Tra passeggini e seggioloni oggigiorno le mamme umane non tengono più, o tengono molto poco, i loro figli in braccio. Quando lo fanno, preferibilmente li sorreggono sulla parte sinistra del loro corpo quindi con il braccio sinistro. Per quanto riguarda le scimmie le cose come stanno? Per esempio, le mamme di scimpanzé tengono i loro piccoli in questo modo per l’85% del loro tempo, quelle del gorilla per l’80% e quelle dell’orango per il 60%. Nelle altre specie di scimmie le percentuali sono più o meno le stesse. La conclusione è che tutte le mamme, umane o animali che siano, sostengono i loro neonati principalmente sulla parte sinistra del loro petto. Ora la domanda è se questo sia dovuto al fatto che le mamme siano tutte mancine. Come sappiamo non è così, anzi, la maggior parte delle persone nel mondo, uomini e donne, sono in gran parte destrimane e non mancine. Allora come si spiega? Trovare una risposta non è semplice e tra gli scienziati la questione è ancora molto dibattuta. Alcuni ritengono che le mamme umane tengono preferibilmente il loro piccolo con il braccio sinistro, se non sono mancine, per avere libera la mano destra per poter svolgere contemporaneamente, ad esempio, le faccende domestiche, per preparare le pappette o per portare avanti altri compiti dei quali sono consapevoli. Questa sembrerebbe una spiegazione molto plausibile, ma, come vedremo, così non è.

Un’altra spiegazione, ancora più interessante della prima, è che le mamme umane si comportano in questo modo, senza però esserne consapevoli, perché in questa posizione i loro piccoli possano sentire più da vicino il battito del loro cuore. Questo li acquieterebbe e li rassicurerebbe di più che sostenerli nella posizione opposta cioè a destra del loro petto e quindi più lontani dal cuore materno. Questa ipotesi è molto suggestiva e negli anni ’80 del Novecento gli scienziati che hanno studiato questo fenomeno la ritennero molto valida anche perché alcuni esperimenti in cui i battiti del cuore materno furono sostituiti dagli stessi suoni ma artificiali dimostrarono che i piccoli rispondevano a essi molto positivamente e che quei suoni li inducevano più prontamente al sonno. Anche questa volta, in verità, come vedremo, le cose sono più complesse delle apparenze.

Certo, il battito del cuore materno è più rassicurante del silenzio per un neonato, così come lo è una bellissima melodia di musica classica o un pensiero nostalgico di un lontano passato per un adulto, ma se vogliamo completare il quadro dobbiamo rifarci a un processo evoluzionistico molto antico, cioè alla lateralizzazione e alla evoluzione del cervello nostro e anche di quello degli animali, soprattutto di quelli a noi più prossimi, anche se a dire il vero c’è chi sostiene, forse non tanto erroneamente, che reggere da parte di una mamma il proprio figlio più a sinistra o più a destra del proprio petto sia più che altro una questione di natura genetica. In sostanza se entrambi i genitori di una mamma sono mancini è probabile che anche lei diventi mancina e che per questo tendenzialmente tenga poi il proprio figlio più a lungo sulla parte destra del proprio petto che non il contrario. Insomma, ci sono diverse ipotesi e abbastanza diversificate le une dalle altre. Allora a questo punto per approfondire la questione dobbiamo, come abbiamo appena accennato, rifarci in primo luogo al processo di lateralizzazione del cervello senza cadere nel tranello che questo possa spiegare completamente il fenomeno di cui stiamo parlando cioè del perché le mamme, anche le mamme scimmie, tengano più a lungo i loro piccoli sul lato sinistro del proprio corpo. La lateralizzazione del cervello è andata di pari passo con il nostro percorso evolutivo ed è per questo che il 90% circa degli esseri umani è destrimano.

Infatti, come sappiamo, l’emisfero sinistro è quello che noi chiamiamo “dominante” in quasi tutte le specie animali, certamente nei mammiferi superiori. L’emisfero sinistro controlla funzioni importanti come ad esempio quelle logico-linguistiche, la scrittura e il pensiero analitico, mentre il destro presiede alle funzioni visive, spaziali, al pensiero olistico e all’affettività, cioè il comportamento di attaccamento materno-filiale. Ed è proprio su quest’ultimo comportamento, l’affettività, che dobbiamo concentraci per trovare una spiegazione completa del fenomeno di cui stiamo parlando. In sostanza la lateralizzazione del cervello servirebbe a poco se il tutto non venisse valutato in funzione del comportamento di attaccamento, cioè delle aree corticali preposte al controllo di questo fenomeno psicologico che non a caso è sotto il controllo dell’emisfero destro del nostro cervello e quindi anche di quello delle donne.

Probabilmente prima che diventassimo Homo sapiens, circa 200-150 mila anni fa, e quando le scimmie antropomorfe erano già presenti sulla Terra da circa 7 milioni di anni, lo sviluppo del comportamento affettivo materno-filiale ha iniziato a prendere questa direzione, cioè quella di tenere i piccoli, per le mamme destrimani, sul lato sinistro del proprio petto. In conclusione l’uso delle braccia nell’accudimento della prole nell’uomo ha iniziato ad assumere un ruolo fondamentale e distintivo nel momento in cui abbiamo iniziato a ergerci su due piedi e ad abbandonare le abitudini motorie delle scimmie che invece hanno continuato a utilizzare tutti e quattro gli arti per muoversi sul terreno, per saltare e per arrampicarsi sugli alberi. Non è un caso che le scimmie durante questi movimenti abbiano la prole saldamente e autonomamente attaccata al loro petto con una presa delle dita molto forte da parte dei piccoli, cosa che nei piccoli umani è venuta lentamente a mancare e scomparire del tutto. In verità il riflesso di Moro (reazione di soprassalto del neonato umano che lo spinge ad aggrapparsi a qualcosa alla sua portata, a un dito o al braccio della mamma o a un oggetto) nei neonati umani dimostrerebbe che questo fenomeno è presente almeno fino ai sei mesi di età, ma riguarderebbe solo in parte il riflesso dei piccoli di attaccarsi con le proprie mani al petto materno umano, cosa di cui non hanno assolutamente bisogno.

L’uomo ha inoltre un’altra peculiarità e cioè che nel corso della sua evoluzione ha sviluppato un processo di dipendenza materna molto più lungo rispetto a tutti gli altri animali. Le mamme umane, infatti, dopo la nascita dei loro piccoli devono proteggere e curare la prole molto più a lungo rispetto a tutti gli altri animali. Questo fenomeno si chiama neotenia, una fase di sviluppo del piccolo rallentata in cui il cervello del neonato impiega più tempo per raggiungere il suo massimo sviluppo. E quindi i piccoli in questa fase devono essere protetti, allattati e curati per molto tempo dopo la loro nascita, altrimenti morirebbero subito dopo il parto. In sostanza i neonati umani non sono programmati geneticamente per comportarsi autonomamente subito dopo la nascita, come invece fanno senza difficoltà molti altri animali, per esempio i bovini, gli ovini, gli equini, eccetera. Dunque, neotenia, uso delle braccia materne, cure affettive, eccetera, ma qual è area del cervello che controlla e regola tutto questo? Principalmente è l’emisfero destro, ma questo emisfero è anche quello che ha permesso durante il nostro sviluppo di coordinare i processi che riguardano gli stati emozionali materno-filiali, soprattutto quelli affezionali, senza i quali, nonostante la lateralizzazione del cervello, sarebbe stato tutto vano. Non è quindi un caso che gli stimoli provenienti soprattutto dalla parte sinistra del corpo materno siano quelli che vengono elaborati più efficacemente dall’emisfero destro. Quando le mamme sostengono i loro piccoli è necessario che le aree coinvolte siano quelle più appropriate, quelle più rassicuranti per i piccoli, cioè quelle preposte al controllo di tutti questi compiti fondamentali, questo almeno nel 90% circa della popolazione umana e destrimane.

Letture consigliate

Gazzaniga, M.S. 2016. Tales from both sides of the brain. New York, Harper Collins Publ.
Menarini, R. & Neroni, G. 2002. Neotenia. Roma, Borla Edizioni.
Vallortigara, G. 1994. L’evoluzione della lateralizzazione del cervello. Padova, CLEUP Edizioni.