L’intelligenza artificiale è il progetto dell’essere umano che permette al medesimo di avere un clone ipotetico che funzioni come lui in termini di pensiero.

Può essere uno strumento utile per determinare processi cognitivi ma va calibrato nei vari ambiti. In questa creazione sono contemplati i contenuti, le loro associazioni e la possibilità di evolverle e riassociarle come già avviene nella nostra mente, tranne le emozioni. Le carenze del pensiero umano e del sistema artificiale sono diverse e sempre in divenire. Nella conformazione del pensiero ci sono le ragioni della storia, della comunità sociale e della soggettività di ognuno di noi, ed il sentimento, o spirito del tempo.

Nei processi della macchina vi è il tema di chi ha costruito il sistema di raccolta, analisi, contenimento, addizione e sottrazione e non ultimo di elaborazione formale delle informazioni: il tutto nell’assenza di emotività legata al sentimento, alla morale e alla coscienza che distinguono nei fatti l’umano. Nei processi estetici l’artificio ha uno scopo che è legato alla comprensione e ottenimento del “vantaggio”.

Il vantaggio su cosa? Se osserviamo i temi ispirazionali della forma di oggi, possiamo constatare il rimando ai principi di compiutezza e definizione dei modelli classici che sono da sempre la comparativa fondamentale, con una differenza rispetto al passato: il tempo di fermentazione ed emersione dell’idea che da essi prende la misura. Al modello si guarda per emulazione o presa di distanza: abrasione e deformazione sono argomenti dell’estetica ma con una diversa prospettiva: il profitto compulsivo.

La ritmica, la casistica modulare di intercettazione, assaporamento, comprensione, possesso, noia e dismissione di una forma ha modificato il suo bioritmo. Nell’artificio i muscoli della macchina ed i suoi processi comunicativ,i tendono a sclerotizzare i flussi per processare bisogni continui quanto serrati. La forza di una macchina che progetta forme è l’infinita distanza con le emozioni di chi le ha sempre progettate: l’uomo. Tale distanza diviene tossica rispetto al vero, al buono e al bello.

Il vantaggio di cui si parla dovrebbe essere sul miglior esempio presente, per armonia, nel panorama sociale e dunque accrescitivo di acquisizioni qualitative. L’equazione con il modello sociale è legata al godimento emotivo della forma. La forma, nell’artificio, è condizionata dal godimento economico. Non nasce da un’urgenza espressiva legata all’emozione. L’umano è il destinatario dell’artificio ed il fruitore del suo prodotto ed in questo il vantaggio dove si colloca? Forse non dovrebbe essere un vantaggio ma una qualità. Il vantaggio è del nostro tempo tossico e crede nella quantità. L’azione del creare è un bisogno fondamentale del comunicarsi. Non dobbiamo dimenticarlo e comunicare sta alla base del comprensorio sociale.

L’assenza di una coscienza intellettiva legata alla complessità, alla fatica nel comprendere ed agire, al senso della parabola, e il dilagante ecumenismo, permette al numero di agire sul modello ed il modello di mutare nelle piene dei numeri divenendo corpo molle e permeabile a tutto.
Le immagini negate, o solo evocate, tendono a sbilanciare l’asse del comportamento verso il sentimento della rimembranza e dell’approfondimento che necessita di tempo, ponderazione. Questo parametro se lo si dopa con processi d’esecuzione simultanea lo si disintegra a favore di una mente atrofizzata che non ragiona e si ingozza senza digestione alcuna.

L’unica sincronica posizione possibile per l’uomo e la sua coscienza è quella simultanea alla sua condizione di natura. Un ipotetico bene comune oggi è rintracciato nel sostenere e seguire per accumulare e produrre più che donare. Nell’atto di natura colui che vive e discerne legge nel dono della ricerca il suo ruolo conoscitivo nella condizione di parte in cui è: non si limita al suggerito ma entra nel dialogo storico che tende ad una produzione etica e morale del bello che lo innalzi nella sua unicità e lo integri nel flusso verticale oltre il tempo.

Detto questo l’atto creativo si nutre di immagini che hanno una sequenza logica di acquisizione emozionale ed esperienziale soggettiva che equivale all’umano e non è, al momento, della macchina. Posto che si abbia coscienza della funzione dell’atto creativo che è coscientizzare: acquisire a livello qualitativo in funzione della vita e della sua trascendenza, possiamo dire che oggi vi sia l’assenza della parabola in favore della didascalia.

La parabola dona stupore, sorpresa, conoscenza distonica rispetto al carattere e ci immerge nei principi della bellezza e di come lo stile si forma nell’individualità per poi divenire istintuale dono collettivo. Essa, nel mandarci un passo avanti, ci porta ai primordi rispetto all’accumulo e al possesso, alla vittoria sulla quantità per la qualità e dunque alla perdita di direzione per quello che è il consenso sociale nel quale siamo immersi e processati, in questo ventunesimo secolo.

Le fonti hanno il valore della coscienza di chi le produce e la postura di chi è andato a fondo di un problema o argomento, che dir si voglia e l’applicarvisi impone dedizione e approfondimento cognitivo. “La Narrazione di un fatto immaginario ma appartenente alla vita reale, con il quale si vuole adombrare una verità o illustrare un insegnamento morale o religioso” (Significato di “Parabola” - Dizionario Treccani), definisce il comportamento e lo stile del singolo nella situazione e nei suoi aspetti formali e pone l’abito, a conti fatti, come il medium di una verità raccontata o semplicemente celata.

Noi oggi siamo nella didascalia. Non leggiamo per comprendere e comparare ma guardiamo il testo scritto, a lettere cubitali, che ci raggiunge in acustica e proporzione, per acquisire non uno stile ma una sentenza. Lv, Doppia C, Doppia G, H, Doppia F. sono sigle, sentenze di valore codificato ed ecumenico. Poco importa se, in origine, fu interpellato, da un calzolaio, un pescatore del lungarno, perché fosse usato il filo da pesca, di una canna in attività, per avvolgere un piede femminile ed ancorarlo ad un piedistallo, che sollevasse ed omaggiasse la condizione formale della beltà della donna (Ferragamo): la parabola non ci riguarda, ci riguarda la didascalia, una sentenza che ci radica nel bene dei più, non nella coscienza di quanto portiamo e di chi siamo ma di ciò che dicono e lasciamo dire di noi.

Non si sostituisce la coscienza e non la si esprime se cerchiamo di produrre sostituti dell’attività umana per sistemi di velocizzazione o copertura di un ipotetico fabbisogno nato da uno stato, o condizione, di vizio. L’atto creativo è di per sé un piacere ed è un tema dal quale l’uomo non può prescindere: è elaborazione diretta della natura o dei suoi derivati. Si crea, con il corpo, attraverso lo sport per le evoluzioni che l’anatomia consente, per la metrica del nudo umano verso sé stesso e a suo favore nell’epidermico scudo dei suoi naturali muscoli.

Si crea nell’arte per le evoluzioni che la mente processa nei gesti dello scibile verso l’ineffabile, la mente verso la frontiera dell’oltre che non è contemplabile e per sottrazione forse è intuibile. Anche la moda certamente vive questo passaggio di artificio anche se ancora approccia il gesto ed il pensiero. Come emozione legata alla funzione e come realtà del condizionamento massimo al fine del consumo generalizzato, attraversa, nel nostro tempo, il logoramento dell’ossessione e dell’insoddisfazione portata dalla sclerosi del profitto.

Se, per esempio, un autore di suoni, un musicista, un cantante, un operatore di liriche che hanno unione tra acustica e contenuto lessicale. deve temere l’automatismo, lo deve in funzione di un limite di consenso verso di sé di una massa anestetizzata alla autentica unicità e non necessariamente nel senso dell’arte o del suo valore autoriale.

In pittura Vincent Van Gogh non ha avuto comprensione emotiva e riscontro economico nel suo simultaneo presente olfattivo, uditivo, tattile, visivo, gustativo e aggiungo affettivo, di quanto esprimeva in coscienza attraverso le sue tele: emozioni retiniche e distoniche dallo spirito del tempo ed al contempo sue figlie. Ci preoccupiamo e dunque c’è un “Pre” che interviene ad “Occupare” in quanto abbiamo paura del distacco sociale.

Van Gogh non ha scelto. Oppure ha scelto e per noi ha subito, ma nessuno arriva ai limiti della coscienza come nessuno arriva ai limiti dello stile perché infinite sono le emozioni e le logiche che le governano. La palestra dell’immagine ha anch’essa un tempo di esecuzione della lacerazione muscolare del “ritenuto bello”, “desiderabile” che poi si processa in una ricostruzione dei tessuti più carica e densa di potere e di rinnovato desiderio. Il tempo del muscolo anatomico, perché si ricostruisca dopo un allenamento, è di, indicative, 48 ore.

Nella stessa misura noi, con il pensiero, ci alleniamo incamerando nozioni che rielaboriamo attraverso un suo processo di lacerazione, penetrazione e riassorbimento ricostruttivo ed accrescitivo dell’in-formazione. Dunque, un tempo per formarsi che per l’arte è dialogo con la bellezza.

L’artificio non possiede capacità critica autonoma, vive di matematica elaborazione algoritmica. L’uomo contemporaneo sembra interessato a disintegrare un processo che possiede da milioni di anni dirigendosi “Contro natura”. Lo stile non è oppositivo del “Sentimento Panico”: è dentro lo stato di coscienza dell’essere umano che è parte del tutto e non fuori da esso.

Il bombardamento produttivo e la richiesta di tale bombardamento non corrispondono alla verità dei flussi. Vi è un tempo: della giovinezza, dove si vive l’accensione iperbolica di un ritmo per il gusto della velocità. Si vuole “crescere” perché il parametro tempo è abbondante…, apparentemente abbondante.

L’adulto non tende a questo, perché il fattore tempo comincia a scarseggiare e nel tempo rimasto trova il suo stile: le 48 ore che determinano la ricostruzione del muscolo lacerato dal sollevamento di un peso sono i “48 anni” che ci sono voluti per indossare in maniera continuata la giacca e la cravatta. Dal calzone corto, o meglio ancora dal cambio pannolino in pubblico, alla divisa della quotidianità dell’immagine sociale: ecco il tempo di sviluppo anatomico dell’identità.

Ci preoccupiamo dell’artificio che è fuori da noi e da noi prodotto e poco ci interessa se si può organizzare il suo utilizzo per un fine etico e sociale. Ci consideriamo agenti per il bene comune senza contemplare il terrore che è già insito in noi della “non considerazione sociale” che si produce se non siamo nel consenso comune e non accettiamo ogni imposizione artificiale di una ipotetica maggioranza mediatica. Lo stile è fuori dalla considerazione sociale e quando si genera vive di luce propria e germina al sole della coscienza della propria natura individuale e all’ombra dell’amor proprio.