Il vitello e il leoncello pascoleranno insieme e un fanciullo li guiderà
I monti e i colli davanti a voi eromperanno in grida di gioia
e tutti gli alberi dei campi batteranno le mani, invece di spine cresceranno cipressi
invece di ortiche cresceranno mirti.

( Isaia 11,6 e 55, 12-13)

Tu starai davanti a lui sulla riva del Nilo, tenendo in mano il bastone che si è cambiato in serpente

(Esodo 7,15)

Le gesta e gli attributi di Dioniso manifestano non un moderno simbolo di trasgressione, come ideologicamente si interpretò fra otto e novecento, ma un eterno processo dinamico e trasfigurativo di tipo mistico-misterico-alchemico. Se Calasso ha compiuto una bella, barocca e raffinata parafrasi dei primi libri delle Dionisiache di Nonno di Panopoli con il suo romanzo “Cadmo ed Armonia” ora è necessario andare oltre e giungere alla sintesi, ad una sintesi “vivente”, partendo proprio dal capolavoro del sapiente di Panopoli.

Non basta infatti ricamare ed evocare, ma appare necessario “risolvere”, non tanto nella pretesa fallace di chiarificare o di illustrare tutto, impresa inutile, dannosa, e non possibile perchè il Volume si srotola per gradi ed è scritto dappertutto, ed è pieno di occhi, è Lui che ti guarda, quanto nell’esigenza profonda di aprire in modo nuovo le eterne immagini, di suscitare azioni, di condensare semi, di liberare forze e armonizzare ritmi, cioè in una parola nel senso di favorire quella “risoluzione interiore integrale” che genera il mito ed è generata dal mito se sinceramente vissuto e rispecchiato nel e dal Logos. Tentiamo di elencare i nodi di epifania e di intreccio più significativi del mito misterico del nuovo Zeus:

a) Tifeo/Tifone rappresenta il pre-Dioniso. Senza la manifestazione di Tifeo e la sua sconfitta da parte di Zeus non sarebbe nato Dioniso. Tifeo sconvolge il corso degli astri come l’antiCristo giovanneo e i suoi serpenti attorno alle corna sono segno di ierofania lunare. Tifeo deve vendicare i misterici e sapienti Crono, Rea ed Hera, e i suoi alleati sono Giapeto, Asterione, Ofione e Eurinome.

Basti ciò per distinguerlo dai rudimentali giganti. Tifeo è il “Tutto Dioniso”, cioè il Dioniso totale”, il Dioniso nella visione contemporanea di tutte le sue trasformazioni e forme animali. Nessuna ninfa può sfuggire al panico e saturnino Tifeo che ogni elemento della natura raggiunge, possiede e penetra. Tifeo scaglia contro il Cielo pioppi, platani, pini e olmi: alberi di Saturno e di Dioniso, mentre lo scagliare pietre nel Cielo richiama Urano e richiama la Pietra filosofale ingoiata da Crono.

La Terra, Tifeo è l’ultimo titano figlio di Gea, che sale verso il Cielo esprime anche la sublimazione ed vaporazione dei metalli dopo la loro cottura. Tifeo è anche infatti la prima necessaria cottura, quella che mescola gli elementi e li confonde, l’amplesso cosmico, la fusione di tutte le cose. Non è l’ordinario caos, anzi esprime un preciso ordine, altro e più antico rispetto a quello di Zeus olimpico, ma siamo in presenza del prezioso “caos dei filosofi” della nigredo. Tifeo rappresenta il “Solve” alchemico del Sale filosofico.

Nonno infatti ci parla di lui come colui che ha “disfatto il giogo dei quattro elementi”, di colui che confonde terra, aria e acqua, di colui che sa bene cosa fare: “ darò vita a un altra nuova razza di beati policefali, neppure il coro delle stelle lascerò sterile, senza nozze, ma unirò la femmina al maschio, perché la Vergine alata, unendosi al Bovaro, generi figli”. Queste stupende parole di Tifeo mostrano la sua reale natura ermetica di vitalità, regalità e fecondità cosmica, allo scopo di generare l’Androgino alchemico e di giungere alla fase della proiezione e moltiplicazione propria dell’Opera.

L’ergersi di Tifeo verso l’alto è il trionfo della Terra nella sua olistica potenza e pienezza, e nel contempo la sua opera non è distruzione e ribellione fine a se stessa, ma legittima guerra per il Trono e per il Fulmine, vera e propria uranomachia apocalittica, come già fecero Crono e Zeus, nel contempo appare rinnovazione/purificazione dello zodiaco e simbolico amplesso, di cui è immagine chiara l’unione fra Toro e Luna.

Tifeo appare vestito di pietre e avvolto di serpenti, e nel contempo appare igneo e fiammante, come il solare e sapiente Phanes/Mithra, come l’Abraxas, ma richiama anche il Cristo/Serpente innalzato e nuova Pietra di fondamento. La lotta fra Zeus e Tifeo può anche essere trasfigurata nella lotta ermetica fra Mercurio e Zolfo, fra Umido e Secco, dalla cui lotta i princìpi escono dalla materia grezza nella loro purezza ermetica. All’ergersi di Tifeo verso l’Olimpo non solo la Luna appare insieme al Sole, chiare immagini ermetiche, ma compare anche la cometa e l’arcobaleno (cauda pavonis) come nella “Melanconia” di Durer. Solo grazie a Tifeo Zeus trionfa con Iride e Nike su Gea. Tifeo, la mistura universale, non sa estrarre e detenere le essenze, va quindi sottomesso affinché accenda il magma del Vulcano alchemico.

b) Cadmo/Hermes/Orfeo/Pan ammalia con la musica pastorale Tifeo. Questa infatti è l’unica differenza fra Tifeo e Dioniso: Tifeo non conosce la musica e quindi ne è soggetto e sedotto; mentre Dioniso è anche signore della musica e della danza. Anche per questo Dioniso risulta superiore ad Apollo, anzi lo possiede e ingloba (e non accade viceversa) in quanto Dioniso governa sia l’urlo che la musica, e quindi la misura, il metro, il ritmo; Tifeo invece resta informe, primordiale, come la materia prima dell’Opera che va sottoposta alla musica alchemica. Adamo/Cadmo genera con la musica come nell’Opera: dai nervi di Zeus si ritesse simbolicamente tutto il corpo, come nella formazione della Pietra/Figlio.

c) Se Tifeo rinascerà perfetto in Dioniso, allora anche Europa è altro: è Semele e Teti, Demetra, Io e Galatea. Nonno intuisce l’essenza ninfica universale e unitaria di Europa, anche se lo cela appena sotto il velo dello stupore dubitativo, prosaico, e narrativo. Aaalogamente il Toro è già Dioniso, il Re delle ninfe; d) La ierogamia di Zeus/Semele indica le nozze alchemiche di Sole/Luna e la nascita del Figlio nuovo, l’Androgino ermetico, dall’acqua e dalla fiamme indica l’inizio dell’Opera come indicato dall’emblema dell’”acqua fiammante” della monade ieroglifica.

e) Dioniso/Proteo si trasforma in: Serpente che sconfigge i giganti serpentini, in Leone che prende il latte da Rea, in screziato Leopardo che sconfigge gli elefanti, in Cinghiale che si unisce alla ninfa cacciatrice Aura, in Fanciullo che si immerge nel mare della grotta di Teti, e in Albero scosso dal vento durante la vendemmia e le sue danze, cioè la terra filosofale separa e sconfigge la terra infera e umida, il Fuoco si accende dal sale filosofico, il Mercurio esce dalla pietra e domina la materia, la Luna diventa rossa, la Pietra germina il Rebis dopo averlo covato, e l’Albero finale è l’Albero del Vello aureo.

f) Ma Dioniso è il nuovo Zeus che tuttavia non rapisce o violenta le ninfe, come il primo Zeus acheo, ma ne è amico, si ricorda delle ninfe nutrici che lo hanno allevato, e , per la prima volta, “crea” nuove ninfe, vuole che le proprie adepte siano come le ninfe, ristabilisce l’equilibrio fra le potenze psichiche, spirituali e cosmiche. Per questo Dioniso appare superiore a Zeus, nel suo nuovo e vincente rapporto con le ninfe e i satiri. Dioniso quale Omega e Alfa del mito: chiude il cerchio con cui il mito era iniziato: le ninfe e i satiri.

g) Il combattimento alchemico termina con l’inverno, segno di Crono e della prima purificazione e rinnovazione dell’Oro che va di nuovo celato nella sua nuova cottura, e infatti la sacra partenza di Cadmo/Giasone è primaverile come quella di Polifilo. L’eroe viaggia sotto il segno propiziatorio del croco/zafferano (a cui corrisponde la smilax, pianta di Dioniso) La prima tappa è la Samotracia dei Misteri dove la doppia fontana del Palazzo di Elettra e l’immagine delle lavandaie richiama l’albedo alchemica.

Approdati infatti l’alba cosmica che Nonno canta è l’alba orfica di Dioniso/Zeus fra danze dei coribanti e degli orsi, l’incessante musica, e una vibrazione universale e mistica che fa ondeggiare tutti gli elementi e dove tutto corrisponde: l’Ida della Troade all’Ida di Creta. Il palazzo di Elettra appare chiaramente un Palazzo esoterico che ricorda lo scopo del viaggio, cioè il compimento dell’Opera tramite Armonia, equilibrio e unione di Afrodite e Ares. Vi dominano i cani aureoargentei di Ecate, e le stanze della pleiade Elettra sono custodite da sette mistiche e mitraiche porte.

h) Cadmo/Dioniso è figura di colui che possiede l’arte regia, è lo scopritore dell’Oro del monte pangeo e il primo che lo fonde. Nonno lo descrive con uno stile simile all’Amato del Cantico dei cantici. Nella fondazione di Tebe Cadmo affronta il serpente di Ares (che ricorda quello dell’albero del Vello) e quasi si assimila ad esso nella lotta restandone avvolto nelle molteplici spire, come Mithra/Fanes. L’immagine appare eloquente segno della purgazione dei metalli allo scopo di estrarne e unirne lo spirito/seme. Il drago infatti secreta schiuma verde e ferrifica le sue vittime che restano a bocca aperta al cielo, segno della cottura dei metalli.

Seminandone i denti Cadmo induce la generazione di nuovi esseri. Ne resteranno cinque, segno dello spirito di cinque metalli: ferro, stagno, rame, argento e oro. Nelle alchemiche ossa risiede il fuoco/sangue generatore. La mietitura dei giganti indica la liberazione e purgazione degli spiriti della Terra alchemica, cioè la purificazione e liberazione della materia prima, come pure la lotta fratricida fra i nuovi esseri armati ricorda l’immagine ermetica della “strage degli innocenti”. La pietra e il serpente sono essenziali per Cadmo, immagine della Pietra vivente, la Pietra filosofale. L’impresa di Cadmo rinnova a livello microcosmico ciò che compie nel macrocosmo la vittoria ermetica e misterica di Zeus su Tifeo. Il Palazzo che costruisce sulla rocca di Tebe è un Palazzo spirituale e cosmico, garante dell’armonia fra tutte le potenze zodiacali-alchemiche.

Fra i figli della coppia viene ricordata un'altra immagine ermetica, di stile pastorale: Aristeo, colui che regola la pastorizia, l’apicoltura e l’estrazione dell’olio dalle olive. La collana dell’Amore fatta da Efesto che Afrodite dona ad Armonia sposa sintetizza la gloria dell’Opera e il suo fulgido compimento regale: due serpenti stellati ed aurei con al centro un aquila bicipite, Fuoco e Folgore, segno massimo dell’arte regia con il trionfo dello Zolfo in mezzo al Mercurio purificato ed equilibrato, immagine sacra analoga all’Arca dell’Alleanza con a lato i suoi due Cherubini.

L’Aquila è crocefissa fra quattro pietre biancorosse, segno dell’Essere Vivente giovanneo, e che richiamano specificamente la Gerusalemme celeste, la Luna, l’India e il Mar Rosso, segno dell’Androgino ermetico e delle nozze mistiche e gloriose. E attorno all’Aquila si irradia un mare multicolore, la cauda pavonis, dove brillano di delfini di Dioniso. Ma le quattro ali corrispondono anche a Mithra/Fanes, a cui Dioniso appare intimamente connesso, insieme ad Aion, come si evince anche nella richiesta di salvezza per il genere umano che Aion, l’Eternità nel suo processo dinamico, la Chiave egizia dell’immortalità e della generazione, compie nei confronti di Zeus.

La seguente visione di Zeus annuncia Dioniso quale Salvatore e quale Unigenito, come Cristo, Colui che è destinato a riparare le colpe di Prometeo/Adamo e Pandora/Eva. Dioniso manifesta anche un essenza/origine egizia nel suo copricapo serpentino che ricorda l’Ureo faraonico, segno del fuoco celeste, come il Drago di Merlino e Uther Pendragon, la Pantera cosmica. La nascita e lo smembramento di Dioniso-Zagreo invece richiama Osiride. Dioniso-Zagreo smembrato ricorda anche il Seme del Vangelo che deve morire, spaccarsi, per portare molto frutto. Mentre viene dilaniato dal ferro dei Titani, gli uomini bianchi o uomini-calce/gesso, segno della fase alchemica della calcinazione, amplesso ermetico putrefacente e creativo, Dioniso Zagreo si trasforma in 1) Zeus con l’egida – il serpente di Luce 2) Crono - il nembo piovoso 3) le tre età umane 4) leone 5) l’acqueo cavallo 6) il serpente-drago di fuoco 7) l’acida tigre 8) il toro cioè la terra fiammante che Dioniso/Mithra deve sottomettere e assimilare. Dopo la morte di Zagreo Zeus invia il diluvio di fuoco e di acqua sul mondo, segno di un altra fase di purificazione alchemica, a cui corrispondono anche precise indicazioni zodiacali esoteriche, fra cui ad esempio il “vello di luce” del Capricorno di Saturno. Il Diluvio assomiglia allo scatenarsi di Tifeo nel caos degli elementi, dove acqua e terra, delfini e cinghiali, si confondono. La connessione fra nascita e Diluvio ci illumina sulla vicinanza della figura di Dioniso alla figura del biblico Noè (Deucalione).

Quattro sono i contesti che li accomunano: l’invenzione del vino, l’ebrezza, l’essere capostipiti di una nuova epoca, e il Diluvio stesso. Non solo infatti dalla fine di Zagreo, che riassume cosmicamente in sè tutti gli animali come l’Arca di Noè, deriva il Diluvio, ma la nascita stessa del secondo Dioniso è simbolicamente un Diluvio di fulmini, una caos creativo di fuoco e acqua, come il grande Diluvio. E la coscia di Zeus svolge la funzione salvifica dell’Arca divina di Noè. Anche l’antefatto della nascita di Zagreo rappresenta un altro nodo ermetico prezioso.

Viene profetizzata dal sapiente titano Astreo, interpellato da Demetra, il quale traccia sulla cenere dei disegni geometrici ermetici: il triangolo (zolfo), con sotto il cerchio (mercurio perfezionato) e sotto il quadrato (il sale), emblema famoso della perfezione della Pietra filosofale. Saputa la verità da Astreo, Demetra occulta Persefone in una grotta delle ninfe in Sicilia, la terra del Sole, che ricorda molto l’Antro ninfico e misterico di Itaca, anche per il magico telaio. Persefone struttura il mondo tessendo, mentre la menade Penelope lo creava e lo distruggeva in un respiro cosmico. La grotta è difesa dai draghi del carro di Demetra, la cui immagine e la cui frustra ricorda Ecate, Saturno, Ananke e lo stesso Dioniso.

Ma Zeus in forma di ctonia di serpente feconda Persefone di Zagreo. Dioniso nasce dalla Luce che raggiunge le profondità della Terra. Dioniso nasce cornuto, come le tre vette del ninfico Nisa, come Zeus, come i centauri, come il Mosè di Michelangelo: il corno della sapienza e della divinità, lo stesso corno che adornava gli altari dell’antichità.

i) Tornando alla nascita seconda e definitiva di Dioniso, ricordiamo che la coscia è segno sacro e generativo in molte tradizioni: Odisseo ferito alla coscia, Giacobbe colpito dall’Angelo, il Re pescatore del ciclo bretone, e la piaga dell’iconografia di San Rocco. Fra le dodici teofanie generative di Zeus quella con Semele è la quinta. Semele è l’etere, la Quintessenza. Zeus, come Atteone, la contempla mentre fa il bagno (l’albedo) e annuncia per la loro imminente unione un “giorno stellato”, una notte luminosa, segno dell’eclisse nuziale alchemica, come della santa notte cristica del Natale.

Lo stesso Zeus si trasforma prima dell’unione con Semele. Toro, Pantera e Serpente mieloso. Zeus si veste addirittura da iniziato di Dioniso con la pelle screziata di cervo e il fiammante bastone, che ricorda il sacro bastone di Mosè, che era il bastone prezioso di Prometeo/Adamo. Zeus invasato ed entusiasta, fuori di sé, ecco l’Amante per l’Amata, e il loro talamo allude all’amplesso cosmico di Cielo e terra. Zeus che si unisce a Semele è il fulmine secco, senza nubi, a “ciel sereno”, segno dell’accensione del fuoco ermetico, ma è anche colui che si tinge del rosso minio.

La nascita da fuoco e acqua ricorda il battesimo di fuoco del Cristo, l’acqua fiammante dell’arte regia, il lavaggio dell’albedo. La gelosia di Hera per Dioniso si scatena dionisiacamente nella follia indotta su Ino e Atamante. Questa gelosia indica la reazione della Terra alchemica all’estrazione ermetica dei propri spiriti. La Terra tenta di resistere al fuoco alchemico, non vorrebbe lasciare il proprio Oro, ma anzi tende a soffocare il germoglio da cui sorge la Pietra filosofale, ma alla fine cede e ne viene glorificata, come Hera da Heracle.

Per questo Dioniso infante viene subito nascosto da Hermes fra le ninfe e poi affidato ad Ino, la grande Madre bianca dell’acqua, e alla sua ancella Mystis, personificazione allegorica dei Misteri divini. Non a caso la grotta di Mystis è oscura come l’Antro di Itaca, ma viene criticamente illuminata da Dioniso infante. La terza fase della cura della Pietra filosofale contempla il terzo affidamento di Dioniso a Rea/Cibele, la dominatrice dei leoni, cioè dello zolfo. Rea dopotutto resta celebre solo per un gesto: l’affidamento della Pietra ermetica (l’emetico nasconde l’ermetico!) a Crono per la salvezza dei dodici Olimpici.

Interessante è il mascheramento di Hermes quale Phanes, il progenitore autogenerato, di cui la stessa Hera ha timore, per la traslatio di Dioniso nella frigia di Rea. Questo episodio ricorda la fuga in Egitto di Gesù bambino perseguitato. La Frigia, come l’Egitto, da cui viene il culto di Dioniso, quali terre ancestrali dei Misteri. L’apoteosi di Semele, trasfigurata nella via secca della Fenice, coincide con la nascita di Dioniso, la cui doppia gestazione, di fuoco e acqua, sub Luna e sub Sole, sotto la Donna e sotto l’Uomo, indica la cottura formativa della Pietra filosofale. Due famose immagini alchemiche coincidono iconologicamente.

j) Dioniso nasce sul monte del Drago, e appare con dei serpenti cornuti (cerasti) egiziani in testa, come l’ureo dei faraoni. Il serpente/drago aureo e innalzato è il segno dello Zolfo perfetto, della rubedo, della Gloria di Cristo, dell’Unzione divina. Il primo affidamento è alle ninfe mintane figlie di Lamo che poi impazziscono nelle loro vesti zafferano, che ricordano lo zafferano della partenza del viaggio di Cadmo. Dioniso bambino addomestica orsi e leoni, guida il carro di Rea e aggioga linci e pantere, caccia screziati cerbiatti. Rea viene cantata qual Madre universale, archetipo seminale, allattatrice di Zeus e Dioniso. La pietra che secerna il latte. Dioniso e la Pantera meritano un approfondimento.

k) Dioniso adolescente viene descritto fra satiri che giocano, danzano e si tuffano nel fiume Pattolo per raccogliervi nel limo preziosi metalli! Chiara immagine dell’estrazione dell’Oro filosofico. Il fiume aurifero, sabbioso e aureovermiglio, in cui nuota Ampelo paragonato a Fosforo, mostra l’irradiazione moltiplicativa e proiettiva della Pietra filosofale. Il bellissimo Ampelo è l’immagine chiave dell’epifania di Dioniso. Ampelo non è che lo specchio di Dioniso, il suo doppio, come Dioniso è il doppio, più maturo ed evoluto, di Zeus.

Viene descritto quale Androgino mistico con i caratteri sia dell’Amato che dell’Amata del Cantico dei Cantici: il collo come la Luna, il capo rugiadoso, i capelli aurei, il viso biancoroseo. Ampelo è effeminato come l’iconografia androgina di San Giovanni, sia per la sua vicinanza spirituale a Maria, che per l’idea del primo Adamo integrale. Ciò è anche segno delle nozze fra lo Zolfo (il satiro) e il Mercurio filosofico (la ninfa) Ampelo rappresenta un nuovo Adamo, un Cadmo perfezionato, l’essenza di Dioniso, immagine della gloria dell’Opera, Figlio del Sole e della Luna. Dioniso si lascia vincere nelle gare e nei giochi da Ampelo, per Amore, come Cristo si lascia morire sulla Croce, apparente sconfitta.

La simbiosi Dioniso/Ampelo ricorda poi i Dioscuri e la dualità templare. In Ampelo si compie la terna mistica ed ermetica del bianco, rosso e verde. Ampelo-Dioniso diventa una sola cosa con il lunare e fiammante toro che lo porterà alla morte. Una morte mistica che lascia incorrotto il corpo splendente di Ampelo, come il corpo di Cristo. Un toro che lui agghinda come per un festa sacrificale con gigli, rose anemoni, e con fango dorato sulle corna, segno della nuova terra ermetica glorificata. E’ il biblico Toro di Basan, il Toro divino e cristico, indicante la natura umana di Dioniso-Cristo che deve essere sacrificata, morire per risorgere come rito e sacramento nel vino-sangue, mentre la loro simultanea natura divina resta inalterata.

Ma è anche il Toro dell’Evangelista e dell’Essere vivente biblico e giovanneo e la Terra alchemica che diventa ignea e volatile. Il Toro sta alla Vigna, che disseta eruttando acque, come Cristo stà alla sua eredità. L’aspetto redentivo e cristico di Dioniso viene esaltato da Nonno in vari passi fra cui quello in cui viene descritto il nume che piange per liberare l’umanità dal dolore e quando è scritto: “Mio Padre ti ha reso pianta per glorificare il Figlio”, chiara allusione all’immagine di Cristo-Vite. Nel Palazzo del Sole misterico, posto ad Occidente, le Stagioni accorrono per vedersi donare il culto vinico di Dioniso che, come Cristo, completa i tempi portandoli a pienezza.

Lì Iperione mostra le misteriose Tavole di Armonia su cui Phanes ha scritto i suoi oracoli metamorfici. Si narrano le imprese di Ofione e del piovoso e tempestoso Crono, che feconda il mare con il sangue di Urano, e la vicenda ermetica chiave della Pietra di Rea che permette a Crono di generare tutte le potenze del’Opera. Trasformato Ampelo Dioniso ha raggiunto la sua collocazione definitiva, liba in un corno taurino e si “reimmerge” nella misterica grotta di Rea, segno della Sapienza perenne. Rea è legata alla Pietra: grotte, rocce, leoni montani, la Pietra di Crono e l’ametista che dona a Dioniso per preservarlo dall’ubriachezza. Rea è la Pietra sacra teofania e unta, il Betel, la biblica Lìa, la Pietra filosofale, che germina il latte e il vino.

l) Riguardo il carro di pantere che Rea dona a Dioniso e che diventa uno dei suoi attributi più tipici merita un approfondimento il nesso fra Dioniso e la pantera quale animale simbolico. La Pantera è segno antichissimo che si caratterizza per due aspetti: il mantello screziato, segno delle stelle del Cielo notturno (come il cerbiatto) e la vitalità fluida, panica e dinamica. Lo stesso nome in greco significa “tutto” e “belva”. La Pantera è quindi animale esprimente l’essenza di Dioniso quale potenza cosmica e metamorfica. La Pantera corrisponde in araldica al Drago. Si trova conferma di ciò nello studio dell’araldica dei Plantageneti e nell’emblema della Stiria.

Specificamente la Pantera indica la nebulosa delle Pleiadi, connessa con il Toro, segno di Amore cosmico, Fuoco divorante, pienezza di perfezione. Dalla statua di Tutankamon del Louvre che lo scolpisce con addosso una pelle di pantera costellata di stelle a cinque punte alla pelle che vestiva Giasone e fino alla pantera nera di Gamuret del Parzifal l’animale ha sempre, nonostante le contrarie apparenze, manifestano un significato preciso, vitale, solare e positivo. Lancillotto è la pantera che genera il leone: Galaad. Come la nebulosa sembra un insieme di acque luminose, un grembo portatore di vita, un caos generatore, così la Pantera esprime l’inesprimibile, la vangelica Stella del mattino unita al vangelico fiume di acque vive che dona il Cristo, l’insieme delle acque celesti palpitanti astri, influssi e vita nuova.

Così il senso di fluida e ardente femminilità della Pantera ne fa stupenda emblema della Madre universale, della Materia unica e prima, del Mercurio ermetico, dell’Essenza pura e raggiante, sintesi dinamica di giorno e notte, luce e oscurità, e, come il drago, sintesi in movimento di acqua e fuoco, cielo e terra. Le macchie della Pantera possono assimilarsi anche ai Sali ermetici deposti nell’acqua mercuriale. La Pantera equivale quindi al drago aureo alzato di Merlino e Uther Pendragon, e al Drago alchemico dei Principi Borghese di Roma. Persino in Isaia si cita la pantera insieme al capretto nella profezia della pace messianica, entrambi animali di Dionso, contrapposti nella dialettica ferocia/debolezza, ma accomunati nei caratteri di salvaticità, vitalità e primordialità, ed entrambi fatti simboli palinegetici dei nuovi cieli e della nuova terra.

Nel tempo si perse questo carisma specifico e, anche nell’araldica, la pantera divenne leopardo o lince e tutti i felini furono poi assimilati al distinto Leone. Dioniso che guida il carro delle pantere esprime un essenza divina ed ermetica illuminante e dominante.

m) Nel Palazzo occidentale del Sole, (l’ermetico Sole nero o nascosto) sulle tavole di Armonia e Phanes Nonno vi inserisce anche tutta una lunga serie di fatti, citazioni, episodi,e riferimenti per i quali non è facile sempre risalire alla connessione con Dioniso. Ma proprio per questo appaiono meritevoli di approfondimento.

Le sette Tavole ricordano l’apocalittico Libro della Vita con i suoi sette sigilli, e nel contempo le Case zodiacali. Alla Terza Tavola sono connessi Dioniso, Il Leone e la Vergine, cioè il Leone di Giuda nato dalla Vergine: Cristo il compimento di Dioniso. La seconda Tavola parla del Pino quale albero universale e generativo e del Diluvio. Il Pino, segno di autogenerazione, è connesso a Dioniso per il rapporto resina/vino, per il suo essere usato come torcia nei riti notturni e per l’episodio di Penteo che spia le Menadi da un pino. Agave, la terra alchemica, ne fissa la testa su di un ramo di pino, segno dell’exaltatio essentiae. Ancora una volta Nonno esalta la figura dell’Arca diluviale e di Deucalione, e della sua navigazione “aerea” e sublunare.

L’Arca, a fronte del caos dei quattro elementi, appare la stabile e fissa quintessenza, o etere, su cui regna Dioniso. Nelle Tavole infine si leggono i seguenti fatti del Mito: - Argo che si trasforma in pavone
-Arpalice
-Filomela
-Niobe
-Pirro
-Tisbe
-Croco e Smilace
-Atalanta.

Argo, il gigante/pastore dai cento occhi, 50 aperti e 50 chiusi (come i 50 argonauti), fu tauromaco e taurofero come Dioniso, e uccise Echidna, metà donna e metà serpente. Calasso ha ben evidenziato nel suo saggio “La follia che viene dalla ninfe” il nesso intimo che intercorre fra Drago/Occhio/Fonte. Argo finì similmente a Tifeo: addormentato dalla musica di Hermes e ucciso. Ma Hera lo immortalò nella coda del Pavone.

Emergono quindi analogie fra Argo l’insonne, come i draghi, e Dioniso Zagreo: Toro-Serpente-Drago. Da mostro serpentino a coda di immortale uccello, l’alfa e l’omega della metamorfosi. Ma il Pavone e la sua coda sono chiare immagini alchemiche. Arpalice appare ambivalente: da una parte è la figlia del Re di Tracia Arpalico, figura fra Artemide cacciatrice boschiva e Afrodite, figura affine quindi alle Baccanti.

L’altra Arpalice invece, di Argo, è figlia di Climeno l’arcade, vittima di incesto (immagine ermetica come nell’unione fra Crono e Rea), e sposa di Alastore, figlio di Nestore di Pilo, e quindi parente del dionisiaco Melampo. Filamela, amante del canto, si trasforma in violenta baccante vendicativa e viene poi trasformata nel notturno usignolo. Niobe fu pietrificata dopo la strage alchemica dei suoi sette figli e sette figlie da parte di Apollo e Artemide. In Niobe si realizza la divinizzazione tramite il compimento del “Solve et coagula”: il corpo diventa roccia perenne e l’anima acqua eterna. Il duplice gruppo settuplice dei figli di Niobe rappresentano i metalli e la loro cottura e putrefazione alchemica.

Lo spirito dei metalli viene unificato, disseccato, e trasformato nella Pietra filosofale vivificante. Pirro invece significa “fulvo” e indica il guerriero danzante, simile ai coribanti, ma anche il nome di un amante, negato, dell’abissale e silente Rea. Il mito di Piramo e Tise è presente in un mosaico della Casa di Dioniso a Nea Pafos in Cipro. I due amanti diventano fiumi portatori di abbondanza e nel contempo il loro sangue tinge di rosso scuro i frutti del gelso, spesso piantato vicino alle vigne. Motore di tutto è la dionisiaca pantera, che svolge la stessa funzione che svolge il Toro per Ampelo.

Croco e Smilace diventano l’esoterico zafferano, spezia e tintura, e l’erba smilace, liana sempreverde usata nei riti bacchici. La dionisiaca, lunare e boschiva Atalanta è chiaro segno del Mercurio fuggente che va purificato e infiammato. Non a caso Atalanta dopo il contatto con un Tempio di Cibele, viene trasformata in leone. E’ difficile ritessere questi fatti in una sequenza coerente. Ciascuno di essi appare indicare un evento misterico trasformativo e alcuni di essi mostrano una connessione con Dioniso, ma la difficoltà riguarda un eventuale relazione fra di loro e con le Tavole di Armonia. In ogni caso ci dimostra la complessità e vastità della fluida potenza di Dioniso quale immaginario simbolico trasversale.

La prima epifania di Dioniso è guerresca: la spedizione contro gli Indiani. L’elenco delle forza belligeranti che si unisce a Dioniso appare illuminante sull’essenza del nume. Le figure si dividono in due tipologie: personaggi specifici e categorie complessive in termini di “razze” semidivine, come i quattordici Pani (spiriti della terra, umidi e secchi) colorati segni dei vapori e delle proiezioni dell’Opera, e le varie specie di satiri, sileni, centauri, amazzoni e ninfe (fra quelle dei frassini nate dal sangue di Urano) o popoli particolari, come gli Abanti, che provengono da Israele, e il cui nome deriva dall’ebraico Abbàs, cioè Dio Padre) oppure sono i discendenti di Abante figlio del dionisiaco Melampo, o categorie rituali come i coribanti, i cureti e i dattili, danzatori rituali, misterici, e teofanici, o tipologie ontologiche come i Telchini, spiriti ignei dei metalli.

Fra le figure specifiche ricordiamo quelle che sembrano più eloquenti in senso sapienziale-misterico: Atteone e i suoi cani, il titano Astreo, Aristeo il sapiente apicoltore, ulivicultore e pastore, Imeneo, i cretesi Ideo e Melisseo, padre della ninfa che allevò Zeus nella grotta del monte Ida, Fauno, Lapeto, Eagro il padre di Orfeo, Eretteo, di Atene, dal “sangue aureo”, discendente del serpentino Erittonio e i due Cabiri, iniziatori dei misteri di Ecate di Samotracia. Gli equivalenti Coribanti, Cureti, e Dattili, esprimono i riti misterici delle danze armate, e celano l’enigma dell’occultamento di Zeus bambino, da loro salvato da Crono divoratore. I cinque Dattili, fabbri di Rea e del Monte Ida, nati dalla terra e dalle mani di Rea le loro sorelle iniziano Orfeo ai Misteri dei Samotracia.

I Cureti veneravano Attis e il suo pino. Attis presenta forti analogie con Dioniso per il suo legame con Rea, l’androginia e la morte/resurrezione. Secondo una tesi interpretativa Attis deriva dal gigante ermafrodito Agdistis che fu evirato da Dioniso con un pino. Tutto ciò indica come Dioniso riassuma in sé tutti i riti misterici più antichi e tutti i culti connessi alla natura. Alessandro Magno, ultimo nesso fra storia e mito, ebbe la madre Olimpia adepta di Dioniso, e non a caso seguì il mito di Dioniso ripercorrendone la spedizione in India, forse origine del suo culto derivante dalla divinizzazione di un Re indo-greco giunta in Grecia attraverso l’Egitto, o forse è vero il contrario, cioè il culto di Dioniso nasce a Creta e da lì si diffonde a Sparta, Corinto, Atene, Tracia, Frigia, e oriente.

Dioniso, come Mithra, lascia tracce del suo culto solo nell’Occidente, prima greco e poi latino, e la moda orientalista oggi imperante denota il non capire come la mitopoiesi perenne sia più importante della deformante mitogenesi storicistica e ideologica moderna.

n) La marcia militare-religiosa verso una mitica India diventa un comos bacchico, ieromachìa e ierogamìa nel contempo, sconfitta degli indiani e sottomissione della selvaggia ninfa Nicea. L‘episodio tragico dell’uccisione di Inno da parte di Nicea ricorda il mito di Atteone.

Nicea è epifania di Artemide, e chi si avvicina troppo alla Sapienza ancestrale senza un rito viene folgorato dalla Luce selvaggia. Dioniso segue Nicea come Zeus Semele, Io ed Europa. Nicea è un'altra manifestazione dell’archetipo della ninfa fuggente, cioè l’argento vivo, il mercurio volgare e acido. Il Sole/Zolfo dissecca e asseta il mercurio e Dioniso con il vino fissa Nicea e a lei si unisce. Dioniso, durante il corteggiamento offre a Nicea sessanta ancelle, lo stesso numero uguale ai sessanta prodi che attorniano la lettiga di Salamone, al numero delle Oceanine e le offre anche le Cariti.

Dioniso genera con Coronis la Carite Pasitea. Dioniso, demiurgo dell’etere, si rivela più sfuggente e invisibile di Nicea, dalla quale genererà l’iniziatica Telete. L’India mitica appare simile all’Etiopia simbolica (e questa confusione durerà fino al più recente mito del Prete Gianni): abitata dai “piedi neri” (da cui il nome del dionisiaco Melampo), e richiamante l’omerica citazione della guerra fra le lunari ed ermetiche gru e i pigmei, segno della terra nera alchemica e dell’arte regia stessa. Dioniso non è armato se non di serpenti, edera e tirso, e vestito di porpora e oro; segno dello scatenamento delle forze invisibili e vitali dell’universo, come pure le virginali e ninfiche baccanti combattono scatenando la loro danza serpentina invasata.

Dioniso e il suo esercito di satiri e baccanti combattono danzando, come in trance, e vincono senza veramente combattere, come il Cristo dell’Apocalisse, trionfano solo irradiando la loro luminosa essenza. Il centauro Yleo, segno di yle, la materia umida e informe universale, mostra un elmo di gesso, come i cureti e titani. Il sapiente e arcadico Aristeo, in cui sembra quasi sintetizzarsi il mito esoterico seicentesco dell’Arcadia, si mostra anche medico e guaritore, e versa miele, olio e vino sulle ferite, come il Cristo/Samaritano. L’intreccio amoroso di edera e vite, acqua fiammante e Albero della Vita, e l’agitarsi del tirso, cioè la Verga di Cristo, la fiammante Parola divina, sottomette, disarma, confonde e terrorizza gli ctoni e primordiali avversari.

I satiri e le ninfe quasi non vengono intaccati dalle scuri indiane, come il cavaliere verde di Gawain nel poema trecentesco. Così la Pietra viva e la Polvere di proiezione plasmano, sottomettono e trasformano gli elementi dell’Acqua e della Terra, rappresentata dagli indiani, così il trionfo dell’Opera tinge l’acqua inferiore nel celeste vino, come nel miracolo di Cana. Gli indiani sono paragonati anche ad Ares e al ferro, e ciò richiama l’operazione degli aloidi e di Hermes che rinchiusero Ares nel vaso bronzeo per poi liberarlo.

Il Fuoco inferiore viene ermeticamente dominato e purificato e Dioniso conquista l’Elefante, segno di antica sapienza egizia, segno del Sale filosofico, associato da Bosch a Saturno trionfante. I nemici infatti non vengono solo sbaragliati ma anche trasformati e “iniziati” da Dioniso, che invia Blemys in Egitto e, attraverso le settuplici bocche del Nilo, segno della matrice ermetica dei metalli, in Etiopia. Il fluido e luminoso Mercurio filosofico scioglie e plasma la materia grezza.

o) L’episodio di Stafilo si inserisce nella tradizione delle accoglienze divine, come quella di Filemone e Bauci, celebri anche nella Bibbia come quella di Abramo e dei tre esseri angelici. Il suo palazzo ricorda quello teofanico di Elettra. Anche quì i colori sono quelli alchemici e mistici dell’Albedo e della Rubedo, del “solve” e del “coagula”. L’incitamento di Stafilo rivolto a Dioniso affinché riprenda la guerra agli Indiani inserisce la sacra processione guerresca nel quadro delle uranomachìe olimpiche dove Zeus distrugge i figli della terra. E gli Indiani rappresentano infatti una nuova espressione dei titani e dei giganti, come gigante scagliapietra è Oronte, cioè gli acidi della terra grezza che si rivoltano contro la Pietra filosofale.

Stafilo ricorda i caldi fulmini di Zeus contro la pioggia fredda e il ghiaccio di Crono (l’Acqua celeste), da qui la sintesi ermetica del Zeus di Acqua e Fuoco, e viene poi rammentato l’episodio della sconfitta della mostruosa, metamorfica, acquatica e serpentina Campe, guardiana di Ciclopi e Centimani, entità che dominava su terra, mare e aria, ma vinta dal fuoco celeste di Zeus, la vittoria di Ares sui figli di Echidna, Perseo vincitore della Medusa e del mostro marino e liberatore di Andromeda. Dioniso viene cantato come nuovo Perseo che deve liberare la “Vergine astrale” dalla prigionia degli ctoni indiani, come il Cristo dell’Apocalisse libera la Donna nel deserto dal furore dell’acqueo dragone. Fenomenale appare poi la trasmutazione di Sileno danzante in fiume durante i giochi musicali in onore di Stafilo, nei quali vengono cantati i misteri eleusini, Apolle e Giacinto, la gara fra Dioniso e Aristeo, e Ganimede.

p) Il ciclo di Licurgo invece ricorda la Fenice ermetica e infatti viene ambientato da Nonno in Arabia, l’Arabia delle piante resinose ed odorose. Licurgo è l’Uomo-Lupo che compie sacrifici umani, l’Erode dell’alchemica strage degli innocenti. La fuga di Dioniso inerme ricorda la fuga in Egitto di Cristo, e l’esodo di Mosè attraverso l’ermetico Mar Rosso. Dioniso infatti scende vivo nel Mare Eritreo, segno del Battesimo della Croce, e poi vi risale risorgendo come Fenice cristica ed ermetica. Viene accolto dalla zia Leucotea e dalla grande Madre Teti. Licurgo viene sconfitto dalla ninfa Ambrosia e dalla altre ninfe baccanti che lo feriscono fra le viti e Zesu lo acceca, mentre gli abitanti dell’Arabia di Licurgo impazziscono e uccidono i loro figli. Solve et coagula. Evaporazione e ricondensazione. E mentre gli elementi stessi dissolvono l’acido Licurgo scoppia il terremoto vendicatore e teofanico, simile al terremoto della crocefissione e resurrezione di Cristo. La follìa, controllata e canalizzata dai riti di Dioniso, si scatena, insieme al terrore “panico”, su chi rifiuta o perseguita Dioniso.

q) Deriade discende dal gigante fluviale Indo e da Helios, già sottomessi da Zeus. Dioniso lo scortica come Apollo con Marsia, come Achille con Ettore. Siccome Deriade rappresenta la Terra e l’Acqua volgari, lo scorticamento indica l’estrazione del Mercurio filosofico. La vittoria finale sull’Idaspe, uno dei quattro fiumi dell’Eden, è la terza vittoria, al definitiva, sugli indiani, dopo quella presso il lago Astracide e quella del monte Tauro, il monte del dionisiaco Toro. Al suo arrivo sul luogo di battaglia le rocce stillano miele, vino e latte, gli alberi si animano, gli elementi risuonano: la teofania di Dioniso fa vibrare tutta la natura e ricorda certe immagini bibliche sulla terra promessa e sulla venuta del Messia. I rami colano olio e lepri e cani si abbracciano come le pantere e i capretti della visione di Isaia.

La battaglia sull’Idaspe è un conflitto ermetico di elementi: il fuoco e l’aria di Dioniso ventoso contro la terra aspra e la scura acqua india. Due guerrieri simbolici dell’esercito di Dioniso richiamano la simbologia solare e lunare contro le tenebre della fosca massa indiana. L’immagine della torcia, mitraica, che tocca l’acqua facendola ribollire la ritroviamo nell’immaginario alchemico. L’eroe della battaglia è Eaco, il nonno di Achille, e viene evocata ancora una volta la potente e ninfica Teti, salvatrice di Dioniso. Se il lago Astracide era stato tinto da Dioniso con il vino, l’Idaspe viene tinto da Dioniso con il sangue degli umidi e terricoli indiani. Continua il connubio mistico sangue/vino.

r) Nell’inno di lode a Dioniso viene esaltato come superiore ad Eracle e a Perseo,e si ribadisce la sua partecipazione alla gigantomachia e alla sconfitta dei Titani. Secondo le fonti Dioniso atterra il gigante Eurito nella olimpica gigantomachia, e Nonno la sovrappone alla lotta contro gli indiani ricordando le dimensioni gigantesche di Oronte e Deriade e il carattere serpentino di certi campioni indiani, descritti anche con molteplici braccia e teste, come certe divinità del panteon induista. Questi giganti sconvolgono il corso degli astri come il drago dell’Apocalisse. Dioniso, di nascita celeste, è’ il nuovo Crono che falcia con l’edera magica le messi selvagge della Terra. Dopotutto solo lui che fu fatto a pezzi dai Titani li conosceva così bene da sconfiggerli.

Gli indiani rappresentano i giganti serpentini, la terra grezza selvaggia e umida. In effetti Perseo appare lunare rispetto al solare Dioniso e le imprese di Eracle risultano tutte assorbite e superate in Dioniso, imprendibile Pantera divina e cosmica, che riassume in se tutti gli animali e tutte le opere di Eracle nelle sue teofaniche trasformazioni e nei suoi molteplici attributi. In Cielo corrisponde a Dioniso la costellazione del Serpentario e la Corona di Arianna. Dioniso è colui che ama le corone, il solare incoronatore, come Cristo. Nella lode del canto XXV emergono anche altri aspetti importanti del mistero Dioniso come l’importanza del cosmico numero mitraico sette. Dioniso nasce di sette mesi, è connesso a Tebe dalle sette porte, ha sette ninfe nutrici, la guerra indiana dura sette anni e il suo magico e sacro scudo è articolato in sette parti, come la volta celeste. Nonno poi ricorda come la guerra indiana sia superiore alle altre imprese del mito in quanto si svolge ad oriente. Il dominio delle forze solari spetta a chi proviene da Occidente.

Nella fine si cela il nuovo inizio. Telete è il compimento. Questa è l’Opera alchemica, Settimana Santa, impresa una e settuplice per la conquista e la trasformazione del Sole in Fenice eterna. Il tirso contiene l’elixir vitae, spirito fiammante, fulmine vegetale, luce che ritorna al cielo dalla terra rinnovata, lingua di Ofione il serpente stellato che circonda l’universo. Il tirso colpisce sempre al petto, scioglie le corazze, sconvolge la mente, ferma il cuore, sprigiona l’alito di Cristo, scatena il terrore nella mischia. Il tirso è il bastone luminoso di Adamo e Mosè, serpente pietrificato pronto a inghiottire gli altri serpenti, sacra verga che spezza le rocce e fa sgorgare i liquori. Il tirso reca sulla sua sommità una punta di bronzo o una pigna, miele celeste, stella del mattino, occhio di aureo drago. Dioniso si scatena nel combattimento come vento di fuoco, imprendibile, uragano dell’etere, Quintessenza radiante, grido solare agghiacciante, presenza impalpabile ma veloce e ruggente come Pantera all’assalto.

L’Idaspe, prima tinto dal sangue, ora diventa un fiume vinoso e miracoloso, come il fiume della Vita della nuova Gesrusalemme, e alle sue acque i ciechi riacquistano la vista come nella piscina di Siloe del Tempio di Gerusalemme. Dioniso, come Eracle, sconta la furia di Hera, ma la supera grazie al sacro scudo di Efesto recatogli dall’ermafrodito e misterico Attis colui che si è fatto eunuco per il Regno dei cieli, per vivere insieme alla sapiente Rea, colui che è Zeus e Crono nel contempo. L’assedio finale ricorda l’assedio della guerra di Ilio. Lo scudo sapienziale e misterico contiene la terra e il mare al centro, il coro delle stelle con il Sole e la Luna e il celeste dragone e Oceano che abbraccia il tutto. Il Drago congiunge le due Orse e brilla di stelle emanando luce dalla bocca. Dioniso viene assimilato a Orione e si cita la Vergine (Erigone) e il Bovaro (Icario), cioè la Sapienza sposa di Dioniso e l’iniziato martire.

Le altre scene decorate riguardano la rifondazione di Tebe dalle sette porte e le rocce che vibrano per la magica musica della lira a sette corde (immagine ermetica), il mistico rapimento uranico di Ganimede, figura di Dioniso, della sua estasi spirituale e del trionfo del fuoco divino, il mito di Tilo ucciso dal serpente putrido e acido, fase alchemica, e resuscitato dall’erba della vita, come Glauco figlio di Minosse, e poi Cibele-Rea che dona la sacra e alchemica pietra a Crono (tema ricorrente nelle Dionisiache), pietra che trasforma Crono in fecondo partoriente. Con lo scudo che gli dona Rea Dioniso riesce a superare l’ostilità dei venti di Hera e del fuoco selvaggio e distruttore di Ares. Dioniso vorrebbe incatenare Ares, perché l’alchimista deve sottomettere lo zolfo volgare, il fuoco ribelle e convertirlo nel sottile e interno fuoco alchemico.

Hera domina i venti perché è la grande madre ancestrale, il cui occhio arimanico, terribile e geloso scruta tutto e vorrebbe impedire ogni teofania iranica. Ma Rea le è superiore perché detiene i riti primigeni ed è garante dell’equilibrio fra divino e umano. Rea è superiore a Hera come Eva lo è su Lilith. Perché Hera è furente contro Dioniso? Resta un mistero. Hera si scaglia contro tutte le figliolanze di Zeus probabilmente perché le teofanie di Zeus e le nuove stirpi eroiche e semidivine indebolivano l’autorità femminile di Hera incrinando definitivamente i culti femminili di origine matriarcale. L’Hera l’indifferenziata contro i culti specifici. L’apeiron contro il principio di determinazione? Il Tutto contro la separazione creativa? Resta un ampio margine di enigma.

s) Nella battaglia sull’Indo si rinnova la dimensione alchemica del combattimento. All’aurora il nero Gange diventa argenteo, e i neri Indiani sono destinati dalla imminente vittoria di Dioniso a convertirsi in bianchi di mistico gesso, di cui si tingono i satiri per il combattimento, come i Titani, come i cureti. L’Opera deve proiettare le trasmutazioni sugli elementi esterni: albedo e la rubedo allusa invece dalla pioggia rossa celeste sulla polvere nera della terra. Deriade invoca la matriarcale terra quale celatrice di Crono e dominatrice finale della vita umana. Crono, segno dell’arte regia, ricorre spesso nelle Dionisiache.

Gli indiani sono destinati a perdere in quanto, come Ares e Fetonte, i loro numi protettori, non sanno controllare il fuoco alchemico, come i volgari soffiatori. Dioniso schiera l’esercito i quattro parti: una fra le foreste del nord vicine alla celeste Orsa, una a ovest alla confluenza fra Indo e Idaspe, la terza nel golfo del sud bagnato da un mare purpureo, e la quarta ad oriente, nella pianura di canneti dove arriva il limo del Gange, simile simbolicamente al divino Nilo. In altri termini Dioniso fissa e domina i quattro elementi.

Dioniso minaccia anche di disseccare l’Idaspe e prefigura una possibile conversione di Deriade allusiva della rubedo nel passaggio dai calzari argentei a quelli purpurei di Dioniso. Demetra si schiera con Hera e Ares, Paura e Terrore a fianco degli indiani, ma questa scelta indica chiaramente la vittoria di Dioniso perché è il sangue (il vino) che dà vita al corpo (il pane di Demetra). La battaglia viene descritta come libagione sacrificale, danza rituale, mischia iniziatica. Dioniso, demiurgo del fuoco e dell’etere, scatena sette ciclopi e sette coribanti contro i nemici. I ciclopi sono descritti compiere l’opera di Zeus saettante e appaiono anch’essi figure alchemiche per unione da essi rappresentata del sole con la luna e della terra con l’occhio di fuoco. Uno di essi combatte con un dionisiaco alto pino, segno del fulmine, dell’albero della vita, dell’asse del mondo, un altro con incudine a martello, segno della folgore.

E similmente i due Cabiri con dardi di fuoco, torce di Ecate e lancia fiammante. Imeneo invece sfolgora come Fosforo, la cosmica Stella del mattino irradiante le tenebre, e saetta come Eros. Non solo quindi i satiri e le baccanti lanciano fiamme dal viso ma lo stesso fuoco celeste si unisce a quello ctonio per fiammeggiare. Torna il simbolo esoterico della torcia che sconvolge la terra umida, cioè gli indiani. I nemici appaiono sterminati nel numero e nell’indistinta massa informe da cui si differenziano solo alcuni giganti. La loro sconfitta definitiva avviene grazie ad Afrodite, altra potenza ermetica come viene visualizzato chiaramente nello Splendor Solis, il cui eco richiama Ares e lo porta lontano dalla battaglia e grazie ad Eros che fa innamorare Moreo. Dioniso e Deriade sono entrambi portatori di corna, ma Deriade è un gigante/toro fluviale e conio, mentre Dioniso è la fiamma celeste che feconda la luna.

Ancora Nonno ritorna sulla preziosità della danza rituale e della musica ritmata, la musica pirrica e alchemica dei Cureti o Coribanti, la cui danza permise a Rea la preparazione della sacra Pietra, cibo fecondo per Crono. Il misterico Aristeo combatte sotto cinque ermetiche forme: come pastore con la sacra verga, come arciere come Apollo, come cacciatore di belve, come lanciatore di macine da olio e infine come apicoltore armato di bronzeo rombo per scacciare le api/nemici. Dioniso giunge ad elevarsi come un colosso cosmico, segno dell’ebollizione ed evaporazione della Terra filosofica.

t) Giunge tuttavia l’intermezzo dell’ira di Hera e del suo inganno. Hera spinge Persefone a inviare un Erinne per far impazzire Dioniso e, munita dal cinto di Afrodite, trattiene Zeus nel talamo e, con l’aiuto di Ipnos, lo addormenta per un giorno per far vincere gli indiani. Ma Dioniso, già all’inizio del canto XXXI, viene descritto come in preda all’”incanto amoroso” della guerra indiana. Nonno usa un termine illuminante: la parola “iynx”, cioè a magìa d’amore inventata da Afrodite per Giasone e Medea. Il nome è il nome della ninfa che fece innamorare Zeus di Io e fu tramutata da Hera nell’uccello detto “torcicollo”, famoso per i suoi guizzi della testa. Il nome indica anche un oggetto rituale usato per gli incantamenti amorosi consistente in un rombo circolare e crociato con infisso lo stesso uccello, o un suo simulacro, che va fatto roteare tramite una cordicella. Dioniso diventa vittima della sua stessa esaltazione, avvolto dal suo fuoco non vede più che esso, oblìa lo scopo stesso della battaglia, cioè la vittoria. E infatti inizia a vagare per tutta l’Eritrea.

Il successivo assalto dell’Erinne armata di frusta serpentina, come l’Abraxas, non fa che dare il colpo di grazia ad un Dioniso già fuori di sé. Non fu accusato di follìa ed ebbrezza lo stesso Cristo? Non deve Dioniso provare ciò che provano i suoi adepti, le Baccanti e i Coribanti? Dioniso ritorna quindi selvaggiamente a vivere tutte le sue trasmutazioni e i suoi aspetti: cacciatore e belva, furia e vittima, toro scatenato punto dall’”estro”, cioè dalla mosca assillante di Hera, come Io, come il toro che uccise Ampelo, rivolge la propria potenza contro le sue stesse forze, contro le energie amiche della natura, animali selvatici, ninfe ed elementi. L’autocombustione di Dioniso non è che una tappa necessaria per il suo definitivo trionfo. Forse è vero anche il contrario: l’esaltazione centripeta e autogena di Dioniso porta l’armonia fra Hera e Zeus tramite Afrodite! Hera e Afrodite sono aspetti della medesima divina potenza. La terra ribolle e il fuoco viene rapito da se stesso.

Il sonno di Zeus corrisponde alla follia di Dioniso. Per un momento il Drago insonne chiude gli occhi. Questo scatena il caos degli elementi. L’ unione di Zesu con Hera avviene in modo occulto e silenzioso, fra nubi auree, come l’unione fra Zeus ed Io. L’inverno ricela Crono, il divino si riassorbe dentro se stesso, il serpente si riavvolge nelle sue spire. Il culmine della crisi misterica di Dioniso viene descritto da Nonno nell’immagine di Dioniso nei boschi, a terra fra la polvere, con la testa pesante, la schiuma alla bocca, circondato a corona dalla ninfe/baccanti. Dioniso appare come Merlino vittima della fascinazione magica femminile. È la calcinazione, la putrefazione nella cottura della pietra filosofale, la cenere prima della resurrezione della Fenice. La descrizione dell’esercito bacchico senza Dioniso ci rivela altri particolari illuminanti.

I satiri sono senza gesso e senza tintura rossa, le baccanti non sono invasate, i Pani non bevono il sangue del leone, la musica non si scatena, i coribanti non battono gli scudi risuonanti con le spade. Le baccanti diventano martiri nella battaglia, novelle Pentesilee, fanno innamorare morendo, svolgendo una funzione redentiva.

u) Nonno indugia sulla ninfa/baccante/amazzone Calcomeda, la “bronzea” come dice il suo nome. Calcomeda è una figura chiave, di transito fra Nicea e Arianna. Dalla selvaggia Nicea alla luminosa, argentea, e radiosa Arianna passando attraverso la rosea e aurorale Calcomeda: le tre fasi di purificazione del Mercurio. Calcomeda, come una delle Cariti/Grazie figlie di Dioniso, rappresenta la sintesi dell’aurea Afrodite e del ferroso Ares, segno di trasformazione metallica. E’ l’”Afrodite armata” di Sparta, che nasconde l’Oro alchemico sotto il chitone di ferro. Il veleno si trasforma in farmaco: l’inganno illusorio di Hera, che aveva evocato Calcomeda, diventa la chiave della vittoria. Tramite essa Afrodite interviene in soccorso a Dioniso: fa innamorare il gigante Morreo rendendolo inerme.

L’Amore cosmico che sottomette il fuoco tellurico di Ares. Così è l’Opera, una teofania uranica che soggioga e trasmuta gli elementi dominando Tifeo, la materia grezza e ribollente. Un mitraico serpente difende l’integrità di Calcomeda dal desiderio di Morreo, avvolgendosi attorno ai suoi fianchi come nell’iconografia di Mithra/Phanes, segno ermetico della sublimazione dello spirito dei metalli. Il serpente infatti sputa veleno, segno delle scorie della cottura. Il serpente innalzato sconfigge il serpente infero e strisciante, cioè il gigante. Calcomeda nell’ingannare Morreo consigliandolo di spogliarsi delle armi e di lavarsi nel mare, in realtà manifesta un passaggio alchemico prezioso, indicato nell’iconografia ermetica dalla figura del Re che si immerge nel mare, segno del lavaggio della Pietra.

E infatti il nero Morreo vorrebbe divenire bianco come Calcomeda. Il fuoco esausto del Sole si lava; il Sole nero ermetico si sbianca preparandosi alle nozze: la cottura dei metalli è conclusa. All’azione di Eros e Afrodite corrisponde il risveglio di Zeus che costringe Hera ad allattare Dioniso per guarirlo dalla follìa autodistruttiva. Hera lo allatta come Rea, e come già allattò Heracle di ambrosia per aprirgli la via al Cielo, come la Mater lactis di San Bernardo. Il latte di Hera è l’elixir vitae, segno della compiutezza della Pietra. La folle Hera nutre l’avverso Dioniso magagnato affinché riprenda in mano la sua vitale e vittoriosa follìa, la frusta dell’Abraxas. Al risveglio Dioniso già annunzia che il bottino di pietre preziose andrà portato alla petrosa Rea. Le scene delle baccanti imprigionate nella città indiana, una delle quali posta in un pozzo fangoso sono altre immagini della calcinatio/putrefatio. Lo dimostra anche il liberatorio intervento magico di Hermes che scioglie la prigione e addormenta i nemici, come già aveva addormentato Tifeo, salvando Zeus.

Hermes interviene alchemicamente anche nel successivo scatenarsi della battaglia, quando sembra che l’intero cosmo sia sconvolto dalla furia della mischia che coinvolge tutte le potenze divine: Hera contro Artemide, Atena contro Ares, Efesto contro Poseidone. Hermes riporta l’equilibrio fra le potenze dell’Opera e apre la strada al trionfo del Fuoco/Dioniso. La sua verga appare risolutiva ed emblematica; lì i serpenti sono in equilibrio.

v) Lo scatenarsi finale di Dioniso fa rinascere le sue trasformazioni. Ma prima lancia le sue belve: orse, pantere, e le frecce/serpenti che ricordano il caduceo e il bastone di Mosè. Dioniso è ancora folle ma della sua sapiente e radiante follìa che infuoca gli esseri e li trasforma, una follia non più implosiva e dissolutiva ma luminosa e solare. Dioniso diventa fuoco, acqua, leone, albero cosmico, pantera, ancora fuoco, cinghiale. E’ sempre il fuoco ermetico, anima mundi, scintilla che fa crescere gli alberi e le ossa, elisir vitae radiante, acqua fiammante.

La vite intrecciata all’edera quasi soffoca Deriade. La ninfa Caropia, la “scintilla”, abbatte con una pietra aguzza il gigante Collete come Davide con Golia. La pira in onore del caduto Ofelte rivela altri particolari alchemici. Fauno figlio di Circe guida le operazioni di elevazione dell’altare e l’alta lignea pira diventa albero cosmico e Fenice fiammante. Attorno ad essa vengono poste 12 teste di neri indian, cioè il caput mortuum, uccisi da Asterio, ditteo cretese, e anfore di miele e olio come nell’Antro delle ninfe di Itaca. Fauno poi unge di zolfo le pietre e unendo maschio a femmina accende il fuoco. Il nesso pietra/folgore/erba rivela la natura ermetica della pietra ignea.

La pira fiammante illumina la notte, richiama i venti, smuove la Stella del mattino. I giochi funebri in onore di Ofelte manifestano, nella corsa dei carri, una tipica cosmomachìa/cosmogenesi. Cinque i gareggianti: Eretteo, la Terra, Scelmide, l’Acqua, Fauno, il caos, Acate, l’aria, Atteone, il Fuoco. Ma, come sempre, i carri in gara indicano anche il corso degli astri. Anche i premi e certe gare appaiono fortemente simbolici. Ad esempio nella gara dell’arco il primo premio è una mulo di sette anni, e la vince Imeneo colpendo nel petto una colomba. I segni della vittoria appaiono fortemente mistico-alchemici: l’eclisse, come durante la Passione di Cristo, le stelle cadenti, come nella Melanconia di Durer, la pioggia, e l’aquila che tiene in pugno il serpente cornuto e poi lo lascia cadere nel fiume. Emblemi di Dioniso, emblemi nuziali e regali della folgorazione della luna.

Anche la digressione su Fetonte, in realtà richiama Dioniso Zagreo e Adamo, oltre a ricordare i rischi in cui incorre il seguace d’Ermete sul controllo del fuoco alchemico. Nello sconvolgimento prodotto dall’ybris di Fetonte il Leone si trova vicino alla Vergine, segno cristico, e il serpente vicino al Toro, segno mitraico e dionisiaco.

w) Nell’ultimo combattimento Dioniso si erge come roccia colossale del Parnaso, la Pietra filosofale, e vince quasi senza combattere ma solo sfiorando il petto di Deriade. La sua vittoria viene paragonata all’ermetico imprigionamento di Ares e Afrodite nella magica rete del sapiente Efesto. Le domande irrisorie e retoriche di Deriade in realtà rivelano alcune essenze di Dioniso: la varietà degli astri è proprio la nebride, panterica o cervica, del nume, la folgore il suo tirso, le nubi trasformative la sua corazza, il tuono i timpani e i tamburi bacchici. Deriade stesso intuisce il giusto parallelo fra Ganimede e Dioniso e la differenza fra Zagreo e il secondo Dionisio: la folgore.

Zagreo morì perché, come Fetonte/Adamo volle giocare con la folgore, come lui con il carro del Sole. La decapitazione misterica che infligge Eaco agli indiani, che dona gioia a Demetra e a Dioniso nel contempo, è emblema ermetico, come nello Splendor solis, analogamente ai numerosi riferimenti alla decapitazione di Medusa presenti nelle Dionisiache, segno di fecondazione della Terra filosofica, di superamento della fase della putrefatio, di trionfo dell’antimonio e del sale filofico. In conclusione l’impresa settennale indiana di Dioniso viene descritta da Nonno come un epopea mistica, teofanica e alchemica, ma anche come una sorta di palingenesi battesimale che muta l’acqua in sangue e vino, e redime la natura.

Lo Spirito, l’acqua e il sangue sono testimoni e coautori dell’Opera del purpureo Dioniso, come per il Battesimo di Cristo del Vangelo di Giovanni. Non a caso le spoglie della vittoria appaiono metalliche e petriche, multicolori, come l’irradiamento, la moltiplicazione e la proiezione ermetica. Eccentricamente Nonno accenna solo fugacemente alla vittoria, sulla strada del ritorno, contro le Amazzoni, e catapulta Dioniso a Tiro, città sacra e cosmica, patria di Cadmo. Il cerchio si chiude. Non a caso dopo il trionfo ermetico sulla terra nera e caotica, Dioniso canta la vittoria davanti ad Eracle astrochitone sul cui altare la Fenice muore e rinasce, solve et coagula, Eracle che è lo Zolfo perfetto, il Fuoco filosofico, il Sole invitto, Eros, Osiride, Mithra, cioè Dioniso stesso in forma glorificata. Il dialogo ricorda il rapporto Cristo/Dio Padre.

x) Dopo l’investitura da parte di Eracle astrochitone Dioniso contende Beroe a Poseidone. Un altro episodio di rito mistico e misterico. Beroe è un ulteriore manifestazione simbolica e sapienziale dell’Amata del Cantico dei cantici di Salomone. Beroe è la porpora ermetica, segno di metamorfosi dal sale al sangue. Corrisponde a quella immagine ermetica in cui Afrodite marina tocca con la torcia il mare facendolo ribollire, cioè estrae il sale filosofico e lava lo zolfo. Le pagine sulla fondazione di Berito svolgono una funzione di evocazione cosmogonica dove ancora una volta Crono e Aion appaiono essenziali e prioritari. La stessa ennesima citazione della Pietra ingoiata (e cotta nel ventre alchemico) da Crono, feconda delle nuove potenze divine, nate due volte, come Dioniso, ci ricorda che Nonno intesse tutta la sua opera di allusioni simboliche ed alchemiche.

Così si dica per la nascita degli abitanti adamitici di Berito, estratti e plasmati dal fango e sostanziati dalla fusione dei quattro elementi. Viene poi citato ancora una volta il Palazzo di Armonia con le sue fatali Tavole, che ricordano i tarocchi e le miniature dello Splendor solis. Nella battaglia il mare viene battuto con la verga bacchica come Mosè batte il Nilo. Dioniso e le baccanti dal fiammante collo (evaporazione e sublimazione dell’athanor) camminano sulle acque, e l’intento ermetico è di pietrificarlo. Consegnate le spoglie preziose alla petrosa Rea, mandante della sua divina missione, Dioniso invade la Grecia per convertirla, per unire Occidente a Oriente.

Nell’impresa di Tebe invece il sacro e cosmico Palazzo viene fatto risuonare e vibrare dall’irradiazione di Dioniso, il quale, in una Pentecoste ante litteram, accende fiamme e luci dentro la notte del Palazzo. Muggiscono tori, rimbombano tuoni, sprizzano scintille che si accrescono con l’acqua, e la statua di Atena suda e sanguina. Sembra la teofania dell’Arca dell’Alleanza. Dioniso appare la Fenice alchemica che rinasce dalla cenere divina, cenere di fulmini. Anche nel ciclo bretone si riscontra l’aspetto misterico del Palazzo fatto risuonare e liberato dalle tenebre. La Luna è amica di Dioniso, sia per la follìa che per la crescita della vegetazione, e il comune rapporto con il Toro.

Il baccanale sul Cicerone ricorda le teofanie bibliche con le rocce che risuonano (Elìa), gli alberi che fan festa (Isaia), e Dioniso appare quale “roveto ardente”, e quale salvato alla nascita come Mosè. Le resistenze di Penteo servono solo a glorificare ancor di più Dioniso che, come Cristo, attraversa le porte chiuse e scioglie le catene mentre le porte fremono, le case diventano trombe di pietra, scoppia un cristico terremoto, e addirittura una baccante stilla latte di vergine. Nonno inserisce il racconto dell’episodio del rapimento di Dioniso da parte dei pirati etruschi. Avviene una vera e propria cristica trasfigurazione: il viso appare di smeraldo e incoronato di rubino, il vestito è di porpora. L’albero diventa un cipresso avvinto d’edera, compaiono cristici e alchemici leoni e tori sul ponte, e dalla poppa scorga una sorgente, sul timone la vite.

La nave è la Chiesa dei salvati, come la nave salomonica di Galaad. Rose e gigli sul mare. Non solo: Dioniso sulla simbolica nave nave con gli animali è anche Noè/Deucalione. Tornando a Tebe, il sacrificio di Penteo, nato dal dente di drago, vestito da donna, come Eracle e Achille, viene fatto alla base del pino sul quale era salito, che viene unto con sangue di Gorgone e sul cui tronco viene infitto il coltello macchiato dal sangue di Itilo. L’albero insanguinato confitto ricorda l’albero di Melampo e l’Albero di vita del Vello aureo. La strage della stirpe di Cadmo viene compensata dalla metamorfosi di Cadmo e Aromia di due marini serpenti di pietra, simili alla misterica collana dono nuziale di Efesto/Afrodite. La festa in Tebe riecheggia i tempi messianici della Bibbia: le isole cantano e si allietano, Ortigia urla! L’ultima conquista è l’Argo di Hera e di Perseo, il lunare, pelasgico e ambiguo Perseo.

Le due figure vengono contrapposte ma in realtà presentano molti aspetti analogici: la falce di Perseo e l’edera e il tirso che falciano di Dioniso, la potenza di pietrificazione, l’uccisione di mostri serpentini (Medusa e i Giganti) alla cui potenza ci si allea (la testa di Medusa e le anguicrinite baccanti) il librarsi nell’aria, la figliolanza di Zeus. Chiaramente Dioniso appare superiore in quanto partecipa della divinità completa di Zeus, ma è necessario un accordo con Perseo/Hera/Apollo, mediato dal sapiente Melampo. Uno dei segni di superiorità ed unicità di Dioniso insiste nell’essersi allattato, lui solo, al seno della potente e misteriosa Rea, Regina delle rocce e Madre dell’Olimpo, oltre che a quello di Hera come Eracle.

Dioniso si trasfigura colossalmente un altra volta fino a toccare il sole e la luna con la mano destra, immagine alchemica, e risulta immune dalla pietrificazione di Medusa grazie al diamante, segno della folgore e specchio riflettente salvifico, come per Zagreo e Perseo. L’ermetica pietrificazione colpisce però Arianna, in armi, come tutte le ninfe bacchiche, la quale viene trasformata nella corona boreale. Dioniso è anche “colui che ama le corone”, da quelle nuziali a quelle sacrificali. Ariana vittima offerta ad Hera, e vicino alla sua statua si colloca la nuova statua della fanciulla. Le potenze alchemiche germinano la pietra di vita: Cadmo, Armonia, Arianna, Medusa diventano pietre eterne.

Dioniso combatte Perseo con il fuoco, le torce, e il tirso, rigenerato dal fuoco come la Fenice, sfolgora da Oriente ad Occidente come il Cristo della Parusia, come il Sole ermetico si manifesta più forte della Luna. Come Eracle conduce il “solve et coagula” delle due alchemiche e bibliche colonne. L’ultima impresa del nume rinnova le gesta di Zeus e l’epopea indiana nella sua gigantomachia personale. I giganti dalle mille mani sollevano e scagliano monti simbolici: il Nisa, il saturnino Pelia di Chirone e Fillira (un altro “antro delle ninfe”) e l’Emo di Tifeo. La terra ribolle e diventa volatile. Dioniso usa per la prima volta la spada e ricorda le gesta di Eracle contro l’Idra di Lerna. Dioniso non può usare i fulmini di Zeus ma diventa tutto fuoco. Ciò ricorda S. Paolo che parla di Dio come di un”fuoco divorante”. Sconfitti i giganti libera Pallene dalla schiavitù del possessivo Sitone (l’incesto ermetico), figlio di Ares, che appende le teste tagliate, putrefatte, dei pretendenti della figlia alle porte del Palazzo, il “caput mortuum” alchemico.La Vergine guerriera appare nuda, oleosa e ricoperta da cinghie di cuoio rosso, e appare come un'altra Armonia.

Efesto legò Ares e Afrodite nella sua ermetica rete dopotutto! Il sempre più veloce e fulmineo Dioniso vola in Frigia dalla sua Rea e lì si unisce alla titanica Aura, nuova Nicea, Vergine/Madre, versione femminile di Atteone. Come lui infatti guarda Artemide nuda e addirittura la tocca e la invita a convertirsi ad Afrodite. Questa colpa di ybris viene vendicata da Nemesi, dalla serpentina frusta e dal carro di grifoni, tramite Dioniso. La ninfa lunare viene disarmata e posseduta mentre dorme. Anche questo sembra un rito, ricordale le immagini dei satiri che si uniscono con le ninfe dormienti, e in particolare l’episodio di Pan che si unisce a Selene coprendosi con un vello candido, come i Titani di calce. L’unione di Dioniso ad Aura è presenta quindi anche un allusione all’incesto ermetico, perché Semele è Selene! Anche il dettaglio dell’arco involato da Dioniso nel cavo della roccia allude a sensi misterici.

Dall’unione con Aura nasce Iacco, allattato da una pantera. Dopo l’aurorale e diurno Zagreo, Fetonte dei fulmini, e il notturno Dioniso, si manifesta il terzo Dioniso, Iacco di Eleusi, lo Spirito Santo. La trinità di Dioniso richiama quella cattolica. Aura appare la tipica ninfa bacchica: furiosa, cacciatrice, dura, forte, paragonata ad un orsa, ad una leonessa, ad un pino, ad una quercia, libera, diventa ancor più bacchica e ossessa una volta sverginata da Dioniso. Addirittura compare Arianna in sogno a Dioniso rinfacciandogli la sua infedeltà e paragonandolo a Teseo.

Come Teseo possiede il filo, così Dioniso possieda la conocchia. Sembra un allusione sapienziale. Dopo Eracle e Perseo, Dioniso assorbe in sé anche Teseo, e diventa così la summa della dimensione semidivina ed eroica antica. Dioniso per la Grecia come Mosè e Noè per Israele. Secondo le fonti l’ultimo atto terreno di Dioniso è la discesa nell’Ade per liberare la madre lunare Semele e portarla in Cielo, come Cristo libera e salva Eva prima di risorgere. Avviene infine, a compimento dell’apocalisse bacchica, la fulminea apoteosi di Dioniso, che sale a condividere la mensa di Zeus e si asside fra gli amici Apollo ed Hermes.