Ahmad Jamal pur non essendo più in attività, rimane un beniamino di pubblico e critica. L'ultranovantenne maestro dello swing, già nel 1958 era considerato un pianista innovativo e leader di un trio di riferimento, grazie all'album dal vivo At the Pershing: But Not for Me, spesso citato fra le registrazioni di maggiore influenza dai suoi colleghi.

Già prima di allora, Miles Davis lo aveva indicato come una delle principali ispirazioni sul suo stile di ballata, citandone il fraseggio spazioso ed il tocco morbido. Miles disse al suo pianista dell'epoca, Red Garland, non esattamente uno qualunque, di suonare proprio come faceva Jamal. È ancora una volta Zev Feldman, il produttore più importante del jazz contemporaneo, quello che ha portato di recente alla luce molti tesori perduti di Bill Evans, Charles Mingus, Sonny Rollins, Chet Baker ed Albert Ayler fra gli altri, che ha scovato questo materiale per il battesimo della sulla sua nuova etichetta, eloquentemente chiamata Jazz Detective.

Si tratta di sette sessioni registrate al Penthouse, un jazz club di Seattle, nell'arco di tre anni e qualche mese, le cui tracce sono distribuite in un doppio cofanetto che ha una sua scintillante versione vinilica nelle frazioni che comprendono i due periodi a distanza ravvicinata: 1963-1964 e 1965-1966. Pienamente soddisfacenti a ogni livello sensoriale possibile - audio, grafica, note di copertina ed ovviamente performance - entrambi i set catturano il vero spirito del jazz nella sua capacità di modellarsi dal vivo, grazie all'inventiva del leader in totale sintonia con il bassista Richard Evans ed il batterista Chuck Lampkin, il perno ritmico che asseconda le trame del basso di Jamil Sulieman Nasser nel volume successivo.

Il senso ritmico di Jamal ha qualcosa di prodigioso: l'uso della tastiera a tutto campo poggia su un efficace ricorso ai pedali e su un'epica diteggiatura di entrambe le mani con momenti di straordinaria potenza percussiva, che sembrano in alcuni sfidare l'integrità meccanica dello strumento. Soprattutto colpisce il sapiente ricorso a un'ampia dinamica sonora; dal sussurro al fortissimo, dalle improvvise smorzature (Like Someone In Love) ad accentazioni scultoree (la prediletta Poinciana).

Non si tratta di una tecnica appariscente fine a sé stessa. È tutto al servizio della direzione che il brano sta prendendo, ed il suo senso è tutto incentrato sull'anima, sull'arguzia e sulla gioia lontane da ogni narcisistico compiacimento. Infine, Jamal sperimenta diversi standard che ha suonato per anni. Varia, accelera e rallenta il metro in I Didn't Know What Time It Was, come se quasi ne commentasse il titolo; diventa meditativo in Who Can I Turn To; e suona straight, mettendo in evidenza le varie componenti dell'estetica afro-americana in Whisper Not. Le sessioni sono state registrate, originariamente per trasmissioni radiofoniche, su nastro Ampex 350 da ¼ di pollice a 7,5 ips di velocità. Entro queste limitazioni, il suono è abbastanza buono, soprattutto per quanto riguarda i bassi, che suonano vigorosi. È mono, ma c'è un vero senso di ambienza e profondità. Il volume del pianoforte varia un po' da una sessione all'altra, e anche se risulta lievemente attenuato la tecnica, la modulazione e il romanticismo di Jamal emergono con evidenza rendendo queste registrazioni molto preziose. Jamal si ispira a Art Tatum, Erroll Garner, Jaki Byard ed al suo contemporaneo ormai compianto, Ramsey Lewis, le cui riflessioni su Jamal e sui tempi in cui suonavano sono contenuti nel corposo libretto che comprende anche i saggi e le analisi di Hiromi, Kenny Barron, Jon Batiste, Marshall Chess, il tecnico del suono del Penthouse Jim Wilke, Feldman, Aaron Diehl e altri esperti del settore Un terzo set di registrazioni dalla Penthouse, 1966-1968, è previsto per una futura pubblicazione. Quanto basta per tramutare il tutto in un classico istantaneo, solo un po’ ritardato.