Una della più affascinanti questioni aperte in filosofia riguarda le origini della filosofia stessa: ovvero se essa sia un fenomeno puramente occidentale oppure sia una spinta alla riflessione che riguardi l'essere umano, ed è quindi un fenomeno universale indipendente da una specifica cultura. Nei manuali scolastici di filosofia domina l'idea della filosofia come prodotto del genio greco; la filosofia, cioè, è un prodotto, una invenzione tipicamente greca. Altre fonti, riprese dai manuali di filosofia più recenti, invece, ribadiscono che nonostante la filosofia sia una attività universale, la sua istituzionalizzazione come disciplina sia opera dei greci.

Talete di Mileto fu, probabilmente, il primo a utilizzare il termine “filosofia” (nel senso letterale del termine filos = amante e sofia = sapienza), e a Mileto, si fonda una scuola, o movimento “filosofico” che, a quanto ne sappiamo, ha come figura centrale Anassimandro. Mileto è una potente polis o città-stato della Grecia ionica (geograficamente locata in quel luogo che oggi chiameremmo Turchia sud-occidentale) che emerge tra le altre poleis, perchè ha la più potente flotta di navi mercantili di quel periodo che smerciava in lungo e in largo nel mare chiuso, il Mediterraneo.

Prima di loro, c'erano state le narrazioni epiche di Omero (che diventano talmente parte integrante della mentalità e del linguaggio greco, che serviranno a Platone come prototipo per i suoi miti esplicativi dei suoi seminali, ma spesso di difficile interpretazione, concetti filosofici) oppure le narrazioni religiose (quali i riti bacchici) che sono reminiscenze di precedenti credenze religiose provenienti dall'Asia minore e dall'Egitto.

Queste narrazioni, come hanno suggerito Ananda K. Coomaraswany e Suora Nivedita (in Miti dell'India e del buddhismo, Bari: Laterza, 2007) fanno parte di un patrimonio culturale universale; il Ramayana (il cui nucleo originario è stato scritto tra il V e il IV sec. a.c.), nella sua parte più semplice esso è il plot della riconquista di una sposa rapita attraverso una guerra, descritto in un modo sorprendentemente simile all'Iliade di Omero (disponibile in forma scritta dal VI sec. a.c.). Sebbene non sia verosimile che l'Iliade derivi dal Ramayana (ipotesi che è stata tuttavia suggerita), è possibile pensare che entrambi i poemi rimandino a comuni fonti leggendarie. Rimane il problema di come fosse possibile che queste comuni fonti leggendarie fossero accessibili (anche in tempi differenti) sia alla Valle dell'Indo sia alla Grecia ionica (dove tradizionalmente si pensa fosse vissuto Omero, quindi non lontano da Mileto, dove nasce la filosofia in Occidente), ovvero due regioni del mondo che all'epoca avevano relazioni nulle o scarse (nella migliore delle ipotesi).

Possiamo, infine, trovare analogie tra Ramayana e l'Iliade con un terzo testo, a loro antecedente e cioè L'Epopea di Gilgamesh (VII a.C.). Si tratta di un racconto epico babilonese, uno dei primi, probabilmente, ad essere conosciuto in tutto il bacino del Mediterraneo. Certamente il parallelismo più evidente ed importante nelle tre epopee è dato dal rapporto tra il protagonista (Achille/Gilgamesh/Rama) ed un suo compagno (Patroclo/Enkidu/Lakshmana). Il motivo della coppia, come suggerisce T. Porzano trova del resto numerosi esempi sia nell'Antico Testamento che nell'epica greca e germanica.

Si può quindi a ragione parlare sia del genio greco che del genio indiano: il primo caratterizzato da una mentalità mercantile, tipica delle civiltà ioniche e di Mileto (come afferma U. Eco, Storia della Filosofia, vol 1, Bari: Laterza), critica e libera che porterà al concetto (e alla pratica) della democrazia come isonomia (D. Massaro, La meraviglia delle idee, vol. 1, Milano: Pearson, 2015) discussione politica (cioè per e nella polis) (Geymonat et al., Il pensiero filosofico, la realtà, la società, Novara: DEA, 2015) e distaccandosi dalle cosmogonie mitiche espresse nel Vicino Oriente Antico (come afferma B. Russell, Storia della Filosofia Occidentale, Milano: 1966), il secondo caratterizzato, come hanno fatto vedere Coomaraswany e Nivedita (op.cit.) dalla capacità indiana di assorbire qualsiasi nuova idea, non importa la sua origine, e di metterla alla prova. Avida di nuovo pensiero, ma gelosamente riluttante ad accettare nuovi costumi, il genio indiano è stato sempre, seppur lentamente costruttivo, immancabilmente sintetico dai tempi più antichi al momento attuale.

Già con Anassimandro possiamo apprezzare l'analogia tra filosofia greca e filosofia “altra”, ed in particolare, la filosofia cinese. A primo acchito non è sorprendente che sia possibile una tale connessione; perchè la filosofia cinese, ed in particolare il Daodejing, esprimendosi per aforismi (ovvero attraverso un linguaggio poetico e mistico volto però a rivelare intuizioni che oggi chiameremmo scientifiche), fa il paio con il “frammento di Anassimandro”, il quale si esprime anche esso per aforismi.

Molto probabilmente durante il corso dei commerci, che portavano le navi milesiane in luoghi lontani (Egitto, Fenicia, sicuramente) i commercianti si confrontavano con le persone del posto e durante le fasi “non coomerciali” del soggiorno dialogavano con i loro clienti, anche per apprenderne i gusti e le esigenze commerciali. Non sarebbere sbagliato dire che gran parte delle conversazioni informali vertessero sulle differenze politiche vigenti tra le poleis e queste nazioni ospitanti, ma anche sulle differenze religiose e culturali (leggende e ciò che oggi chiameremmo cronaca).

In questo modo con lo scambio interculturale, necessario supporto all’attività commerciale, il modo di pensare, le storie mitiche e quant’altro, hanno viaggiato insieme alle merci in lungo e in largo nel Mediterraneo e oltre, il che spiega le forti analogie tra le diverse narrazioni nei libri più famosi e antichi delle comunità mondiali.