E così questa è l'era dell'uomo. Se nel lontano passato glaciazioni e altri forti mutamenti climatici, insieme ad impatti di asteroidi e violente attività vulcaniche, hanno a più riprese alterato l'equilibrio della Terra, oggi è proprio l'uomo ad essersi impadronito del pianeta che gli ha dato i natali e a determinarne le trasformazioni.

Noi che abbiamo usato la nostra intelligenza per crescere, aggiungendo successi a successi, stiamo ormai assistendo impotenti alla nostra sconfitta più crudele e dolorosa perché sfruttando in maniera incontrollata le risorse che la Terra ci ha messo a disposizione uccidiamo anche noi stessi. La storia purtroppo è ormai nota: siamo cresciuti troppo, sia in numero che in consumi, e stiamo letteralmente "mangiandoci" il pianeta. Tra deforestazioni e estrazioni minerarie abbiamo distrutto interi habitat. Per la nostra alimentazione utilizziamo i due quinti delle terre libere da ghiacci, mentre aumentando la concentrazione di biossido di carbonio e altri gas nell'atmosfera stiamo modificando il clima. Voilà, il piatto è servito. Abbiamo piegato le forze della natura ai nostri bisogni e le conseguenze sono ormai tali da alterare l'intero ecosistema, fino a dare origine a una nuova epoca geologica. Gli scienziati l' hanno chiamata Antropocene ed è l'era in cui l'uomo rimodella la Terra, modificandone i sistemi fondamentali.

L'inizio viene stabilito intorno alla metà del '900, in corrispondenza dei test nucleari nell'atmosfera e più o meno quando cominciano ad individuarsi nelle rocce i radionuclidi - particelle ionizzanti ad alta energia - provenienti dallo scoppio della prima bomba atomica. Un'epoca, questa dell'Antropocene, in cui la nostra voracità porta anche alla scomparsa di numerose specie viventi. E se la quinta, e fino ad oggi ultima estinzione, segnò la fine dei dinosauri, ormai 65 milioni di anni fa, ora siamo attori e spettatori della sesta estinzione.

Da che mondo è mondo nuove specie si evolvono, prosperano e poi, per qualche ragione si estinguono. Ma secondo l'Unione Internazionale per la Conservazione della Natura oggi la velocità di estinzione sarebbe addirittura 1000 volte superiore al tasso naturale. Solo negli ultimi 500 anni è accertato che l'uomo ha portato all'estinzione, a causa della caccia o della riduzione degli ecosistemi, di 869 specie. E quelle in pericolo, tra piante e animali, sono adesso quasi 17.000.

(Marco Cattaneo, direttore di National Geographic Italia)

Questo e molto altro ci racconta la mostra Explore: pianeta Terra, in corso a Palazzo Blu di Pisa, dove le strepitose foto del National Geographic ci parlano della storia del nostro pianeta, della sua strordinaria unicità e bellezza, del lungo cammino geologico che ha percorso e, insieme, anche delle grandi esplorazioni dell'uomo e della sua relazione con la natura.

«Via via che la nostra presenza diventa più ingombrante, si fanno sempre più angusti gli spazi a disposizione di una natura che l'evoluzione ha pazientemente plasmato per oltre 4 miliardi di anni», ricorda Cattaneo, curatore della mostra. «Con queste immagini e con questo racconto vogliamo stimolare la consapevolezza di quanto sia prezioso e fragile il mondo che ci circonda e invitare le persone a prendersi cura del pianeta». Ed allora eccole alcune "cartoline" arrivate dal passato, come la "passeggiata dei dinosauri". È la più lunga mai scoperta e proviene dal sito minerario di Cal Orcko, in Bolivia. Sono 5055 impronte appartenenti ad almeno otto specie di dinosauri, vissuti 65 milioni di anni fa e oltre. Ed ecco anche le impronte lasciate da qualche "signore" di 12.000 anni fa in Tanzania nella cenere vulcanica dell'Ol Doinyo Lengai. In tutto sarebbero una dozzina, tra adulti e adolescenti, diretti chissà dove. Spostandoci nell'attuale Turchia incontriamo il più antico centro rituale conosciuto, quello di Gobekli Tepe, con le sue colonne vecchie di 12.000 anni, e quindi ancora più lontano da noi rispetto a Stonhenge, da cui ci separano appena 4000 o 5000 anni.

È una storia meravigliosa quella che la nostra Terra ci racconta. Basta guardare la sequoia gigante, chiamata amichevolmente "the President", che si innalza per 75 metri nel Sequoia National Park della California. Ha 3200 anni, un tronco di 8 metri di diametro ed è la terza pianta più grande del mondo. Ma anche gli alberi di acacia in Namibia, le dune di sabbia della penisola arabica, le gigantesche formazioni di selenite in Messico, la foresta pluviale di Odzala, in Congo, le felci e le orchidee del parco nazionale di Yasuni, in Ecuador, sono tra i non molti sopravvissuti al nostro incontenibile desiderio di "occupare" il pianeta. «Le foreste producono il 30% dell'ossigeno, quindi andrebbero trattate con il dovuto rispetto», ammonisce Cattaneo. «Purtroppo la deforestazione procede a velocità allarmante. È vero che oggi i ritmi si sono un po' abbassati, ma siamo ancora lontani dal Piano delle Nazioni Unite che prevede di aumentare la superficie forestale del 3% entro il 2030».

Vittime inconsapevoli dei nostri colpevoli "appetiti" ci sono anche gli amici animali. Sudan, l' ultimo rinoceronte bianco settentrionale maschio del pianeta è morto in Kenia, mentre un ranger cercava di confortarlo, come avrebbe fatto con il suo migliore amico. La foto è di quelle commoventi e commovente è anche il tentativo estremo di non far scomparire la specie. «Sono rimaste ancora in vita due femmine. Stanno cercando di farle riprodurre recuperando il Dna molecolare di Sudan», spiega Cattaneo. «È la stessa tecnica usata per ottenere la pecora Dolly». Ma anche se l'esperimento dovesse riuscire, sarà davvero difficile recuperare la specie. Nessuna speranza, invece, per la Colomba migratoria, la specie di uccelli più numerosa che si conoscesse. Ce n'erano 3 miliardi in Nord America nel 1833. Nel 1914, a distanza di appena 80 anni, l'ultimo esemplare, Marta, è morto nello zoo di Cincinnati. Ora possiamo vederla solo imbalsamata al museo dell'Università del Nebraska. «Pensavamo di poter usare tutto perché tutto sarebbe rimasto», è il commento del direttore del National Geographic Italia. «Ma non è così. Ci sono decine di migliaia di specie in pericolo a causa della caccia e della perdita di equilibrio dell'ecosistema. Si calcola che il tasso di estinzione sia da cento a mille volte superiore rispetto a quello naturale».

Così siamo arrivati all'Antropocene e le immagini dell'impatto dell'uomo sul territorio sono drammatiche. Montagne di avorio sequestrate ai bracconieri vengono distrutte con il fuoco nel parco nazionale di Nairobi, in Kenia, nel tentativo di bloccare un lucroso traffico illegale. La diga di Nurek, in Tagikistan, è la più alta del pianeta e ci ricorda delle altre sessantamila in tutto il mondo che hanno cambiato il flusso naturale dei fiumi per sfruttare l'acqua. Il lago di Aral, tra Uzbekistan e il Kazakistan, tra i più grandi del mondo, si è prosciugato a causa dello sfruttamento delle risorse idriche dei due immissari principali. Impressionante la flotta di navi che trasportava tonnellate di pesce ogni anno, ormai arrugginita e arenata nella sabbia di quello che fino agli anni Ottanta era il fondale del lago.

Inevitabile, la consueta domanda: che fare? La Terra rischia la vita e noi con lei. L' uomo e la sua scienza sono responsabili della distruzione del pianeta in atto ed è ancora la scienza a dover trovare soluzioni appropriate e veloci.

«Dobbiamo imparare a coltivare meglio", chiosa Cattaneo. «E dobbiamo imparare ad usare le risorse fino all'ultima possibilità». Lo dice mostrando l' immagine di una passerella con strutture a energia solare nel parco Gardens by the Bay a Singapore e la passerella a spirale alta 45 metri con cui è possibile visitare una foresta alla porte di Copenaghen. E la carne sintetica va nella buona direzione? Il direttore del National Geographic Italia risponde così: «Io sono un onnivoro con problemi etici: da una parte rinunciare alla fiorentina non mi fa piacere, ma la sola idea che possa essere evitata la sofferenza degli animali mi solleva. Sul piano ambientale sappiamo che l'allevamento di bovini ha un impatto enorme. Basti pensare che sono necessari mille litri d'acqua per ogni kg di carne di manzo. Non è ancora ben chiaro, ma sembra che la carne coltivata sarebbe molto conveniente su scala mondiale. È presto per dare un giudizio definitivo, ma dobbiamo valutare bene tutti gli strumenti a disposizione per cambiare le cose».