Per chi si chiede se la cattura di Matteo Messina Denaro sia l'ultimo gradino nella lunga scala che ha portato alla sconfitta della mafia, la sola risposta da darsi è nel cuore delle istituzioni.

Non perché necessariamente, come già comincia a dire qualcuno, l'ex boss latitante abbia avuto chiari collegamento dentro il Palazzo, ma perché ora è necessario che le istituzioni facciano pulizia al loro interno per capire dove si sia annidata la malapianta della collusione.

Trent'anni da latitante non sono un termine di paragone con qualsiasi altro boss del passato, perché se lo stesso periodo è stato ''coperto'' alla macchia da altri, l'evoluzione delle tecniche investigative, la stessa tecnologia, la possibilità di incrociare dati con banche di tutto il mondo, non possono consentire che si ripropongono i medesimi modelli della mafia rurale, quando chi fuggiva sapeva di poter trovare ospitalità ovunque, a patto di restare nel territorio.

Oggi questo non è possibile, oggettivamente, pensando alla rete di satelliti, alle connessioni che vengono cablate e che comunque rimangono sempre sotto un controllo seppure remoto. Sfuggire alla cattura non si può a meno che non si sia inseriti in un tessuto di connivenze, coperture, collusioni, complicità. Tutte cose che possono anche rimandare a dei collegamenti ''politici'', perché, come dicono gli esperti, la mafia attecchisce laddove c'è il denaro e il denaro, lo insegna la storia, è conseguenza dell' esercizio del potere, del controllo delle attività produttive, insomma di ogni attività che l'uomo utilizza per ''fare soldi''.

La domanda quindi non è tanto su chi, come persona, ha aiutato Matteo Messina Denaro a sfuggire alla cattura. L'interrogativo che ci si deve porre è: come è stato possibile che uno Stato si sia reso talmente permeabile da consentirgli di agire totalmente indisturbato all' interno di un territorio fisico, all' interno probabilmente di un paio di province, sulle quali ha esercitato quasi un controllo militare, esercitando il potere devastante della intimidazione.

Paradigmatico di questo concetto è il sequestro e l'omicidio del figlio del pentito Di Matteo. Non è tanto l'orrore dell' avere rapito un ragazzino, di averlo tenuto in catene per due anni, di averlo strangolato, di averlo sciolto nell' acido. L'orrore, oltre all' evidenza di quanto accaduto, è soprattutto nel fatto che l'aberrazione della mafia ha ''autorizzato'' Matteo Messina Denaro a fare parte di quel gruppo di uomini (sempre che si possano chiamare tali) che è arrivato a togliere ad un padre un figlio nemmeno adolescente per utilizzarlo come moneta di scambio per il suo silenzio.

Rapportato nei numeri, è lo stesso concetto applicato alle stragi di mafia, quello dell' esempio che deve valere per il diretto interessato (il bersaglio) e per tutti gli altri che si possano trovare nella condizione di non temere più il boss, ma di opporsi al suo potere assassino. Si tratta dell'esempio, l'ultimo strumento in mano a questa mafia. Quell'esempio che ha portato agli attentati di Roma, Milano e Firenze che hanno voluto colpire non lo Stato in quanto tale, ma la sua rappresentazione fisica che passa attraverso i luoghi della cultura, della comunità, del vivere insieme.

Matteo Messina Denaro di questa strategia probabilmente non è stato l'ideatore, risalendo essa all' ala più sanguinaria dei corleonesi. Lui comunque ne ha compreso le potenzialità - se è possibile usare questo termine che fa tanto economia - ma che peraltro la mafia gestisce nel momento in cui comprende di essere essa stessa una holding del crimine. Il domani della mafia, dopo questi eventi, è stato scritto nel sangue, anche se le statistiche indicano un calo dei delitti ad essa riconducibili perché nel momento in cui il tasso di sangue comincia a calare, si alza quello della coincidenza di interessi, ovvero del fatto che il crimine organizzato ha raggiunto un punto di equilibrio in cui esiste sempre qualcuno a cui fare riferimento.

Dopo Totò Riina, dopo la cattura, dopo l'uscita di scena anche di Santapaola e Provenzano, la mafia ha avuto bisogno di cercarsi un punto di riferimento, di avere anche chi potesse fare da catalizzatore dell' azione di contrasto dello Stato. Carabinieri, Polizia, Guardia di Finanza, Intelligence, tutti coordinati dall' azione della magistratura, negli ultimi 20 anni hanno eletto Matteo Messina Denaro a loro bersaglio, a loro preda. In questo modo, per paradossale che possa apparire, con effetti positivi nei confronti degli altri capimafia che hanno goduto di minore attenzione e quindi maggiore libertà di movimento. La semplificita' del teorema mafioso sta in questo: un capo vale sin quando riesce ad essere tale. Ed e' ora che bisogna temere la mafia: chi dovesse ottenere l'investitura di ''capo dei capi'' lo fara' solo imponendosi con la forza. E nella mafia la forza si esprime con la voce della violenza, quella voce che Matteo Messina Denaro ha quasi sussurrato negli anni, mantenendo un basso profilo che non ha intaccato minimamente il terrore che i suoi ''sussurri'' incutevano a tutti.