“Morte dal mare ti verrà, molto dolce, a ucciderti vinto da serena vecchiaia, mentre beati intorno i popoli vivranno”. Questa è la profezia che l’ombra dell’indovino Tiresia fa a Odisseo nel nono libro dell’Odissea. Una profezia che ha da sempre stimolato la fantasia di antichi e moderni, anche per via della difficoltà di dare un’interpretazione univoca alle parole di Tiresia. Il testo greco inoltre presenta una maggiore ambiguità: Thanatos ex alòs può significare sia “morte proveniente dal mare” che “morte lontano dal mare”.

Come muore, quindi, l’astuto re di Itaca? Omero conclude la narrazione delle gesta dell’eroe col suo ritorno a Itaca. A noi moderni è familiare la versione che ne dà Dante nel canto ventiseiesimo dell’Inferno: Ulisse, spinto dalla sua insaziabile sete di sapere, si spinge oltre le Colonne d’Ercole e naufraga dinanzi alla montagna del Purgatorio. Ma questa versione proviene dalla fantasia di un uomo del Medioevo che conosceva Omero solo attraverso la mediazione di Virgilio, Ovidio e altri poeti latini.

Inoltre Dante pone il viaggio fatale di Ulisse subito dopo il suo soggiorno da Circe, divergendo quindi del tutto dal mito omerico originale. Per capire come è morto Ulisse dobbiamo rivolgerci agli antichi. E vedere cosa ne scrivevano loro. E qui troviamo, in realtà, tradizioni oscure e contraddittorie. Esisteva un poema, attribuito ad un certo Eugammone di Cirene, chiamato Telegonia di cui restano solo un paio di frammenti e un riassunto.

Secondo questo poema, Ulisse avrebbe avuto un figlio da Circe, nato dopo la partenza del padre dall’isola della maga, e chiamato Telegono (in greco “nato lontano”). Costui, fattosi adulto, si sarebbe recato alla ricerca del padre approdando a Itaca e cominciando a razziare il bestiame. Ulisse sarebbe accorso in difesa della sua terra e il figlio lo avrebbe accidentalmente ucciso con la sua lancia che aveva come punta il pungiglione di una razza. Quest’ultimo particolare era interpretato dagli antichi come la famosa “morte dal mare” profetizzata da Tiresia. Telegono avrebbe poi sposato Penelope e Telemaco avrebbe sposato Circe.

Questa è la versione più nota nel mondo antico. Solitamente gli autori classici accettano questa come la versione canonica della morte di Odisseo: esistevano due tragedie perdute che raccontavano questo mito: l’Odisseo colpito dalla spina di Sofocle e i Bagni del tragico latino Pacuvio, entrambe perdute, mentre recentemente questo mito ha ispirato la scrittrice americana Madeline Miller nel suo Circe. Licofrone, nella sua Alessandra, sviluppa ulteriormente il mito: Ulisse sarebbe stato resuscitato da Circe e poi si sarebbe stabilito a Cortona, dove avrebbe poi incontrato l’antico nemico Enea stabilendo con lui un’alleanza: i popoli etruschi avrebbero venerato Ulisse quasi come un dio, dandogli il soprannome di Nanas, ovvero “l’errante”. Telemaco avrebbe ucciso Circe, e Ulisse sarebbe morto di dolore vedendo quei drammi familiari, e sarebbe stato quindi sepolto a Cortona.

Comunque il mito di Telegono pare “posticcio”. In gran parte contraddice lo stesso Omero, che parla di morte “molto dolce” mentre la ferita da aculeo di razza è estremamente dolorosa. Pare, questo di Telegono, una tarda riproposizione del mito di Edipo, e lo stesso nome di Telegono pare nient’altro che un “doppione” del nome del figlio più noto di Odisseo, Telemaco. Quasi una specie di lato oscuro del figlio legittimo di Odisseo, così come Circe appare come il contraltare oscuro di Penelope.

Secondo l’erudito latino Plinio il Vecchio Ulisse sarebbe semplicemente morto di vecchiaia. E quella di Plinio parrebbe l’ipotesi più vicina all’omerica profezia di Tiresia, a patto di interpretate quel “morte dal mare” come “lontano dal mare”.

Curioso pensare come Plinio il Vecchio poi morirà in una maniera simile a quella dell’Ulisse dantesco, travolto dall’eruzione del Vesuvio che, per sete di conoscenza, voleva vedere da vicino: Ulisse muore in acqua, Plinio nel fuoco, ma tutti e due spinti dalla curiosità.

Curiosamente non esistono praticamente rappresentazioni artistiche antiche della morte di Odisseo, mentre ne esistono della morte di Achille o di Eracle. Si ha come l’impressione che agli Antichi ripugnasse parlare della morte di questo eroe. Ed è paradossale, perché Odisseo è stato un personaggio più amato dai moderni che dagli antichi. Se si esclude Omero che ne fa il suo eroe prediletto assieme ad Achille e Platone che lo vedeva come il tipo del filosofo, gli autori antichi guardavano con sospetto: Sofocle, Euripide e Virgilio lo vedono in luce negativa.

Ma probabilmente anche quelli che lo odiavano intuivano l’importanza dell’eroe: Ulisse, l’eroe dell’intelligenza e della curiosità, è l’eroe che ha posto le basi della “mente occidentale”: si può dire che senza l’Odissea non ci sarebbero stati Cristoforo Colombo e lo sbarco sulla luna.

E quindi si ha quasi paura a parlare della sua morte, è un argomento che si preferisce evitare. E questo l’ha intuito uno scrittore popolare, Valerio Massimo Manfredi, che nel suo L’oracolo immagina un Odisseo immortale che viaggia attraverso i secoli.