Fino a qualche secolo fa gli animali venivano utilizzati in base alle necessità, senza farli riprodurre in cattività o, peggio ancora, come ai nostri giorni, in batteria e con le tecniche più assurde e su larga scala: inseminazione artificiale e uso di ormoni per farli crescere in fretta e, nel caso delle mucche, di sostanze illegali come la somatotropina bovina, un ormone geneticamente modificato per incrementare la produzione del latte.

Un tempo i cavalli e gli asini erano usati principalmente per il trasporto o nelle guerre (comunque sempre molto limitate: vi partecipavano al massimo un migliaio di belligeranti per parte, muniti di spade e lance). E il paesaggio? Basta chiedere a chiunque oggi abbia poco più di quarant’anni per sentirsi dire che un tempo il paesaggio, anche quello urbano, era completamente diverso da quello attuale. Basta fare qualche passo nella periferia di qualche grande città per chiedersi che cosa abbiamo fatto per meritarci questo spettacolo così degradante!

Le campagne hanno subito delle trasformazioni che fino a qualche decennio fa erano inimmaginabili. Se Giacomo Leopardi fosse ancora in vita e a Recanati, dal colle dell’infinito non avrebbe più bisogno di immaginare “interminati spazi di là da quella e sovrumani silenzi e profondissima quiete”. Ora da quel colle si possono vedere benissimo i monti Sibillini e tutta la valle sottostante, e i “sovrumani silenzi” verrebbero interrotti dal rumore delle auto che nella vicina strada statale attraversano il colle!

In brevissimo tempo l’uomo ha peggiorato il suo ambiente e purtroppo anche la sua socialità. Il sistema unitario della globalizzazione ha obliterato la nostra mente e sta modificando la nostra cultura, un tempo in equilibrio con una natura che ora non vediamo più come parte di noi stessi. Non sappiamo più fare un resoconto delle esperienze passate: vogliamo vivere solo nel presente.

Siamo in continuazione bombardati da informazioni, ma conserviamo solo quelle che ci sembrano più utile, o meglio, quelle che crediamo sul momento che lo siano. Siamo sempre più distratti da codifiche superflue, mentre la memoria, soprattutto quella dei bambini, dovrebbe essere esercitata in ogni momento della giornata; paradossalmente persino la didattica scolastica lo impedisce. Ai bambini, per esempio, non fanno più imparare le poesie a memoria perché, dicono, ciò metterebbe in crisi la loro personalità e ostacolerebbe la loro creatività. Follie! Siamo distratti e i bambini lo sono ancora di più degli adulti, mentre il livello di attenzione dovrebbe essere sempre alto. Di tutte le memorie di cui disponiamo, conserviamo bene quella procedurale che è una memoria automatica, facendo venir meno quella cognitiva.

A questo punto dovremmo chiederci perché tutte le grandi civiltà del passato sono velocemente scomparse dopo aver raggiunto il loro massimo splendore; ora ne conserviamo solo in parte le rovine che hanno resistito all’incuria dei tempi. Le ragioni principali della loro scomparsa sono tante, ma collegate tra loro: la deforestazione, la dispersione delle risorse idriche, lo sfruttamento forsennato delle terre e la caccia sfrenata agli animali selvatici, per finire con le invasioni di popoli vicini che non avevano ancora raggiunto gli stessi livelli di degrado ambientale.

Per esempio, l’impero Romano, già indebolito da tempo sia dal punto di vista politico sia da quello militare, ricevette il colpo di grazia dai cosiddetti barbari nel 476 d.C. C’è però un esempio molto più recente che ci dovrebbe riguardare da vicino, una catastrofe malthusiana provocata in questo caso da una guerra civile, quella avvenuta in Ruanda tra il 1990 e il 1993. Chi avrebbe potuto mai immaginare che da questo piccolo Paese potesse scaturire un genocidio di tale portata? Le cause scatenanti sono al di là dell’odio razziale tra gli Hutu e i Tutsi, le due etnie principali che condividevano il territorio ruandese: in verità i tragici eventi vennero scatenati dai cambiamenti climatici che fecero diminuire drasticamente la produttività della terra, non più sufficiente a sfamare tutta la popolazione ruandese. Solo allora le due etnie hanno pensato di uccidersi spietatamente a vicenda.

C’è bisogno di più convivenza (non solo di quella intraspecifica, che diventa sempre più difficile, ma anche di quella interspecifica) e dello sviluppo di sistemi produttivi alternativi per non arrivare a una situazione simile a quella ruandese. In base alle politiche internazionali del momento, però, questa speranza è vana e il sistema economico globale non reggerà all’urto dell’aumento vertiginoso della popolazione mondiale. Il fatto è che spesso facciamo un uso distorto dei nostri grandi progressi scientifici: per esempio, non è assolutamente vero che l’energia atomica che abbiamo a disposizione viene sfruttata solo per sopperire alla richiesta energetica di tutta l’umanità, ma anche e soprattutto come deterrente per scongiurare una guerra nucleare planetaria.

Questa capacità di analisi manca all’uomo di oggi, il quale ha perduto i punti di riferimento fondamentali che invece avevano i nostri lontani antenati, molto più sensibili alle trasformazioni ambientali che, tra l’altro, erano causate principalmente dalla forza della natura: cataclismi, eruzioni vulcaniche e terremoti. Oggi lasciamo che tutto peggiori, consapevoli della nostra colpa senza mai volgere lo sguardo al passato, senza ricordare ciò che potrebbe essere evitato.