La storia della rosa è ultra millenaria e racconta tradizioni, simbolismi e arcaiche consuetudini nell’uso sia alimentare, profumiero, curativo e cosmetico. Anche il suo fusto in esemplari antichi costituiva un materiale prezioso come legno da opera per mobili e oggetti decorativi. E’ ormai conosciuta la sua complessa origine botanica e altrettanto l’evoluzione delle diverse specie del genere Rosa che per tipologia del fiore (forma, colore, profumo, consistenza) e caratteristiche di sviluppo e portamento (cioè l’habitus) si distinguono ormai in milioni di varietà diverse: rampicanti, sarmentose, da taglio, cespugliose, striscianti, nane, pillar, ecc.

Tutta questa biodiversità è anche lo straordinario prodotto dell’incrocio, della ricerca, dello studio e moltiplicazione delle rose grazie a donne e uomini che per questa specie hanno fatto viaggi, speso patrimoni e contrastato accordi internazionali, anche in stati di guerra, pur di ottenerne un esemplare. Delle Rose hanno portato con sé parti di pianta, semi, radici nude, da Oriente a Occidente e viceversa, da nord a sud, in virtù della sua beltà, del suo fascino e della sua magia oltre che al valore simbolico che racchiude tra amor sacro e profano. In passato mi sono soffermata già in altre rubriche su questo genere di pianta e per chi è più curiosa o curioso potrà trovare un incommensurabile quantità di fonti bibliografiche, e venire a conoscenza di una storia complicata quanto affascinante che ancora oggi cattura milioni di appassionati e fornisce un giro d’affari di milioni di euro, anche grazie alle collezioni di antiche varietà, alle nuove ibridazioni, ai concorsi internazionali sulla rosa, a quelli sul fiore reciso, secco, e (ahimè) stabilizzato ! Oggi invece vorrei raccontarvi un episodio di una cliente esemplare, un’amica che tra le tante a cui ho progettato un giardino, alla cui composizione e realizzazione mi dedico da tanti anni, perché ho potuto appurare, con il tempo e l’esperienza, che pochi sono i giardini che ho fatto e che hanno mantenuto lo stile, il carattere e la bellezza del loro impianto dei primi anni, purtroppo perché è difficile essere dei bravi giardinieri e giardiniere, è facilissimo delegare a qualcuno che non da buoni consigli, e non ultimo saper crescere con il proprio giardino e soprattutto non tentare di renderlo ingessato per sempre è cosa ben ardimentosa. Ho avuto modo di parlare di tanti esempi di eccelse giardiniere, poi diventate anche amiche fidate, ma questa volta si tratta di un piccolo angolo di città che grazie ad una rosa ha mutato il suo volto, e per merito delle cure della sua proprietaria , è oggi dopo un decennio, l’emblema di una storica via cittadina.

Quando venne a chiedere il progetto per il suo chiostro, che tra l’altro avrebbe sempre dovuto utilizzare anche per la rimessa dell’auto, ho dovuto, come sempre, pensare alle sue esigenze di spazio, alla esposizione, alle ore di luminosità che avrebbe avuto quel piccolo giardino a cui si accede con un grande atrio, con due pilastri ed un importante cancello. La mia scelta cadde in una Rosa il cui nome porta con sé la storia tra Oriente e Occidente come spesso accade per questo genere di pianta: Rêve d’Or un ibrido di rosa ottenuto in Francia da Ducher nel 1869. La data di nascita ci da già delle indicazioni perché gli studiosi di rose, i rodologi, distinguono due grandi gruppi: rose moderne e rose antiche. Infatti c’è proprio un punto di svolta nella storia botanica del genere rosa che è lo spartiacque temporale tra quelle coltivate prima e dopo il 1867 : rispettivamente definite rose antiche e rose moderne. Così la rosa che scelsi appartiene al gruppo detto Noisette, stirpe discendente da un ibrido americano tra la Rosa moscata selvatica e la notissima rosa cinese ‘Old Blush’. Questa grande “famiglia” di rose ha vigoria e rapidità di crescita della Rosa moscata selvatica e la rifiorenza, quasi tutto l’anno, con la variabilità del colore del fiore che muta dal giallo tenue all’albicocca, in fiori di media grandezza che sbocciano profumati e muschiati, simili al tè, solitari o riuniti fino a mazzi di quindici, nelle tonalità del camoscio-oro ! Anche nei climi caldi in pochi anni raggiunge dimensioni definirei esagerate, e può coprire spalliere e pareti dai 6 ai 10 metri di lunghezza, un vero prodigio di fioriture. Se le rose antiche europee che non avevano la rifiorenza ottenuta da metà Settecento, non avessero incontrato le millenarie cinesi che hanno donato anche il colore rosso, oggi non avremmo la sterminata collezione di ibridi e gruppi di rose utili per tutte le nostre esigenze climatiche e di adattamento alle varie esigenze in giardino. In particolare troviamo l’oriente anche nella parte vegetativa con poche spine e foglie verde intenso inizialmente rosse lucide e nelle città sempreverdi quasi tutto l’anno anche in pianura in Italia settentrionale.

Ogni rosa però ha natura diversa e nel caso di una Reve d’Or, che è una rampicante a spalliera o su archi e pillar, bisogna avere una ottima mano nel saperla gestire e contenere senza danneggiarla e rischiare di non farla fiorire nella stagione successiva per aver avuto una mano troppo severa nella potatura. Ho visto ridurre rose da premio internazionale a dei monconi sterili per aver ecceduto nei tagli nella stagione sbagliata. Oggi purtroppo la consuetudine della gestione impropria e distratta del verde pubblico, soprattutto nelle aiuole, nei giardini e nelle famose aree spartitraffico, induce anche i singoli proprietari di giardini e terrazzi a imitare proprio quelle tecniche sbagliate di cura delle piante, tant’è che si perpetuano errori a tal punto che molti giardini di aree condominiali o private sono omologate e svilite. Invece curare un giardino o un angolo di verde in un piccolo spazio privato, un terrazzo o un fazzoletto di terra è una vera e propria arte e chi la coltiva ne gode e ne fa godere anche chi è vicino, come nel caso della rosa che vedete nelle belle foto scattate dalla proprietaria. In Inghilterra ricordo i giardini del quartiere residenziale di Kew, non lontano dai grandi giardini reali, piccoli gioielli che fanno a gara gli uni con gli altri nell’accostamento dei colori, della varietà di specie, di tipi di piante, dai cespugli alle erbacee perenni ai piccoli alberi fino alle bulbose e le annuali.

Certo, direte, ci vuole tempo e passione per studiare l’arte del giardinaggio e spesso i risultati soprattutto in chi si cimenta per la prima volta possono essere disastrosi, ma se come diceva bene Pia Pera, scrittrice di giardini, e ancora prima le eroine del garden design anglosassone Vita Sackville West o Edith Wharton, cosa ripaga di più di una mattina illuminata dalle prime fioriture dopo un lungo inverno, o una rosa Tè insieme ad una fronda di tenera felce nel vaso sopra la vecchia scrivania piena di libri ? La mia amica ha acconsentito a farsi coinvolgere dalla passione per le rose, per gli alberi e le belle fioriture, cosicché dalla rosa nel chiostro è passata al terrazzo dove trapianta sperimenta associa e trova soluzioni, e non contenta nella sua casa di campagna ha adottato delle mie rose che cercavano casa, dopo un trasloco, e le ha fatte arrampicare su vecchi alberi da frutto alla moda anglosassone come le consigliai da cui ha tratto grande gioia. Torna alla mente il bel libro del filosofo Duccio Demetrio Di che giardino sei ? (Mimesis, 2016), in cui l’autore sostiene opportunamente che i giardini, grandi o piccoli che siano, sono da sempre specchio della personalità, dello stato d’animo e del modo di vivere di chi se ne prende cura. E il sotto titolo è Conoscersi attraverso un simbolo, e cioè per dirci che amare i giardini, conoscerne il significato e prendersene cura significa poterne cogliere la bellezza e ogni sfumatura attraverso l’indagine del sé.

Quando la mia amica racconta e mi invia foto dei suoi successi e delle sue meraviglie, che anno dopo anno continuano a rallegrare la sua vita e quella della sua bambina, che ha condiviso le stesse passioni, penso a come le piante possono restituirci quanto ci viene sottratto invece nella vita lontana dalla natura, in ambienti urbani sempre più costretti e caotici, sempre meno poetici e poveri di stimoli. Ho sempre pensato, quando vivevo in città che avere un giardino, anche comune, o un terrazzo, una serra dove godere l’inverno delle fioriture delle piante succulente, provenienti da chissà quali paesi lontani, rappresentasse quell’universo privato di natura insostituibile, dal quale ricevevo sempre molto di più di quanto mi prodigassi nelle mie stravaganti e a volte disattente giardinistiche acrobazie. Ecco, mi piace ricordare le mia amicizie attraverso i loro giardini i loro sogni verdi, i loro successi e fallimenti, ma sempre straripanti di vita!