In molte specie animali, soprattutto nelle scimmie, la cooperazione alimentare è largamente diffusa mentre nell’uomo non sempre lo è, e quando lo è funziona male; ecco perché nel mondo alcuni bambini muoiono di fame e altri sono paurosamente in sovrappeso, creando notevoli problemi sanitari, soprattutto in Europa e in Nord America. Questo non è un trattato breve di politica alimentare (non avrei le competenze per scriverlo), ma vorrei comunque suggerire che osservando il comportamento cooperativo alimentare nelle scimmie potremmo capire molte cose.

Innanzitutto gli animali non manifestano sempre comportamenti ripetitivi o, come si dice, istintivi, ma hanno la capacità di ragionare, hanno una teoria della mente, pianificano le loro strategie, hanno auto-consapevolezza e la possibilità di trasmettersi culturalmente molti comportamenti, inclusa la diffusione di alimenti mai sfruttati prima attraverso l’uso di strumenti usati intelligentemente allo scopo (pietre su misura per spaccare noci che non si possono aprire con i denti).

Ovviamente non tutti gli animali lo fanno allo stesso livello: non si può certo paragonare il comportamento delle termiti in un termitaio con quello di un gruppo di scimpanzé in aperta savana. Molto dipende dalla loro collocazione nella scala tassonomica e dall’evoluzione del loro cervello, senza togliere niente a nessuno, nemmeno a quell’animale che nel suo sistema nervoso centrale ha solo un centinaio di neuroni. Per quanto riguarda la collaborazione alimentare, certamente le formiche non collaborano come i corvi e i corvi come i leoni e i leoni come gli scimpanzé. Su questo punto è necessario fare chiarezza, altrimenti potrebbe passare l’idea che tutti gli animali siano uguali. Esistono delle differenze che sono legate alle loro capacità cognitive e intellettive.

Da questo punto di vista l’uomo è l’animale più complesso, seguono le scimmie antropomorfe e poi tutti gli altri animali. Ciò non vuol dire che l’uomo debba sentirsi privilegiato per queste qualità superiori che, come vedremo tra poco, non ci hanno sempre arrecato dei grandi vantaggi. Ogni animale ha una sua intelligenza che gli consente di vivere bene nel suo ambiente: la formica nel suo formicaio, un leone nel suo branco e l’uomo nella sua società (o così dovrebbe essere). A un leone non servirebbe a niente l’intelligenza di un essere umano: non l’aiuterebbe a cacciare una gazzella e, se è un leader, nemmeno a tenere unito il suo gruppo di appartenenza.

Tornando alla cooperazione alimentare e a tutto quello che si è anticipato, dobbiamo fare delle distinzioni. Le alimentazioni negli animali non sono tutte uguali: possono per esempio essere insettivore, folivore, frugivore od onnivore (come nell’uomo, nella volpe, nel riccio, nel cane e in vari altri animali). In diversi casi, anche per gli animali, scimmie in particolare, l’alimentazione può essere mista: il Microcebo murino, che è una proscimmia del Madagascar, si alimenta di frutta, fiori e insetti; il Galagone di Zanzibar (anch’essa un proscimmia) mangia frutta e insetti; il Macaco del Giappone è invece principalmente folivoro; lo Scimpanzé comune è essenzialmente frugivoro, anche se non disdegna la carne di altri animali, soprattutto quella di un’altra scimmia, il Colobo rosso, che sopprime attraverso delle vere e proprie battute di caccia; il Gorilla, vegetariano per eccellenza, si nutre di una quarantina di specie di piante diverse.

Abbiamo voluto fare queste distinzioni perché esse hanno a che fare con i comportamenti cooperativi alimentari e quindi con la distribuzione del cibo tra i membri di una comunità, piccola o grande che sia: il babbuino vive in gruppi che a volte possono essere costituiti da più di cento unità, mentre quelli dell’orango da due a sei unità.

Noi uomini siamo un’eccezione perché la nostra società, con tutte le dovute differenze etniche, linguistiche, religiose e di disponibilità economiche e di benessere, è costituita da tutti gli abitanti della Terra e attualmente abbiamo raggiunto il traguardo di circa otto miliardi, una cifra enorme che sta diventando sempre più insostenibile.

Attenzione: la cooperazione alimentare, o la sua mancanza, tra gli uomini a causa di guerre, sopraffazioni, corruzioni, dittature e capitalismo sfrenato e senza regole non è sempre correlata al numero degli abitanti sul nostro pianeta, ma anche all’evoluzione del nostro cervello che, in poco più di quattro milioni di anni, considerati i nostri più lontani antenati, è passato da circa 350 o 450 centimetri cubici a 1250 o 1450 centimetri cubici.

Nessun altro animale ha subito uno sviluppo del cervello di questa portata. Se fosse successo, ad esempio, agli scimpanzé, che per circa sette milioni di anni hanno mantenuto il volume del cervello (400 centimetri cubici circa), sarebbero al posto nostro e noi al posto loro, ammesso che nel frattempo non ci avessero annientato o fatto morire di fame, come noi ora stiamo facendo con loro.

In sostanza l’evoluzione troppo rapida del nostro cervello, nelle dimensioni sopra indicate, non ha consentito di mediare sempre e positivamente i nostri rapporti interpersonali: il cervello è molto più complesso di quelle che possono essere le nostre dopotutto limitate capacità di sfruttarlo cognitivamente e intellettivamente al meglio. La conseguenza è stata proprio una pessima suddivisione del cibo sulla Terra tra tutti i suoi abitanti. Se avessimo sfruttato meglio i neuroni che abbiamo a disposizione (circa 100 miliardi), avremmo capito che una ripartizione più equa del cibo sarebbe stato un bene e un vantaggio per tutti.