Il minerale è compagno della vita fisica ma anche di quella simbolica. L’essere umano lo usa da sempre con proprietà associativa alle sue azioni e ai risultati che ottiene. Il minerale trattiene il solido confronto tra l’azione del tempo e l’agire dell’incontro con lo scontro e le sue evoluzioni.

Del minerale, la specifica dei metalli, e delle leghe che si formano si accompagna tutto l’immaginario di forza e impenetrabilità, lucentezza e aurea collocazione nel pantheon umano della gloria. Il metallo è compagno del costume e dei costumi sociali. Prendendo ad esempio l’acciaio, nel 1933, viene associato alla figura umana di un super uomo chiamato “Superman”: un comic americano che lascia la traccia nell’ideale processo d’invincibilità che appartiene alla storia. Il combattente ha di suo una corazza che lo rende attivo che è il coraggio e ad essa si aggiunge quella fisica che va ben oltre i muscoli di un personaggio di fantasia. Dalle arcaiche protezioni in cuoio, utilizzate dai guerrieri negli scontri per la conquista territoriale, all’avvento della maglia metallica, meglio nota come “Cotta”, di origine celtica (prima traccia fisica risale al III secolo A.C.), si è assistito al processo tecnico di lavorazione del ferro e alle sue declinazioni formali. Gli anelli della cotta formano un intreccio che sovrapposto ha creato quel reticolato protettivo che di fatto è una seconda pelle, indistruttibile, a protezione del corpo del soldato.

La cotta celtica diiviene parte della panoplia (l’insieme dell’equipaggiamento militare) dell’oplita (guerriero di fanteria, di origini contadine) che la utilizza nel corpo a corpo sul terreno di battaglia per poi divenire, al tempo dell’Impero Romano, la “Lorica Hamata” o “Lorica Gallica”, di fatto una cotta utilizzata dai legionari dell’esercito romano. In metallo era anche la Thorax greca, ossia l’armatura in bronzo o cuoio, che si contrapponeva, per il materiale, alla Linothorax: formata da strati di lino, a seconda dello spessore del filo, anch’essa altamente protettiva, giunta tra il VII e VI secolo A.C. a sostituire la Thorax metallica, ed usata dai greci e ancor prima dalla società e mantenuta sino all’età ellenica, ma di cui non vi sono tracce evidenti (da qui il dubbio che potesse essere anche in cuoio).

In epoca medievale la maglia metallica diviene d’acciaio come l’armatura del cavaliere e si cristallizza nell’immaginario collettivo come “La Cotta Medievale” di cui vi è un mirabile esempio di riproduzione funeraria nel monumento ligneo di Roberto II di Normandia, risalente al 1134. Ad ispirazione di questa seconda pelle d’acciao indistruttibile, lo spagnolo Paco Rabanne, nel 1966, veste d’armatura la figura femminile, come una guerriera dell’eros, un’amazzone contemporanea, proposta all’Hotel George V di Parigi in una collezione che portava un titolo singolare quanto rivoluzionario: “12 abiti immettibili in materiali contemporanei”. In rodoide, bronzo, acciaio… sono apparse queste creazioni-scultura, accompagnate in passerella, per la prima volta nella storia della moda, da un sottofondo sonoro.

La collezione desta scandalo, Chanel lo definisce in maniera sprezzante : “Il metallurgico della moda”. La sua formazione negli accessori lo porta ad un approccio più plastico e scultoreo dell’abito. A vestire di piastre metalliche, dischi iridescenti, anelli e rivetti di giunzione imposti a suon di pinze sono le divine del cinema: da Jane Fonda, in Barbarella, del 1968, a Audrey Hepburn in “Due sulla strada” (1967), sino ad una icona contemporanea come Beyoncè, nel Renaissance Tour, 2023. Come un condottiero la donna degli anni ’60 diviene metallescente e potente di quell’eros dichiarato che la porta alla testa di una corazzata in armatura neo-elisabettiana.

Nel tema minerario il cuoio e la pelle s‘intersecano alle rivettature accese del metallo: borchie, occhielli, spalle impostate in morbida nappa, aprono gli anni ’80 di Azzedine Alaia: suo il microabito in perle d’acciaio della PE 1989 che riveste il corpo della regina del Rock, Tina Turner.

Dalle oculate perforazioni epidermiche emerge uno dei temi che più caratterizzano l’estetica del couturier di origini tunisine. Occhielli e borchie affermano il potere della femminilità della guerriera in Alaia. Se si trattano metallo e giunzioni non si può prescindere dal ruolo della cerniera che brillante serpenteggia a sopirale lungo i suoi tubini aderenti per l’autunno-inverno 1981 e nella primavera estate del 2005 diviene ossessione in fogge differenti, per la PE 2005, del giapponese Junya Watanabe. Rivetti e giunzioni sono esempi di approdo e mantenimento di forme e lembi di tessuto o altri materiali che avvolgono e rivelano il corpo.

Un corpo deificato dalla scultorea visione che Man Ray ragalò del torso di Elsa Schiaparelli e che aureo oggi riappare nelle piastre metalliche dei busti della Couture di Rosberry per la Maison del Rosa Shocking. Rimanendo in tema di scultura è nel 1969 che Saint Laurent, si lega all’immagine di una Veruschka fotografata da Rubartelli, l’anno precedente, nella savana, vestita dalla sua celebre Sahariana, con cappello e fucile, come moderna Diana cacciatrice. Da questa immagine trae ispirazione per traslare il busto di questa Dea teutonica in due creazioni d’alta moda, per mano della scultrice, ed amica, Claude Lalanne che, già nel 1965, aveva realizzato, per il couturier, un mobile bar a forma di uovo di struzzo con zampe.

Il torace di Veruschka viene rilevato dall’artista francese, celebre per le sue creazioni zoomorfe, e doppiato in un calco che poi sarà realizzato in cuoio e galvanica d’oro e bipartito nella sezione del seno, per una creazione in georgette di seta bluette, e nel ventre, per un analogo modello dello stesso tessuto ma nero. Dall’evocazione dell’arte scultorea in un busto dorato di Yves il metallo ci conduce alla “body-conscious” di Thierry Mugler che si manifesta in body d’acciaio che sagomano il corpo della modella Emma Sjöberg, nell’anatomica esaltazione delle sue forme scandinave, per poi trasformarle nella scocca di una fiammante motocicletta, nel video del brano “TOO FUNKY” di George Michael del 1992. Da tale revisione formale si allarga la scena al design più domestico.

Dalle motociclette all’arredamento: nell’autunno-inverno del 2000 lo stilista anglo-cipriota Hussein Chalayan realizza una collezione d’arredo totalmente indossabile, ed un tavolino da salotto, a pianta circolare, in anelli di legno e metallo, viene investito del ruolo di gonna circo centrica che la modella s’infila dal foro centrale e dinanzi al pubblico sfila via. Se il metallo è sinonimo di forza ed energia certamente è parte integrante del sistema architettonico della modernità ed esattamente come i grattacieli, in acciaio e vetro, di Ludwig Mies van der Rohe regge la vertigine anche nella falcata dello stile attraverso il tempo.

È il 1954 quando Roger Vivier crea il tacco a stiletto, ed il metallo sorregge il tallone femminile, modella malleolo e caviglia, scolpisce il polpaccio e inarcua il collo del piede, innalzando verso l’alto la figura femminile, dalla gamba in sù, divenendo così non solo supporto ma anche feticcio. Ad esaltare tale connubio ci pensa Tom Ford che, per Gucci, nel 1997, realizza un tacco a spillo, in acciaio, a base quadrangolare, erotizzato dalla Stylist Carine Roitfeld che lo impone allo sguardo, e ancor più alla bocca del pubblico, immortalato, per l’dolatria, dall’occhio del fotografo Mario Testino che ce lo fa concupire letteralmente “ai suoi piedi”.

Sarà Martin Margiela, nei suoi processi di risignificazione oggettiva, per la FW 2008, a sostituire lo “spillo in acciaio” del tacco con il chiodo, suo parente nell’edilizia, e a declinarlo per scarpe e stivali, conficcato con la punta nel tallone.

Gli elementi di supporto alla moda sono anche i simboli delle maison che di metallescenza si rivestono per raccontarci il loro potere evocativo di desideri e passioni consumistiche legate ai processi della bellezza. Aureo, argenteo, iridescente, è senz’altro il logo delle maison del lusso. La Medusa di Versace, come esempio di ieratica venerazione e timore reverenziale che ci giunge dal mito della grecità è, nella sua effige dorata, un emblema erotico, ed estetico, riconosciuto a livello internazionale.

Costei è posta a decoro di fibule moderne che chiudono moderni e rielaborati chitoni greci che sono rivelati dall’anatomia del corpo umano più che rivelatori della medesima. La celebre collezione “Bondage” della FW 1992 è carica di effigi legate a fibbie, borchie, che chiudono la silhouette femminile solo pretestualmente alle curve e alla lucentezza epidermica, perché fanno del corpo il centro nevralgico del suo stile.

Le spille da balia intervengono ad unire i tagli sinuosi della collezione Versace SS 1994, che diverrà celebre anche per l’abito da sera indossato da Elizabeth Harley per la prima di “Quattro matrimoni e un funerale” (di diritto entrato nell’immaginario erotico del ‘900). Spille come fibule di un tempo antico che uniscono tessuto ma anche maglia metallica, quella voluta da Gianni, attraverso la collaborazione con un artigiano tedesco che gliela realizza nel 1982, e verrà battezzata: “Oroton” dal nome dell’aurea lega che ricorda l’oro ma è a 14 carati.

Essa possiede una magliatura sottile che vede la sovrapposizione di piccoli dischi metallici applicati in quattro punti alla trama sottostante tanto da renderla fluida al punto da poterla drappeggiare e che è divenuta il simbolo della maison. Indossata da Patty Pravo a Sanremo 1984 e dalle top model ed attrici più celebri dello star system e riapparsa sul corpo di Carla, Cindy, Claudia, Naomi, Helena, nel 2017 in occasione del loro ritorno sulla passerella di Versace per il ventennale dalla sua morte.

È storia assodata che una ignara Naomi ha camminato sulla passerella della couture Versace, nel luglio 1997, in maglia oroton, ricamata di croci, in quella estate così funesta che ha visto lo stilista di origini calabresi perdere la vita in un attentato: un’uscita finale, da sposa contemporanea, in micro tunica brillante di quel metallo che ha costellato la storia dell’uomo fin dall’antichità e che oggi veste di ganci ad anello l’avanguardia dello stile internazionale del duo britannico Chopova Lowena che assembla plissettature multietniche al cuoio delle cinture attraverso la forza delle leghe d’acciaio.

Anatomia ed architettura richiedono approdi al loro universo solidi quanto la forza mineraria dei loro elaborati. Il corpo umano, rintraccia nell’esemplificazione metonimica con l’architettura la misura per lo studio della sua energia. In nome di essa si è protetto e proiettato nella stratosfera della storia per la luce che gli agenti minerali emanano nella coscienza del tempo sociale e politico, nel quale si esprimono. La forza del metallo è la sua ideale invincibilità.

Il metallo possiede una sua estetica armonica all’energia che racconta: potente quanto una spada nella roccia. La roccia per la moda è certamente lo stile: corpo nel quale si associa la qualità indistruttibile della “temperanza” dove il fendente metallico della forma penetra con acume il suo orizzonte a favorirne “modi” ed “essenza”.