece adesso gli individui ricchi possono rivendicare il loro potere sulle istituzioni pubbliche, definite corrotte (da chi? se non da chi ha il potere di farlo?), e c’è Internet e la sua valuta, i Bitcoin, che possono “portarci fuori dall’oscurità”.

Questo luogo utopico, basato sui Bitcoin, si fonderà - neanche a dirlo - sui “valori di Internet”, cioè di qualcosa che nella migliore delle ipotesi non esiste, che ciascuno può interpretare a proprio piacimento, ma che con ogni probabilità finirà col rappresentare l’ennesima occasione per creare ‘universi’ distopici quanto virtuali. Un orizzonte, questo, che però non soddisfa del tutto Srinivasan (e gli altri multimiliardari coinvolti nel progetto) visto che - anche se inizialmente potrebbe formarsi online - l’obiettivo finale è quello di formare comunità nel mondo reale e persino fondare nuove città. Il sogno ultimo del capitale, la liberazione assoluta dalla ‘mediazione’ degli stati, e quindi dalle loro leggi, cosicché possa esprimere appieno la sua vorace potenza. Qualcuno spenga il computer di mr. Srinivasan, per favore. E, possibilmente, anche quello di mr. Gates.