“In una città come questa, le relazioni si consumano spesso con uno sguardo”. La prima frase che gli disse, e già da lì lui avrebbe dovuto comprendere qualcosa. Almeno la capacità di lei di trasportare in parole pensieri che gli appartenevano ma che lui esprimeva con fatica, quasi fosse insormontabile la barriera della vocalizzazione. Quei silenzi sospesi, nei quali la sua riservatezza lo invischiava, lo facevano sembrare molto più impacciato di quanto non si sentisse realmente. La sua impressione riguardo quel primo, casuale incontro si soffermò però solo su quella loro, reciproca sintonia che una frase spuntata dal nulla lasciava presupporre. Ancor prima di voltarsi verso la ragazza, lui stava già annuendo, ma taceva e così lei stuzzicò ancora quell’enigmatico silenzio: “Ed è strano perciò essere solo in due ad aspettare questo treno, all’ora di punta e in una stazione così centrale” aggiunse, chissà se con malizia. Fu così che tutto cominciò, quasi per gioco.

La carrozza su cui salirono non era deserta, ma pareva tale. Gli altri passeggeri erano scenografia, muta, al limite di quella scena. Solo a bordo, come attendesse il proprio turno, lui rispose: “Certo, è strano, come questo dialogo. Perché, paradossale contraddizione, in una città così popolata, la solitudine diviene la norma, e l’immensa possibilità di un contatto diventa pretesto per rifugiarci in noi”. Forse, così, l’affascinò. Anche lei percepì la sintonia e sorrise, velatamente, distogliendo lo sguardo sugli altri passeggeri impassibili nelle loro pose, come statue. Gli occhi di lei scivolarono su quelle forme antropomorfe, forse più per conferma delle parole che per pudore di incontrare quelli di lui. Poi, il tempo riprese il consueto corso accelerato. Si presentarono, si scambiarono frettolosamente il numero che già la fermata di lei incombeva e, in un istante, la ragazza scomparve in un tunnel laterale, inghiottita dalla folla come fiamme. Anche lui si dissolse veloce, nel vano tentativo di seguire le ceneri dei movimenti di lei, i suoi capelli o la sua borsa, aggrappato con gli occhi al vetro del treno già in moto e disperso nel fragore di una galleria.

A casa, sotto la doccia, con la fronte inchiodata al muro e l’acqua bollente che gli batteva sul collo per poi scivolargli sul resto del corpo, il ragazzo sembrava privo di vita. L’acqua gli scorreva addosso, simile alla folla alla sua fermata, ma aveva un senso opposto, quasi purificava quelle tracce con un’altra immersione. Ma non tutto scivolava via. L’incontro insolito in metropolitana gli aveva lasciato qualcosa che sembrava indelebile e, per la prima volta e a contraddire la sua posa sotto la doccia, il ragazzo sentiva di esistere, di essere vivo.

Di lì a poco la loro storia cominciò e fu molto intensa, ma si consumò velocemente e all’improvviso la ragazza come era arrivata, scomparve dalla vita di lui. Al suo consueto senso di solitudine si aggiunse la dolorosa sensazione dell’abbandono con l’abituale corollario di ricordi nostalgici e malinconie. La stazione del loro primo incontro divenne sinonimo di sconfitta e sofferenza e perciò lui si ritrovava ad evitarla, anche se significava allungare considerevolmente il percorso tra casa e lavoro. Ma il dolore era in agguato, soprattutto in metropolitana, e se ne stava acquattato in qualche angolo buio tra un tunnel, una scala mobile o nascosto nell’ombrello chiuso di un passante, pronto a saltare fuori non appena il ragazzo avesse abbassato la guardia. Così, paradossalmente, per non pensare a lei si costringeva a farlo, forzando la mente in particolari ben precisi e negativi che dovevano aver lo scopo di farlo uscire dal suo stato di fragilità. Aveva semplicemente bisogno di risposte, perché la fine di quel rapporto era stata davvero improvvisa e, secondo lui, insensata e il non aver più potuto parlare con la ragazza lo teneva in uno stato di limbo costante, di subalterna dipendenza. Innanzitutto, perché lei aveva cambiato numero di cellulare? E poi perché non gli aveva mai voluto dire dove abitasse, mentre lui con lei aveva voluto condividere tutto, anche il guanciale del proprio letto?

Un giorno, quando ironicamente gli capitò di pensare che forse la ragazza non era mai esistita, che era stata frutto della sua immaginazione a compensare inconsci bisogni e che lui stesse semplicemente impazzando, decise di spazzare via dalla propria vita quel limbo nebbioso di inconsapevolezza. Doveva riparlarle, avere da lei le risposte che cercava, e chiudere la vicenda con dignità. Solo così, si disse, sarebbe guarito. Immediatamente si rese conto che del resto non aveva fatto tutto il possibile per rivederla ma, anzi, aveva di proposito e vigliaccamente evitato quei luoghi che gliela ricordavano. Così sorrise, si vestì e si diresse alla stazione del loro primo incontro cullando tra le mani quasi la certezza di una svolta e addirittura preparando qualche frase acuta per quel nuovo potenziale rendez-vous.

Naturalmente, non la incontrò. Ne fu talmente deluso che rimase per più di un’ora fermo sul binario doveva l’aveva vista la prima volta, quasi l’attendesse. Intorno a lui scarpe, giacche e occhi si muovevano nel via vai continuo dei treni, storie di vita che si sfioravano nel dedalo sotterraneo di incontri e possibilità. Ma lei non c’era. Due ore e non c’era. Tre ore e non c’era. Il ragazzo tornò a casa lentamente, con un’espressione seria appiccicata al volto, come colla. Disteso sul letto chiamò il suo capo e si prese una settimana di ferie, ne aveva così tante arretrate che non gli fece storie, senza contare poi che in quel periodo avevano pochissimo lavoro da svolgere. Riagganciata la cornetta, spense la luce e incrociò le mani dietro la nuca, quasi a stimolare un pensiero risolutore. Di lì a poco, si addormentò. Quando si risvegliò, fuori dalla finestra regnava una violenta oscurità, sferzata dal vento autunnale. Il ragazzo ci si abbandonò e senza sapere che ora fosse uscì di casa. Sulla strada pochi passanti.

Un contrasto evidente tra sopra e sotto; i tunnel e le stazioni della metropolitana, incessantemente dense di presenza umana, ad ogni ora del giorno. Strideva il fatto che sopra non si riusciva neanche ad averne il sentore di tutti quei volti accalcati in file infinite, di quel brulichio di respiri. Nella settimana di ferie che si era preso, avrebbe cercata e inesorabilmente trovata la ragazza. Ne era certo. Tornò allora di nuovo a casa dopo aver preso una mappa della metro. Dal giorno seguente avrebbe scandagliato il sottosuolo della città, perché era lì che senza dubbio lei si nascondeva, tra la folla sempre in movimento, dove era più facile perdersi. Perché ormai anche di questo era convinto, che la ragazza si nascondesse, per dispetto più che per timore.

Così, il giorno successivo, la sua ricerca cominciò e cominciò proprio dalla stazione dove l’aveva incontrata la prima volta. Meticolosamente, su un taccuino, trascriveva le proprie azioni, treni e orari, per avere un quadro completo del proprio progetto e esaminarlo alla sera, quando con la metropolitana ormai chiusa si trovava alla scrivania ad analizzare i progressi e organizzarsi per il giorno successivo. In questo modo trascorse la settimana. La sua ricerca non aveva avuto l’esito sperato. Aveva vagato nel sottosuolo della città, errando senza meta, su e giù anche per le stazioni più periferiche, cambiando di continuo treno per aumentare le probabilità d’incontro, ma della ragazza nemmeno l’ombra. Concluse che il territorio da coprire era davvero troppo vasto e così riuscì a prendere una seconda e poi immediatamente una terza settimana di ferie. Forse il suo capo aveva percepito tracce di disperazione nella voce, perché compassionevole gli accordò i giorni richiesti senza problemi. In questo modo ottenne altre due settimane da spendere nella ricerca. Considerò quella già trascorsa come una preparazione; adesso conosceva a memoria linee e stazioni, non rischiava più di perdersi e poteva controllare razionalmente anche il flusso della gente oltre che le proprie azioni.

Programmò treni da prendere e alternò movimenti a fasi di attesa, che non significavano però riposo. Il suo occhio vigile infatti correva maniacale di volto in volto, senza incespicare più sulle pareti con le pubblicità o su altri dettagli fuorvianti. La folla ora acquisiva una fisionomia, un’identità che prima non aveva. Il ragazzo non osservava solo le donne ma anche gli uomini, come se nei loro visi potesse rimanere impressa la traccia di un possibile contatto con la ragazza che cercava. In definitiva, gli piaceva osservare la gente. Quando i passeggeri erano pochi, si immaginava i loro percorsi e di conseguenza le loro vite; per quali ragioni erano in quella stazione, se stavano andando al lavoro o tornavano a casa o se erano usciti per comprare un regalo alla moglie o al figlio. Le mani che sorreggevano buste lo incuriosivano, quasi la spesa rappresentasse il segreto di quelle esistenze.

Più i giorni passavano, più la folla della metropolitana lo interessava. Il sottosuolo lo interessava, sinonimo puro dell’essenza umana. Sopra, sui marciapiedi, regnava la maschera, la facciata, gli edifici stessi avevano le facciate. Ma sotto tutto era diverso, sottoterra scorrevano la vita e le intenzioni, ma anche cavi che trasportavano conversazioni telefoniche e acqua nei tubi, come sangue nelle vene. E poi scarichi, liquami, rifiuti organici; tutte cose che in superficie si nascondono ma che sottoterra sono la verità, l’assoluto. Anche per questo, alla fine della seconda settimana, il ragazzo era sempre più convinto che lei si celasse in quel dedalo di tunnel, da qualche parte, a serbare con sé le risposte che lui bramava.

Il Dedalo del Sottosuolo è il primo racconto che apre l’omonima raccolta uscita nel 2012 per le Edizioni Tracce, di Pescara. Si tratta di una raccolta di racconti originali scritti tra l'ottobre del 2008 e l'aprile del 2010 legati da atmosfere simili declinate con diverse sfumature. Dieci racconti che giocano, in modo diverso, con il surreale, con l’infinito universo delle possibilità, con la metafora del sottosuolo e i suoi binomi. I temi con cui si confrontano sono vari: dal relativismo delle piccole cose (Questione di tecnica) all’incapacità di scegliere (Scegliere), fino a ossessioni e situazioni che consumano fino in fondo le proprie logiche come ne Il quaderno e poi, fino a chiedersi se può un uovo di struzzo far crollare il sistema capitalistico globale (Uovo di struzzo).

Il racconto continua: http://wsimag.com/it/cultura/8412-il-dedalo-del-sottosuolo-seconda-parte