Uscito in sala nel 1995, Dead Man è divenuto fin da subito uno dei titoli più iconici e famosi del regista statunitense Jim Jarmusch. Ciò in virtù di una serie di aspetti, come l'incontro con un genere, il western, profondamente lontano da quello dei suoi precedenti lavori.

Se fino a Taxisti di notte (1991) lo sguardo del cineasta si era concentrato sui reietti, sugli ultimi e sulle categorie stigmatizzate, offrendo un quadro disilluso e post-american dream della società, nel nuovo lungometraggio decide di interagire con un mondo lontano. Un mondo che, pur pescando dalla iconografia ottocentesca mentre all'orizzonte si staglia il nuovo millennio, riesce comunque a mantenere alcune coordinate vitali della poetica del regista.

William Blake (Johnny Depp) è il protagonista del racconto, un contabile che dopo la morte dei genitori sceglie di lasciarsi tutto alle spalle e di andare in cerca di fortuna nel West. Vale subito la pena evidenziare come tale personaggio, al pari di Jarmusch, sia originario dell'Ohio; ciò crea un'interessante analogia tra i due: se il primo abbandona fisicamente la propria casa quando sceglie di trovare lavoro altrove, il secondo trasloca dalla propria zona di comfort cinematografica proprio nella creazione di questo film.

Un altro elemento che riecheggia con vigore già nelle prime battute è quello della morte. Oltre al titolo, che funge da convitato di pietra nella narrazione e che preannuncia una permanenza tutt'altro che gradevole nei nuovi lidi, non mancano alcuni cattivi presagi nell'avvicinamento che William Blake compie in treno. Come lo strano discorso del fuochista, che pare essere riemerso dagli abissi infernali anziché da una sala macchine; o la destinazione del protagonista, la piccola Machine, che viene indicata quale ultima fermata.

O, ancora: la futile sparatoria che viene effettuata, verso dei bisonti, direttamente dai vagoni del mezzo; una bara aperta in bella vista nel paese di Machine; un rudimentale passeggino adibito a raccoglitore di ossa e corna; infine, i numerosi teschi appesi lungo la strada principale del piccolo agglomerato cittadino.

L'impalcatura proposta da Jim Jarmusch mostra una grande conoscenza del genere, con una rielaborazione in chiave postmoderna di topos ricorrenti. Gli spaghetti western, in particolar modo, hanno reso quasi imprescindibile la presenza di un'oscura ombra mortifera attraverso vari espedienti scenografici e contenutistici. Ma anche il contrasto tra est ed ovest, tra moderno e selvaggio, qui rappresentati sia dai dualismi più canonici del genere - come quello tra il progresso tecnologico ed una certa rusticità - che dal primo approccio di William Blake con il West.

La parabola del protagonista ripercorre, infatti, il sentiero tracciato da alcuni illustri predecessori, come il Ransom Stoddard (James Stewart) de L'uomo che uccise Liberty Valance (John Ford, 1962). Anch'egli, giunto nel West per trovare un'occupazione, si era ritrovato ben presto a dover fronteggiare una certa ostilità, espressa non solo da alcuni banditi ma, più in generale, da una società costituzionalmente incapace di ragionare in termini normativi e burocratici.

Jarmusch non tarda però ad immettere nell'opera una serie di elementi che la allontanano rapidamente dai binari più tradizionali del genere. A partire dalla quasi totale assenza di grandi spazi aperti, con ampiezza e profondità di campo che sovente risultano depotenziate dalle foreste, dalla morfologia del terreno e da inquadrature ravvicinate sui personaggi; diversamente, l'uso del bianco e nero non costituisce un vero stravolgimento del genere, al pari del rapporto amicale che William intesse con il nativo americano Nessuno (Gary Farmer).

La grande originalità dell'opera risiede anche, se non soprattutto, nella chiave di lettura onirica che pervade tutto il lungometraggio. William Blake, dopo essersi macchiato di omicidio ed essere stato ferito, si vede costretto a trovare rifugio lontano da Machine; in tutto ciò, giunge inaspettatamente in suo aiuto il sopracitato Nessuno. Questi, colpito dall'omonimia che l'uomo condivide con il noto poeta e pittore britannico, si convince di come il William Blake che si trova dinanzi sia una vera e propria reincarnazione di quell'uomo del quale aveva letto tante poesie.

Da questo momento, il film assume un peculiare andamento surreale e psichedelico, che poco ha a che vedere con un genere notoriamente ben saldo su contenuti tangibili, terreni e concreti. Il coprotagonista non esita, dal momento dell'epifania, a consegnare alla storia anche alcuni versi estrapolati dal genio letterario di Blake, come: "Nascono alcuni al soave diletto, nascono alcuni a infinita notte", passaggio derivato dalla poesia Auspici di innocenza (1803 ca.).

Il matrimonio del cielo e dell'inferno (1790 ca.), la pubblicazione più nota di Blake, è a sua volta soggetta ad un tributo da parte del nativo americano, che nella pellicola rievoca uno dei più noti proverbi infernali: "L'aquila non perse mai tanto tempo come quando si lasciò insegnare dal corvo".

Tale raccolta di testi in prosa diventa anche un interessante strumento di rilettura dei singoli episodi filmici: "Aspettati veleno dall'acqua ferma" è una frase che avrebbe potuto pronunciare il cacciatore di taglie Cole Wilson (Lance Henriksen) per avvisare il giovane Johnny Pickett (Eugene Byrd) di non bere da una pozzanghera. "Qualsiasi cosa che si possa credere, è immagine di verità" pare invece il sottotitolo perfetto per le convinzioni maturate da Nessuno.

La carica simbolica dell'opera passa anche attraverso una inedita resa semantica di alcuni elementi. Il tabacco è quello che giova maggiormente di tale reinterpretazione, diventando oggetto di una costante richiesta nei confronti di William Blake, nonostante questi ricordi insistentemente di non essere un fumatore. Solo il finale di pellicola riuscirà a fare parzialmente luce su tale richiesta, lasciando comunque un certo grado interpretativo allo spettatore.

Un epilogo che si ricollega magistralmente alla sequenza d'apertura: la struttura circolare della narrazione permette, infatti, di unire le prime frasi pronunciate dal fuochista con gli eventi che sigillano il prodotto nella sua conclusione. La dimensione onirica e psichedelica giunge qui a piena maturazione, consegnando allo spettatore una profonda riflessione sul significato del lungometraggio e sulla (a)temporalità dell'opera.

"Se si pulissero le porte della percezione, ogni cosa apparirebbe all'uomo come essa veramente è: infinita". Quello che è probabilmente l'estratto più famoso dell'opera di Blake, capace di influenzare numerose personalità nelle generazioni a venire (tra cui Aldous Huxley e Jim Morrison), costituisce anche la miglior sintesi del lungo cammino del protagonista in Dead Man.