Tra le tante, tantissime invero possibilità consentite dalle nuove tecnologie, certo quelle che provocano maggior attenzione per le inevitabili ricadute sociali, sono quelle che riguardano il tracciamento, l’individuazione, la possibilità di sapere sempre e comunque dove siamo, cosa facciamo, forse quello che vorremmo o potremmo fare se l’I.A., l’intelligenza artificiale dovesse superare i livelli già invasivi raggiunti e “pensare” “ragionare” sui nostri comportamenti, sulle costanti del nostro agire.

La prima reazione è quella di pensare alla parte confortevole, alla possibilità di essere reperibili pensando ai momenti in cui questo dovesse essere opportuno o necessario, favorendo così eventuali sostegni, aiuti e così via. Poi però proprio partendo da questo aspetto a suo modo se vogliamo dire confortevole o tranquillizzante, si aprono territori assolutamente inesplorati e inquietanti, considerando che le positività elementari appena delineate possono rovesciarsi ed essere viste nell’aspetto meno augurabile, ovvero quello per il quale ogni nostro atto, ogni spostamento, quindi ogni scelta viene seguito, registrato, valutato e via dicendo, facendo chiaramente intendere un controllo sulla nostra esistenza i cui limiti non sono facilmente immaginabili.

Se poi ci rivolgiamo un momento a riflettere sul modo differente con il quale i diversi sistemi politici si pongono il tema della conoscenza e poi quello preminente dei diritti e dei doveri dei cittadini e come tutto questo appaia declinato in modi molto differenti e divergenti allora la riflessione si trasforma in forte apprensione. Molti decenni fa, alla fine della seconda guerra mondiale e con la guerra fredda si moltiplicarono le analisi e le descrizioni sia letterarie che poi cinematografiche sul rischio di prevalenza di quelli che venivano indicati come regimi concentrazionari con l’annichilimento del pensiero, dell’individuo, della libertà personale.

I totalitarismi che hanno segnato e insanguinato il secolo breve avevano steso un’ombra scura e agghiacciante sul futuro e per esorcizzarla e immaginare soluzioni alternative si studiava e analizzava quello che accadeva nei diversi sistemi e regimi anche in dura lotta tra di loro. La tentazione del controllo dell’individuo, della società nel suo insieme sono sempre stati presenti nella storia ma è con l’avvento di strumenti cogenti anche nell’immediato che tutto questo è andato assumendo connotati sempre più evidenti e rischiosi.

Il tema è cruciale per disegnare un futuro nel quale la tecnologia e le sue realizzazioni continue siano, nella loro attuazione governate da regole condivise e non invasive per l’essere umano e non certo da quello che ormai viene indicato come uno strumento ineliminabile e allo stesso tempo uno spauracchio: l’algoritmo. Per il dizionario si tratta di sostantivo derivato dal latino medioevale algorithmus o algorismus, dal nome d’origine, al-Khuwārizmī, del matematico arabo Muḥammad ibn Mūsa del 9° sec. (così chiamato perché nativo di Khwarizm, regione dell’Asia Centrale) che indicò nel medioevo i procedimenti di calcolo numerico fondati sopra l’uso delle cifre arabiche. Oggi anche con riferimento all’uso dei calcolatori, qualunque schema o procedimento matematico di calcolo; più precisamente, un procedimento di calcolo esplicito e descrivibile con un numero finito di regole che conduce al risultato dopo un numero finito di operazioni, cioè di applicazioni delle regole.

Nella nostra vita quotidiana, nel nostro lavoro, nella dialettica tecnica e non, si parla, ci si riferisce sempre più a questa figura che sembrerebbe rappresentare una sorta di soluzione ad ogni interrogativo o problema. La comodità che in generale si manifesta quando si fa ad esso riferimento lo fa apparire positivo, augurabile per semplificare molte questioni pratiche o teoriche. Questo lo stato degli atti. Di fronte a questo le domande sono ancora di più delle risposte soprattutto perché l’applicazione dell’algoritmo iniziata nel mondo finanziario fino a sfociare nelle valute virtuali come il bitcoin, mostra come le possibilità che si aprono sono infinite e che non vi è ancora alcuno che sia in grado di prevederne l’esito. Quel che appare chiaro da subito è però l’estrema pervasività che questi sistemi possono avere nell’organizzazione sociale mano a mano che le tecnologie divengono inevitabili e non rifiutabili per condurre la propria vita personale, professionale, lavorativa, persino quella di svago.

Le atmosfere psicotiche delineate in “1984” di George Orwell e le scene anche esse di natura psicanalitica di “Fareheit 451”, sono certamente intelligenti modi di porsi problemi reali in termini preoccupanti per svegliare le coscienze e le capacità ma potremmo dire che l’intuizione sulle quali questi sforzi letterari e cinematografici si sono sviluppati ci appare quasi elementare nel porre l’individuo alle prese con il sistema autoritario pur sempre costituito da altri uomini, ma la capacità di prevedere un’entità a suo modo inconoscibile che governa e in sostanza congela ogni vitalità sociale, è certamente un’agghiacciante premonizione se misurata con le capacità ormai immense dei sistemi tecnologici di questi ultimi decenni.

Potremmo dire che oggi, dato per assodata la nuova realtà tecnologica, l’umanità debba porsi oggi, non domani, le domande giuste per evitare che le tecnologie sempre più inconoscibili e non governabili dal singolo possano travolgerla e modificarsi in modo irreversibile in strumenti di forze sempre più impossibili da controllare e non impiegare per quelle finalità di semplificazione della vita per le quali sono invece nate e si sono sviluppate. Un bel dubbio e un interrogativo non superfluo e neppure cervellotico, ma estremamente calzante. Una notizia recente, di natura scientifica, quella di un algoritmo che spiega come si muovono le persone, appare estremamente interessante ed importante per gli scenari che si possono aprire. Anche qui una serie televisiva recente “Person of interest” in cui un gruppo di persone, attraverso un meccanismo onnipresente di controllo delle strade, delle abitazioni, in una New York distopica, vuole raggiungere la prevenzione dei crimini impedendo che avvengano ed eliminarne gli autori. Intento in apparenza se non positivo sicuramente significativo per garantire la tranquillità di una comunità, ma certamente inquietante soprattutto se come accade nella serie qualcuno cerca di eliminare chi controlla questo sistema per versarlo al proprio interesse naturalmente contrario ed opposto, ovvero una sorta di controllo criminale della società.

Gli ambiti e gli scenari che si aprono e si pongono sono di tale peso e invasività da non poter essere trascurati perché di passo avanti in passo in avanti della tecnologia il pericolo di perdita di controllo si fa immanente. Non è certo questo il senso della scoperta scientifica della quale abbiamo parlato, ma certamente è tale da porci l’attenzione su un futuro prossimo del quale conosciamo ancora poco. Nella descrizione infatti della ricerca si sottolinea che il sistema non è in grado di affrontare relazioni complesse. Quindi in un certo senso ci riporta all’uso della tecnologia quale strumento di crescita e sviluppo e non quello di controllo e oppressione delle libertà.

Lo studio è stato condotto dall’Istituto di scienza e tecnologie dell’informazione del Cnr, con la Fondazione Bruno Kessler di Trento e l’Argonne National Laboratory negli Usa. Consiste in un algoritmo basato sull’intelligenza artificiale, in grado di prevedere e spiegare in dettaglio i flussi di mobilità ed è stato pubblicato su Nature Communications. Nella relazione si sottolinea che il modello tradizionale utilizzato per la previsione dei flussi di mobilità, sia a piedi che con automezzi, è il cosiddetto “gravitazionale”. Ispirato alla legge di gravitazione universale di Isaac Newton, esso stabilisce che il flusso di mobilità tra due luoghi, per esempio due quartieri di una città, è proporzionale alla loro popolazione e inversamente proporzionale alla loro distanza geografica. Nella pratica, si osserva che il modello gravitazionale è spesso inaccurato perché si basa su due sole variabili e cioè distanza e popolazione e non è quindi in grado come abbiamo premesso di catturare relazioni complesse tra di loro.

Ora la ricerca ha messo a punto “Deep Gravity”, sempre un algoritmo che tuttavia aggiunge al modello gravitazionale due ingredienti fondamentali e cioè: l’utilizzo di diverse variabili che descrivono i punti di interesse in un luogo come ristoranti, alberghi, ospedali e strade, e la capacità di catturare relazioni complesse tra queste variabili grazie all’utilizzo del deep learning. “Esperimenti condotti su tre Paesi (Italia, Inghilterra e Stato di New York) hanno dimostrato che Deep Gravity è in grado di prevedere i flussi con un’accuratezza che è fino a mille volte migliore di quella del modello gravitazionale” dichiara Luca Pappalardo del Cnr-Isti e autore principale dell’articolo. L’utilizzo di tecniche di “Explainable AI” (Intelligenza Artificiale spiegabile) ha consentito agli scienziati di comprendere le motivazioni dietro i flussi di spostamento tra aree nei tre Stati sotto analisi.

A differenza di quanto previsto dal modello gravitazionale, le variabili che guidano gli spostamenti – spiega la relazione sulla ricerca - variano tra Paesi e anche al loro interno, e non sempre distanza e popolazione sono quelle più importanti. “Per esempio, luoghi con un gran numero di strutture alimentari, vendita al dettaglio e zone industriali attirano più pendolari che luoghi con punti di interesse relativi alla salute e a uso commerciale. Inoltre, la motivazione nei movimenti tra due luoghi , aggiunge Pappalardo non è simmetrica: i punti di interesse che guidano i movimenti da un posto A a un posto B non sono necessariamente le stesse che guidano i movimenti da B ad A”, continua Pappalardo.

“Questo studio è un passo importante verso la spiegazione di fenomeni complessi come la mobilità umana con ricadute pratiche rilevanti come il calcolo della probabilità di diffusione di un’epidemia, come ad esempio il Covid-19, sulla base dei punti di interesse in un territorio”. Questo algoritmo potrebbe fornire informazioni utili anche ai decisori politici. “Conoscere le ragioni dietro i movimenti tra due locazioni può aiutare a capire il perché dell’attrattività di un luogo, e in caso di necessità di lockdown, a imporre chiusure che tengano conto della specificità dei flussi su un territorio”, conclude Massimiliano Luca, dottorando all’Università di Bolzano e ricercatore alla Fondazione Bruno Kessler. Parole certamente tranquillizzanti quelle dei ricercatori su un punto: la capacità dell’uomo di vedere ancora i limiti, oltreché le potenzialità, dei sistemi che pone in essere. Ma, certo, qualche apprensione rimane e possiamo concludere che è benvenuta per non lasciarsi trascinare in un flusso incontrollato ed incontrollabile del quale si perda l’inizio rimanendo quindi privi degli strumenti essenziali per capire, comprendere e saper governare l’esistente!